MORTIIS – Dentro un oscuro universo

Pubblicato il 13/02/2019 da

Certo, non avrà toccato il successo e la fama di Ozzy o Lemmy, ma che Mortiis sia un personaggio a dir poco iconico del mondo Metal è fuori discussione. Gli ultimi due anni sono stati un periodo intenso per il folletto norvegese: dal ritorno sulle scene con un album che ha inaugurato una nuova Era nella sua complessa epopea musicale alla ristampa di tutti i lavori dell’Era One, passando per la pubblicazione riveduta e corretta di “Secrets Of My Kingdom”, il suo libro che era insieme diario, zibaldone, raccolta di poesie e manifesto, splendidamente curato assieme a Dayal Patterson. L’occasione era ghiotta per una lunga chiacchierata, in cui Håvard Ellefsen (questo il suo nome mortale) non si è risparmiato, anzi; dal rapporto con l’industria discografica agli albori del black metal, ecco di seguito il resoconto della nostra lunga intervista.

CIAO HÅVARD, L’ULTIMA VOLTA CHE TI ABBIAMO INTERVISTATO ERA IL 2001, QUINDI DIREI CHE C’È MOLTO DI CUI PARLARE. PARTIREI DAGLI ULTIMI DUE ANNI, IN CUI SEI STATO DECISAMENTE OCCUPATO; SEI STATO LONTANO DALLE SCENE PER DIVERSI ANNI, PER TORNARE TRA NOI CON PARECCHIA ROBA: COS’È SUCCESSO TRA “PERFECTLY DEFECT” E OGGI?
– È lunga da raccontare, ma evito di annoiarvi tutti a morte. Facendola breve, abbiamo composto “Perfectly Defect” e “The Great Deceiver” più o meno nello stesso momento, anche se siamo tornati qualche volta in studio per perfezionare il secondo. In quel periodo abbiamo provato a collaborare con etichette, promoter e con l’industria discografica in genere, ma non ha funzionato; qualunque accordo sembrava fatto nell’interesse dell’agente di turno, senza alcuna attenzione verso il futuro della band, quindi ci siamo allontanati da quel mondo nuovamente: già lo avevamo fatto per “Perfectly Defect”, che avevamo distribuito in download gratuito quando ancora nessuno o quasi lo faceva. Non eravamo spariti, però, come molti pensavano; abbiamo continuato a registrare, siamo tornati in tour e abbiamo infine pubblicato “The Great Deceiver” a inizio 2016. Da lì in poi abbiamo pubblicato e ristampato parecchia roba, anche perché il 2016 è stato l’anno in cui ho infine tagliato definitivamente i ponti con gli ultimi strascichi di legami e obblighi con l’industria discografica, persone che ti mettono solo i bastoni tra le ruote… riprendendo a lavorare in maniera indipendente. Possiamo dire che ora esisto su una immaginaria linea di confine nel mondo della musica, senza farne realmente parte, e va benissimo così! Nel 2017 la versione industrial rock della band ha preso una pausa e io mi sono concentrato sulla Era One di Mortiis, essenzialmente come solista, il che va a sua volta benissimo.

GIÀ, IL GROSSO DELLA TUA ATTIVITÀ RECENTE SI È FOCALIZZATO SU ERA ONE… E ANCHE QUANTO L’HA PRECEDUTA, PER CERTI VERSI. PER ESEMPIO CON LA RIPUBBLICAZIONE IN NUOVA FORMA DEL TUO LIBRO “SECRETS OF MY KINGDOM”: COME HAI LAVORATO AL SUO ‘RESTAURO’?
– È stata una collaborazione tra me e Dayal di Cult Never Dies, ed è giusto dargli un enorme riconoscimento per come ha guidato il progetto al livello cui è arrivato il prodotto finito, per tutte le interviste, la cura nell’artwork e così via. Il lavoro è stato comunque abbastanza lineare, per lo più mi ha coinvolto nel ripescare vecchissimi file, la maggior parte risalenti agli anni Novanta e miracolosamente salvati su floppy disc, il che è stato un risparmio di tempo notevole. Poi ho letteralmente esplorato la mia soffitta alla ricerca di scritti inediti, ho messo tutto insieme (tralasciando comunque del materiale che non mi sembrava adatto) e l’ho inviato a Dayal a Londra. Abbiamo collaborato pressoché su tutto, dall’aspetto grafico ai testi, con anche l’esaltante lavoro di Michael Riddick che ha a sua volta recuperato materiale visivo inedito, oltre poi al contributo di David Thiérrée, con cui da un po’ collaboravo, per la nuova copertina, di cui sia io che Dayal siamo veramente contenti.

IL MESE SCORSO, CON LA RISTAMPA DI “THE SONG OF A LONG FORGOTTEN GHOST”, HAI PRATICAMENTE TERMINATO DI RIMETTERE SUL MERCATO TUTTO IL TUO CATALOGO PIÙ VECCHIO. IN RETROSPETTIVA, CHE VALORE DAI A QUEL PERIODO, SIA PER TE CHE PER I TUOI FAN?
– Purtroppo non ho potuto ristampare del tutto il mio catalogo, poiché la Earache possiede i diritti su “Født til å Herske” (in tutto il mondo a parte gli Stati Uniti, dove infatti ho potuto ristamparlo e ridistribuirlo io), “The Stargate” e “Crypt Of The Wizard”, e al momento non hanno né intenzione di ristamparli, né di accettare poposte per licenze; è un peccato, e uno dei motivi per cui sono alquanto allergico a firmare nuovi contratti discografici: tendono a trattare gli artisti come merda, magari non tutti, ma la mia esperienza con le etichette è piuttosto orribile, finora.
Per quanto riguarda l’importanza del periodo Anni Novanta di Mortiis, non saprei, è difficile prendere le distanze e guardare ad esso in maniera oggettiva, ma penso che il pubblico abbia compreso la dimensione mistica di Mortiis e come fosse molto particolare musicalmente e visivamente. Penso fosse eccitante per i fan dell’epoca essere parte di qualcosa che emergeva dal magma del periodo. Per molti versi Mortiis è sempre stato visto come un emarginato, quindi la mia sensazione è che coloro che si sentivano emarginati a loro volta si siano rivolti verso la mia musica.

A PROPOSITO DEI TUOI FAN, VECCHI E NUOVI, SEI STATO RECENTEMENTE IN TOUR RIPROPONENDO PER INTERO IL TUO PRIMO ALBUM, “ÅNDEN SOM GJORDE OPPRØR”. COSA TI HA SPINTO A QUESTA SCELTA, E CHE RESPONSO NE HAI AVUTO?
– Beh, innanzitutto va detto che è una re-interpretazione di quel lavoro: ho ri-registrato tutto, includendo nuove parti e aggiungendo delle cose sulla musica originale, rendendolo decisamente migliore, più coeso, più potente ed epico. Gli ho dato anche una maggior dimensione percussiva, una cosa a cui al tempo davo poca attenzione.
A livello personale, il motivo per cui mi sono infine convinto a suonare la musica delle origini è che per anni ho fatto fatica a comprendere appieno il mio vecchio materiale, mi sembrava pieno di errori; ma questa sensazione era legata anche a una profonda depressione di cui ho sofferto dalla fine degli anni Novanta. Negli ultimi tempi sono riuscito a superarla abbastanza bene, quindi diciamo che si è diradata la nebbia che avevo davanti agli occhi e sono stato in grado di guardare alla mia vita con occhi differenti, a essere motivato a risuonare certa musica. Come detto, comunque, è una restituzione con diversi cambiamenti… Ha ancora lo spirito originale, ma reso più intenso e potente. Non sarebbe stato altrettanto stimolante riproporla pari pari.
Finora il responso ai live è stato ottimo, spero che l’interesse permanga e di poter proseguire. Anzi, qualche agenzia italiana mi dovrebbe contattare per farmi suonare (ride, ndR)!

PENSI CHE I TUOI FAN SIANO DIVISI TRA LE DIVERSE ERE DEL PROGETTO MORTIIS O SIANO ESSENZIALMENTE LO STESSO PUBBLICO PER TUTTE LE TUE FASI?
– Penso che sia una via di mezzo. Di solito chiacchiero sempre con un po’ di persone dopo i concerti e seguo i social, la mia impressione è che ci sia una gran quantità di persone che mi ha seguito in tutti i miei cambiamenti, ma ci sono anche quelli che mi hanno abbandonato da quando ho iniziato a fare musica con chitarre ed elettronica, così come ci sono fan che mi hanno scoperto in quella seconda fase e faticano a capire la mia roba più vecchia. La gente ha gusti differenti, è normale e va bene così.

IN TEMA DI RISTAMPE, HAI CURATO ANCHE LA RI-EDIZIONE DEGLI ALBUM DI VOND, CHE SONO PROBABILMENTE L’ESPRESSIONE PIÙ OSCURA E DEPRESSIVA DEL TUO MONDO MUSICALE. TI PREFISSAVI SEMPLICEMENTE LO SCOPO DI RENDERLI (FINALMENTE) DI NUOVO DISPONIBILI O LI RITIENI ANCORA UNA PARTE IMPORTANTE DELLA TUA EVOLUZIONE? MAGARI QUALCOSA SU CUI TORNARE A LAVORARE, ANCHE DAL VIVO?
– Non so se proporrò mai Vond dal vivo… un giorno, magari, ma chissà. Vond era un side-project nato nel 1993 quasi per necessità: mi ero reso conto che il concept di Mortiis mi confinava per certi versi a una singola idea e a un tema, e avevo bisogno di qualcosa che mi permettesse di esprime il mio lato più ‘umano’ (Mortiis era basato su un’altra dimensione, un mondo diverso da questo). È stato importante, perché ho avuto a che fare fin da giovane con la depressione, con l’isolamento e la disillusione verso la gente e il mondo. Musicalmente è molto simile a Mortiis, ma dal punto di vista tematico è infinitamente più dark e ha a che fare con la morte e il suicidio.
Ho usato le ristampe di Vond come una specie di esperimento per vedere se ero a mio agio a riaffrontare certi pezzi della mia vita; ho pensato che se non fossi stato sereno, almeno avrei fatto la prova con un progetto “meno importante”, rinunciando a fare lo stesso con le ristampe di Mortiis. Per fortuna è andata bene, e mi sono dedicato a riprendere tutto il materiale di Mortiis… almeno quello di cui detengo i diritti, come dicevo prima.

SEI SOLITAMENTE VISTO COME UNO DEI CREATORI (SE NON IL) DEL DUNGEON SYNTH. QUAL È IL TUO PUNTO DI VISTA SU QUESTO GENERE MUSICALE E LA SUA EVOLUZIONE? SICURAMENTE È UNA SCENA CHE HA AVUTO UNA DISCRETA ESPLOSIONE, DI RECENTE, ALMENO NELL’UNDERGROUND.
– È un piacere questo riconoscimento, francamente non mi sarei mai immaginato di essere visto come l’iniziatore di un genere musicale. Voglio dire, è stato tutto una specie di ‘incidente’, di caso; ho creato della musica senza particolari riflessioni o progetti alla base, a parte quello di voler comporre musica atmosferica. Ammetto di non essere molto sul pezzo su quanto avviene oggi nel Dungeon Synth, è ancora un genere relativamente giovane: sarà interessante vedere in che direzione si evolverà nei prossimi anni. Al momento mi sembra ancora molto puro, così come sono puristi gli appartenenti alla scena; se ciò sia un bene o un male, lo vedremo.

IL TUO “COMEBACK TOUR” È INIZIATO PROPRIO AL FESTIVAL DELLA COLD MEAT INDUSTRY, L’ICONICA ETICHETTA DEL GENERE. SEI ANCORA IN CONTATTO COI RAGAZZI CHE CI LAVORANO O CON LE BAND CHE PUBBLICAVANO?
– Non sento spesso Roger Karmanik (il fondatore dell’etichetta, ndR), se ti riferisci a lui; ci siamo sentiti qualche tempo fa via Messenger, ma Roger è abbastanza recluso, quindi di solito nemmeno risponde (ride, ndR)! Sento di tanto in tanto qualcuno come Jouni degli In Slaughter Natives o Thomas degli Ordo Rosario Equilibrio. Ma non credo che nessuno di loro pubblichi più con la Cold Meat.

LA MAGGIOR PARTE DELLE TUE RISTAMPE NON HA SUBITO GROSSI CAMBIAMENTI, A PARTE LE NUOVE COPERTINE DI DAVID THIÉRRÉE, CHE COME DETTO HA LAVORATO ANCHE SUL TUO LIBRO. VI CONOSCEVATE GIÀ, AVETE LAVORATO DI CONCERTO SU QUESTE GRAFICHE? A MIO PARERE IL SUO TOCCO SI SPOSA A MERAVIGLIA CON LA TUA MUSICA.
– Avevo lavorato con David a una vecchia riedizione americana dell’LP “Keiser Av En Dimensjon Ukjent”, e francamente me n’ero dimenticato, fino a che non ho iniziato a vedere i suoi lavori in giro e ho pensato che sarebbe stato perfetto per le ristampe che avevo in mente. L’ho contattato ed è stato lui a ricordarmi che aveva già contribuito all’artwork di Mortiis in passato… va detto che non si era trattato della copertina, ma di una grafica interna di una ristampa di cui avevo seguito poco i vari aspetti, in particolare quello visuale; me n’ero proprio dimenticato!
Sono d’accordo, i suoi disegni si adattano alla mia musica perfettamente.

A PROPOSITO DELLA DIMENSIONE VISUALE, IL LATO ESTETICO È SEMPRE STATO RILEVANTE PER MORTIIS, DALL’USO DELLE PROTESI FACCIALI AI DISEGNI CHE ACCOMPAGNANO IL TUO LIBRO; È QUALCOSA CHE HA SEMPRE FATTO PARTE DEL TUO MODO DI ESPRIMERTI?
– Sì: il mio primo ricordo nella vita è aver visto Gene Simmons dei KISS in tv, quando ancora usavano le maschere, e mi ha folgorato da subito. La dimensione estetica della musica ha sempre avuto grande importanza, per me, ho sempre comprato dischi basandomi sulle copertine o sulle foto della band sul retro: è così che ho conosciuto i primi Slayer, Hellhammer, Venom, Infernal Majesty, Voivod e così via… avevano tutti delle foto e una dimensione visuale pazzesche. Amo tuttora tutte queste band. Era quindi naturale, per me, mettere questi elementi tipicamente metal nella mia musica e nella mia immagine, anche se musicalmente non era metal. Ma non mi è mai importato…

DA DOVE VIENE LA TUA ISPIRAZIONE? CHE TIPO DI LIBRI (O FILM, O ALTRO) TI APPASSIONA PARTICOLARMENTE?
– Al tempo era un mix di letture fantasy tipo Tolkien e della straordinaria dimensione visuale dei KISS, oltre alla follia e all’estremismo della nascente scena black metal. Di questi tempi non ho tempo per leggere molto, quindi dirti cosa mi ispiri non è facile… Guardo film, sono un grande appassionato degli universi Marvel e DC, quindi sicuramente ho sempre passione per il lato più immaginifico di un’opera, che si tratti di libri o film. Sono anche molto affascinato dall’arte di Beksinski.

SEI COMPARSO SULLA SCENA MUSICALE COME PRIMO BASSISTA DEGLI EMPEROR. HAI ANCORA CONTATTI CON I RAGAZZI DELLA BAND? SEI ANCORA INTERESSATO AL BLACK METAL E CHE OPINIONE HAI DI QUEL PERIODO?
– Di tanto in tanto sento Samoth, anche se non spessissimo: potremmo impegnarci di più, in effetti, però sai, non siamo più ragazzini e la vita è piena di impegni. Penso siano stati anni importanti, hanno definito quello che sarebbe stato il black metal scandinavo o almeno norvegese, ed è stato un periodo educativo, nel senso che è stata la prima band con cui ho suonato avendo a che fare con etichette musicali, andando in veri studi di registrazione, suonando qualche volta dal vivo, facendo vera esperienza, insomma… Più in generale, la follia che ha circondato quella e molte altre band del periodo era grosso modo la comune pazzia dell’adolescenza. Non comprendevamo le conseguenze delle nostre azioni, e ovviamente i roghi delle chiese e gli omicidi non avevano nulla a che vedere con la musica, ma se vuoi vederla dal punto di vista più cinico possibile ha creato una tale controversia che sono certo ha contribuito a incrementare le vendite e a creare un’enorme e folle pubblicità gratuita. Sono sicuro che metà degli hipster che oggi ascoltano i Mayhem lo fanno per la controversa storia del black metal norvegese e non necessariamente per la musica in sé. E tuttavia, non ho rimpianti personali: è una tragedia che Euronymous sia morto, non doveva succedere. Non so perché Varg l’abbia fatto… ci sono mille versioni, a riguardo, ma se davvero è stato per gelosia è patetico; Burzum era idolatrato, al tempo, non c’era alcuna ragione per cui Varg fosse geloso.

SEMPRE RESTANDO ALL’INIZIO DELLA TUA CARRIERA, COM’È NATA MATERIALMENTE L’ENTITÀ MORTIIS?
– Nell’estate del 1992 avevo scritto una dozzina di testi ideati per un concept degli Emperor, era la Fondazione di un universo parallelo oscuro: due dei testi erano “I Am The Black Wizards” e “Cosmic Keys To My Creations And Times”, che finirono poi sull’EP. Una volta registrato quello mi hanno licenziato, sostenendo che avessi un pessimo carattere (ride, ndR)! Ho quindi deciso di portarmi via i miei testi e ho iniziato il mio progetto ispirandomi a Klaus Schulze, ai Tangerine Dream e alla Transilvania, decidendo che sarebbe stato realizzato solo coi synth, dato che non volevo più avere a che fare con altra gente. Sono andato in un negozio di musica a comprarmi delle tastiere il giorno dopo il ‘licenziamento’, iniziando per la prima volta nella vita a comporre musica: era l’ultima settimana del 1992, quindi il mio regalo di Natale di quell’anno fu essere cacciato dagli Emperor e dar vita a Mortiis (ride, ndR)! È stato brutto essere cacciato, al tempo, ma ritengo di aver fatto qualcosa di buono, alla fine, da solo.

CHIUDEREI CHIUDENDO ANCHE UN SIMBOLICO CERCHIO: COSA CI ASPETTA DAL FUTURO DI MORTIIS? RITIENI CHE LA TUA CREATURA ABBIA RAGGIUNTO IL SUO APICE, UN NUOVO INIZIO, … INSOMMA: COS’HAI IN MENTE?
– Ho già un po’ di materiale quasi pronto, mi serve solo del tempo per mettermici seriamente su. Direi che un nuovo inizio è la giusta definizione, magari non nel senso letterale del termine, ma un risveglio sì, e l’inizio o la ripresa della mia esplorazione attraverso l’Universo di Mortiis. A cosa porterà, è ancora tutto da vedere.

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