Oracoli di sofferenza a prostrazione, i Mourning Dawn con l’ultimo “The Foam Of Despair” sono andati ad aggiornare il loro ricettario sonoro, proponendoci quello che è probabilmente il disco più vario, sperimentale e meno depresso della propria discografia.
Non che improvvisamente abbiano deviato verso materiale allegro e beato, però il trio francese guidato dal cantante/chitarrsta Laurent Chaulet si è reso protagonista di una prova ancora più eclettica del consueto, andato a toccare territori mai frequentati prima d’ora.
Tra aperture melodiche inattese, fasi orecchiabili, inserti di sax e beat trip-hop, l’intera esperienza dell’ultimo disco si è tramutata in qualcosa di famigliare ma con ampi momenti in cui il death/doom/black metal della formazione è andato rinfrescandosi e mutando in parte i connotati.
Frutto di momento umano più felice e meno torbido soprattutto per il suo leader, che nell’intervista che segue ci parla con rinnovato entusiasmo e nervi finalmente più distesi del suo gruppo, ormai un’icona di cruenta tristezza e dei tanti modi di esprimerla.
ARRIVA DA PARTE VOSTRA NEL 2024 UN’ALTRA COLONNA SONORA DI RABBIA E DISPERAZIONE, MA QUESTA VOLTA SI PERCEPISCE QUALCOSA DI DIFFERENTE, NEL TONO MUSICALE E NELL’ESPRESSIONE FORMALE DELLE VOSTRE EMOZIONI: IN CONTRASTO CON L’INESORABILE, PUTRIDA VIOLENZA E MALATTIA CHE LA VOSTRA MUSICA PROMANA, VI È ANCHE UN TOCCO MALINCONICO, CHITARRE PIÙ LUMINOSE E ALCUNI ESPERIMENTI, GRAZIE AL CONTRIBUTO DI DIVERSI OSPITI.
POSSIAMO SUPPORRE CHE LA GENESI DI “THE FOAM OF DESPAIR” SIA STATA ABBASTANZA DIFFERENTE DAL TRAVAGLIATO CAMMINO CHE VI AVEVA CONDOTTO A “DEAD END EUPHORIA”?
– Verissimo, è andata proprio così e ti ringrazio di avermelo chiesto. “Dead End Euphoria” era pura miseria, ci era costato molti anni, passando tra depressione, problemi di produzione, nulla sembrava funzionare se aveva a che fare con quel disco. Eccetto il risultato finale: potevi percepire come fosse vera, onesta oscurità, comunicata in modo franco e diretto da un’anima ad un’altra. In seguito ho dovuto pensare a guarire me stesso e decidere sul futuro della band.
Vent’anni di musica depressa non sono qualcosa che puoi semplicemente prendere e buttare nella spazzatura. Ora la mia vita è cambiata. Ho recuperato, mi sento meglio, le cose hanno iniziato a prendere una piega positiva, fino a diventare padre. Tempi felici.
Quindi ho iniziato a pensare a un nuovo album dei Mourning Dawn, affrontandolo finalmente con uno stato mentale diverso dal passato. Lo puoi sentire facilmente nella musica, è più basata sulla malinconia, con tanti esperimenti, non volevo semplicemente scrivere ‘un altro album’. Sull’atmosfera generale, continuo a vederlo come qualcosa di tremendamente depresso ma, per una volta, do qualche istante di respiro all’ascoltatore.
LA CANZONE CHE PIÙ DI OGNI ALTRA SEGNA UN CAMBIAMENTO DI ROTTA E VI SPINGE A UN SUONO VAGAMENTE ORECCHIABILE È “BLUE PAIN”, CHE SEMBRA UNA VERSIONE LIEVEMENTE INCATTIVITA DEI KATATONIA DI “BRAVE MURDER DAY” E “DISCOURAGED ONES”, CON UN RITORNELLO MOLTO DISTINTIVO.
AVETE ANCHE FILMATO UN VIDEO PER QUESTO BRANO. CHE COSA RAPPRESENTA PER VOI “BLUE PAIN”, DOVE POSSIAMO ASCOLTARE ANCHE LE LINEE VOCALI DI DÉHÀ, UN PROLIFICO POLISTRUMENTISTA BELGA, SPECIALIZZATO PROPRIO IN SONORITÀ OSCURE COME LE VOSTRE?
– Prima di iniziare nuovamente a comporre per i Mourning Down, ho iniziato un progetto gothic rock chiamato Silt. Lo scopo con esso è di realizzare canzoni semplice e molto orecchiabili. Penso si possa sentire l’influenza di questa cosa in “Blue Pain”. Ho avuto il desiderio di scrivere una specie di singolo, volevo sfidare me stesso per riuscire a scrivere qualcosa di catchy, più breve del consueto ma che contenesse tutta la dura, pura miseria tipica di Mourning Dawn.
Alla fine la canzone è venuta fuori in modo abbastanza facile, come se fossi già abituato a quel tipo di struttura. Déhà è il produttore del disco, siamo amici e reciproci fan dei nostri progetti, è stato semplice chiamarlo anche a cantare su “Blue Pain”.
UN’ALTRA CANZONE CHE MOSTRA UNA DIREZIONE ECLETTICA E IMPREVEDIBILE È “SUZERAIN” E IL SUO FEELING TRIP-HOP. PERCHÉ HAI SCELTO DI PUNTARE SU QUESTI TONI SOFT/ELETTRONICI IN QUESTA TRACCIA, UN ESPERIMENTO CHE PERSONALMENTE HO TROVATO RIUSCITO, DIMOSTRANDO L’ELASTICITÀ E LA VERSATILITÀ DEL VOSTRO SUONO?
– Sono sempre stato interessato alle sonorità elettroniche-industrial (come puoi sentire, in versione nichilista, sull’EP “Waste”). L’obiettivo primario di “Suzerain” era di mostrare il mio interesse per la poesia (René Char è uno dei miei autori preferiti), la canzone nella sua prima versione era molto più ‘metal’ di quella poi finita sull’album. Ma mi ero accorto che un classico drumming umano suonava troppo neutrale. Così ho aggiunto le parti trip-hop, infine ho chiesto al mio amico A/K (Merrimack, Decline Of The I) di aggiungere qualche beat in altri punti della canzone.
Anch’io penso che l’esperimento sia perfettamente riuscito, è una traccia dalla forte personalità elettronica ma comunque depressa e perfettamente identificabile con i Mourning Dawn.
LE LINEE CHITARRISTICHE CONFERMANO LA TUA FORTE PERSONALITÀ E IL TUO CARATTERE, MANTENENDO UN TAGLIO CARATTERISTICO CHE IDENTIFICA CHIARAMENTE DI TROVARSI DAVANTI AI MOURNING DAWN. QUALI SONO GLI ELEMENTI CHE MEGLIO IDENTIFICANO IL TUO STILE CHITARRISTICO?
– Sono un chitarrista scarso ma ho ottime idee (risate, ndR). Non so, penso che ciò derivi dalle mie influenze, che sono molto extreme metal vecchia scuola e sconnesse dal filone depressive metal. Ad essere onesto, non mi piace per nulla il depressive black metal, è scialbo e terribilmente poco originale, nella maggior parte dei casi.
Mi piace comunque che si pensi io abbia uno stile riconoscibile, non è una qualità così facile da ottenere. Da collezionista di dischi, è qualcosa che vado sempre cercando: personalità. Quindi ti ringrazio per avermi attribuito questa dote.
UN ELEMENTO RIMASTO QUASI INVARIATO NELLA TUA MUSICA È LA RUVIDA E GENUINA ASPREZZA DELLA VOCE. COME HAI TROVATO E PERFEZIONATO LO STILE VOCALE PIÙ ADATTO PER I MOURNING DAWN? QUALI SONO LE CARATTERISTICHE CHE RENDONO, A TUO AVVISO, INCONFONDIBILE LA TUA VOCE RISPETTO AD ALTRE DEL METAL ESTREMO?
– Anche in questo caso, non so darti una spiegazione razionale. Non uso nessuna tecnica particolare, non c’è nulla di studiato. Il mio è un urlo molto ‘di gola’, nel senso che non uso una respirazione profonda quando canto in growl. Non è una cosa buona per le corde vocali, fa male, ma è questo il modo in cui canto.
Ho iniziato a urlare in questa maniera dopo un primo periodo di depressione, nel 2003 (lo puoi sentire nell’EP “The Freezing Hand Of Reason”, che non è il massimo come suono generale, mentre le linee vocali sono qualcosa di pazzesco, stavo letteralmente rotolando con la schiena a terra, fin quasi a vomitare), forse anche per via del mio intenso ascolto dei Deinonychus.
È strano a mio modo di vedere che i Deinonychus di Marco Kehren siano rimasti una realtà molto underground, quando di fatto lui è uno degli originatori di quel modo di cantare che poi utilizzo pure io.
L’ARTWORK DI “THE FOAM OF DESPAIR”, CON IL GRIGIO QUALE COLORE DOMINANTE, INTERROMPE UN TEMA COMUNE NEI DISCHI PRECEDENTI, OVVERO QUELLO DI PRESENTARE PERENNEMENTE COLORI SCURI E IMMAGINI COSTANTEMENTE TETRE E OPPRESSIVE. IN QUESTO CASO PERCEPIAMO STRANIAMENTO, SOLITUDINE, PAURA, CONFUSIONE, MA SENZA IL TONO GREVE DELLE COPERTINE PASSATE. È UN’IMMAGINE SEMPLICE, MA CON UN FORTE IMPATTO. PUOI SPIEGARCI LE RAGIONI DI UN ARTWORK SIMILE?
– Ogni cosa è stata pensata per far parte di un quadro più generale. L’album ha come tema portante quello del tempo: certo, nulla di particolarmente originale, ma in fondo sono solo un essere umano che vive nell’unico mondo che conosce.
Sono stato ispirato per i testi da scrittori e filosofi come as Drieu la Rochelle, Camus (divertente questo fatto, questi due sono autori molto diversi tra di loro), Cioran, Caraco: ho realizzato la copertina da solo, avvalendomi di un po’ di aiuto tecnico da parte di alcuni amici, l’idea era di trasmettere il vuoto del tempo, la nostra caduta di fronte al nostro piccolo, effimero passaggio su questa terra, ispirandomi ai pittori romantici tedeschi e aggiungendo però un tocco di semplicità. Non c’è più l’oscurità, ci siamo solo noi persi nelle bianche reti della vita.
SE TU DOVESSI DESCRIVERE IN POCHE PAROLE PERCHÉ SIA UNA BUONA IDEA ASCOLTARE I MOURNING DAWN, QUALI ESPRESSIONI USERESTI?
– Volete ascoltare qualcosa di triste e intenso? Questo è ciò che fa per voi!
COME È CAMBIATA NEL CORSO DEGLI ANI LA TUA MOTIVAZIONE PER CREARE NUOVA MUSICA? FINORA QUALE È STATO IL DISCO CHE TI HA COSTRETTO AL MAGGIORE STRESS?
– Non ho mai smesso di comporre nuova musica, è come se fosse un bisogno per me, un’emergenza permanente che non mi fa fermare. Quando mi sento stanco, cerco semplicemente di rallentare i ritmi. Ma fin quando ho idee, perché dovrei interrompere quello che sto facendo? Spero soltanto che le persone abbiano la sincerità di dirmi quando sarò poco ispirato e la mia musica sarà di poco valore.
Su quale sia stato il disco più stressante da realizzare, non ho alcun dubbio: “Dead End Euphoria” è stato un incubo come nessun altro. È rimasto un inedito da quelle sessioni e non so come utilizzarlo. È così intensamente nero e drammatico, intenso: ma non penso di aver voglia di accostarmi nuovamente a qualcosa che risale a quel periodo, troppi brutti ricordi.
HAI QUALCHE VOLTA LA VOGLIA DI SCRIVERE MUSICA PIÙ SOLARE E RILASSATA? C’È MUSICA DAL TONO PIÙ POSITIVO CHE TI PIACE E VORRESTI POTER PROPORRE?
– Non scrivo musica positiva, non è roba per me. Posso ascoltarla, come certo heavy metal e folk, ma l’energia positiva la tengo ben stretta per la mia famiglia. Intendiamoci, mai dire mai, non penso nemmeno di andare avanti per altri vent’anni a scrivere musica estrema come faccio ora (risate, ndR).
IL 2023 È FINITO DA POCO (L’INTERVISTA SI È SVOLTA A INIZIO GENNAIO, NDR), QUALI SONO STATI I DISCHI PER TE PIÙ SIGNIFICATIVI E QUALI QUELLI DEL PASSATO CHE HAI RISCOPERTO PIÙ VOLENTIERI?
– Sono tanti, decisamente, ho nella mia collezione circa tremila tra CD e vinili. L’ultimo dei Dodheimsgard è sicuramente uno dei migliori del 2023. Confesso di aver apprezzato le ri-registrazioni dei fratelli Cavalera e, in un altro genere, ho apprezzato molto l’ultimo dei Brutus, intendo la band post-metal belga.
TERRETE UN RELEASE SHOW A PARIGI A FINE GENNAIO CON ATARAXIE, DÉHÀ E MARCHE FUNEBRE, UNA BELLA LINE-UP PER CHI AMA SONORITÀ PLUMBEE E FUNEREE. CI SARANNO ALTRI CONCERTI DURANTE IL 2024? AVETE IN PROGRAMMA APPARIZIONI AI FESTIVAL?
– Siamo in contatto con alcuni organizzatori, per ora non vi è nulla di fissato, vedremo cosa accadrà. Un passo alla volta, ma ammetto di non aver voglia di suonare molto, solo in alcune occasioni, show selezionati dove valga davvero la pena proporre la nostra musica.