MOONSPELL – Sangue di lupo

Pubblicato il 27/04/2006 da


“Memorial” non è “Wolfheart”. E nemmeno “Irreligious”, purtroppo. Dei dischi che hanno definito un modo di fare musica ruvido ma colto, emozionale ma tagliente, è rimasto qualcosa nel suono dei Moonspell, ma forse non abbastanza. Eppure, chiacchierando con un disponibilissimo Fernando Ribeiro, pare di intendere che la volontà di stare, ancora una volta, davanti a tutti gli altri non sia del tutto sopita.



ALLORA, FERNANDO, COMINCIAMO PARLANDO DI “MEMORIAL”…
“Anche se si tratta di un’opinione di parte, posso dirti che “Memorial” è uno degli album migliori dei Moonspell per diverse ragioni. Per ora anche il riscontro giuntoci da chi l’ha sentito ci fa pensare che si tratta di un ottimo lavoro. E’ un album che ricrea alcune delle tradizioni dei vecchi Moonspell e le combina con elementi nuovi. Abbiamo potuto fare delle cose che prima sognavamo solamente. In particolare il modo in cui i testi si sposano con la musica è straordinario, e così anche la produzione, che è forse la migliore di cui abbiamo mai usufruito…”
 
MI SEMBRA CHE IL NUOVO DISCO ABBIA DIVERSI RIFERIMENTI VISIVI E CONCETTUALI AL SANGUE…
“Ha a che fare con il sangue ma anche con molte altre tematiche. Il sangue comunque ricorre nei testi, ma non l’abbiamo programmato, semplicemente si tratta di un argomento che spesso si incrocia con i nostri testi. Il disco, in ogni caso, tratta anche temi come il dolore, l’amore, la fratellanza, l’impegno. E’ come se il sangue legasse tra loro tutti questi argomenti, come se fosse un quinto elemento oltre ad acqua, aria, fuoco e terra. Il sangue permea la nostra vita: le promesse di sangue che si fanno da piccoli, le ferite, la morte.”
 
I MOONSPELL ESISTONO DA QUASI QUINDICI ANNI E HANNO MIGLIAIA DI FANS SPARSI PER IL MONDO; SCRIVI ANCORA SOLO PER TE STESSO COME ALL’INIZIO?
“In un certo sì. Ma oggi siamo maturati come persone e come band e abbiamo scoperto che il processo di composizione ha due fasi: egoismo e comunicazione. In questo secondo momento l’audience ha un suo ruolo. Quando abbiamo cominciato pensavamo che ci odiassero tutti e la cosa mi rattristava. Credo che un disco, un libro o un film siano veramente completi quando qualcuno li fruisce e impara qualcosa da essi.”
 
I TUOI TESTI SONO TRA I PIU’ PERSONALI E INTERESSANTI CHE SI POSSANO LEGGERE NELL’AMBITO DEL METAL; COME SI SONO EVOLUTI NEL TEMPO?
“Credo che i testi siano un aspetto dei Moonspell che non è cambiato moltissimo nel tempo. Il mio approccio non è mai cambiato radicalmente né è cambiato il mio modo di pensare; si tratta piuttosto di un’evoluzione. Credo che nel metal ci sia una grande tradizione di ottimi testi che ultimamente si sta perdendo. Sono molto orgoglioso dei miei testi e sono felice quando le persone mi chiedono di parlarne, perché molti credono che il metal sia solo entertainment, ma per me è molto di più, è un modo per imparare le cose e scambiarsi conoscenza. I miei testi sono a volte filosofici, drammatici o esoterici, ma in ogni caso il mio obbiettivo è quello di far riflettere e reagire.”
 
DOPO ANNI DI TOUR INSIEME COME AFFRONTATE I RAPPORTI PERSONALI, I LITIGI, LE DIFFERENZE DI OPINIONI?
“Siamo persone piuttosto semplici. Sappiamo che la musica è un mondo molto complesso e cinico e che quindi dobbiamo affrontare le questioni personali con intelligenza. La convivenza ci aiuta a vedere le cose con gli occhi degli altri e a capire cosa è importante per gli altri. Siamo amici, a volte litighiamo, ma alla fine abbiamo l’obbiettivo comune di far crescere il gruppo. Abbiamo vissuto momenti stupendi e periodi in cui non avevamo soldi per andare a mangiare fuori, ma non abbiamo rinunciato perché avevamo questo obbiettivo.”
 
TI VA DI RACCONTARE QUALCUNO DI QUESTI MOMENTI DURI?
“Uno dei momenti peggiori è stato il primo tour con i Morbid Angel. Siamo stati in giro su un pulmino per sette settimane in condizioni disastrose, siamo stati fregati da tutti, ma alla fine alla gente piacevano i nostri shows. In seguito a questo tour Ares è uscito dal gruppo per poi tentare di distruggerci con pettegolezzi assurdi. E’ stato un brutto momento. Anche dopo “The Butterfly Effect” ce la siamo vista brutta; abbiamo fatto un solo tour, nessuno voleva organizzare i nostri shows e nessuno credeva in noi. Avevamo una sola macchina per andare alla sala prove perché non avevamo abbastanza soldi per la benzina. Finivamo il mese con pochissimi soldi in tasca eppure firmavamo autografi per strada; era strano, imbarazzante. In quel momento abbiamo deciso che non avremmo mai più subito una situazione del genere: ci siamo messi a lavorare duro per riorganizzare la band e per promuoverla al meglio. Ora le cose vanno bene, ma avendo attraversato una situazione di questo genere sappiamo che niente è sicuro. A volte bevevamo champagne in hotel a cinque stelle in tour e poi, una volta a casa, dovevamo risparmiare per pagare l’affitto. Ora tentiamo di bere champagne a casa.”
 
CREDO CHE “THE BUTTERFLY EFFECT” SIA UN DISCO MOLTO SOTTOVALUTATO; PERCHE’ SECONDO TE PUBBLICO E CRITICA NON LO AMARONO?
“Era il segno dei tempi. In quel periodo erano di moda i gruppi power metal e la gente pensava che gli Hammerfall fossero il true metal. E’ stato un momento difficile per gruppi come noi, Paradise Lost o Kreator. Molti gruppi che volevano fare qualcosa di diverso furono accusati di essersi venduti. “The Butterfly Effect” è un album strano e credo che i nostri ultimi album siano più Moonspell in un certo senso, ma pezzi come “Can’t Be” o “Angelizer” erano ottimi e originali. Molta gente che allora lo odiava oggi mi chiede “Perché non fate un ‘Butterfly Effect Part II’?”.”
 
DOPO QUEL DISCO TORNASTE AD UN SUONO PIU’ TRADIZIONALE; ERAVATE DELUSI DAL RESPONSO DELL’AUDIENCE O SI TRATTO’ DI UNA NECESSITA’ ARTISTICA?
“Eravamo certo delusi, ma comunque non avevamo mai pensato che “The Butterfly Effect” costituisse una rifondazione dello stile dei Moonspell, si trattava piuttosto di un esperimento. Non tutti nel gruppo si sentivano a proprio agio con quel tipo di suono. Ci piacevano i Nine Inch Nails, ma quel genere di esperimenti non avevano possibilità di diventare una componente stabile nel nostro songwriting. Anche “Darkness And Hope” forse non era un disco pienamente “tradizionale” per noi; si tratta di un lavoro molto oscuro, molto disperato. Era il nostro sfogo per il momento di incomprensione che stavamo vivendo.”
 
ANCHE IL TUO PROGETTO SOLISTA, DAEMONARCH, E’ STATA UN’ANOMALIA NEL PERCORSO ARTISTICO DEI MOONSPELL…
“Musicalmente “mai dire mai” come dice 007. Certo, se me lo chiedi ora ti rispondo che non ho interesse a replicare quel genere di esperimento. Dal punto di vista concettuale mi interessava ispirarmi al misticismo dei primi album dei Bathory: poche foto, poche interviste, poche informazioni. Alla gente piaceva, ma tutti volevano più informazioni. Il mio era un gioco, ma in molti non lo colsero; volevo mantenere il mistero intorno al gruppo, ma non ci sono riuscito. Alcuni dicono che il nuovo singolo “Finisterra” abbia qualcosa di Daemonarch, ma io penso che sia più il contrario: Daemonarch aveva molto dei Moonspell.”
 
COME BAND AVETE VISSUTO IN PRIMA PERSONA LA NASCITA DEL BLACK METAL; COSA PENSI A DISTANZA DI QUINDICI ANNI DI QUEL MOVIMENTO?
“Credo che il black metal fosse un movimento molto interessante, che diede il proprio meglio nei primi anni ’90 con dischi come “De Misteryis Dom Sathanas”, ma in seguito mi sembra che si sia trasformato in una caricatura di se stesso. Il black metal di oggi si basa sullo shock value più che sulla musica e non trovo che sia un fatto particolarmente positivo. Il black metal delle origini aveva un concept interessante; non parlo necessariamente dell’odio o dell’anticristianesimo, ma piuttosto del paganesimo, del ritorno alla natura. Sono un fan di gruppi come Bathory, Venom, Celtic Frost, Hellhammer e poi, ovviamente, Mayhem e altri gruppi norvegesi. Oggi mi piacciono i Cradle Of Filth; credo che i loro ultimi tre album siano grandiosi e mantengano viva la fiamma di “The Principle Of Evil Made Flesh”.”
 
“ALMA MATER” E’ PROBABILMENTE IL BRANO PIU’ AMATO DAI VOSTRI FANS; HO SEMPRE PENSATO CHE FOSSE DEDICATA AL PORTOGALLO, E’ COSI’? A COSA SI RIFERISCE IL TESTO?
“ “Alma Mater” è dedicata alla mia nazione. Ma non è solo questo. Ai tempi di “Wolfheart” ci sentivamo molto soli nella scena; ci sembrava che nessuno capisse cosa volevamo dire, perché nella scena portoghese eravamo molto odiati e anche alla Century Media non si fidavano di noi, pensavano che usare il portoghese fosse una cattiva idea. “Alma Mater” era una risposta a tutto ciò, e credo sia stata la risposta migliore. Anche senza conoscere il portoghese, molti capiscono che “Alma Mater” parla di orgoglio, è una canzone dedicata ad un gruppo di persone indipendenti. Da una canzone su noi sei, sei lupi solitari, si è trasformata in una canzone globale, nella quale i nostri fans si riconoscono. La gente la percepisce così. Credo che “Blood Tells!”, sul nuovo album abbia quel genere di spirito, è una canzone su di noi.”
 
SO CHE SUONERETE IN MAROCCO; NON E’ MOLTO COMUNE CHE UN GRUPPO METAL SUONI NELL’AFRICA DEL NORD. COME E’ NATA QUESTA IDEA?
“Non ci potevo credere quando me l’hanno detto. Non voglio essere sentimentale, ma è il bello del Metal. Ho visto foto di concerti metal in Iraq, con ragazzi che indossavano magliette dei Gorefest o dei Morbid Angel; è una cosa che mi ha fatto capire quanto il metal possa unire le persone. La data in Marocco è stata una sorpresa. I nostri amici Kreator hanno suonato lì e alcuni amici comuni hanno parlato con un promoter che ci ha voluti in Marocco. La cosa migliore è che si tratterà di uno show gratuito che si terrà in uno stadio con ventimila persone. Tutti vorranno sentire “Alma Mater”.”

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