Se volete ridere e scherzare, leggete altrove. Se non disdegnate soffrire, e pure tanto, restate con noi. I lutti e le tragedie sono di casa per i Mourning Dawn, guidati dalla tormentata personalità di Laurent Chaulet. Un funeral doom/black metal di sfregiante impatto emotivo, come sembra essere una costante per tutti quei musicisti gravitati in tempi più o meno recenti nella line-up degli extreme doomster Funeralium. Doom estremo, livoroso e vigoroso, ricco comunque di melodia e di un suo perverso sentimento, è quanto viene offerto in abbondanza in “Dead End Euphoria”, album dalle tante sfaccettature e musicalmente rifinito, ideale per chi si nutre di sonorità disperate e rabbiose, ma chiede siano interpretate con un minimo di raffinatezza e un occhio alle dinamiche. Un disco indubbiamente riuscito e non era scontato che ciò accadesse, viste le tanti vicissitudini affrontate dal mastermind nel tentativo di completarlo. Ne abbiamo raccolto i pensieri, forti e sinceri come la musica che propone la sua band.
“DEAD END EUPHORIA” È IL VOSTRO QUARTO ALBUM E ARRIVA DOPO MOLTE DIFFICOLTÀ, TECNICHE E PERSONALI. COME TI SEI SENTITO PER QUESTA SITUAZIONE, HAI MAI PENSATO DI FERMARE TUTTO E DI DIMENTICARE QUEST’ALBUM, CHE SEMBRAVA IN QUALCHE MODO ‘DANNATO’?
– Sì, ho pensato spesso di lasciar perdere. Ma sono una di quelle persone che finisce sempre quello che ha iniziato. Non importava come, dovevo arrivare in fondo, altrimenti avrei aggiunto solo vergogna e rimpianti a questo disco. E se n’erano già accumulati abbastanza. È stato incredibile come nulla abbia funzionato come avrebbe dovuto. Le difficoltà capitano e bisogna saperle affrontare, così è stato veramente troppo!
LOTTA, DEPRESSIONE, RABBIA, FOLLIA, DISPERAZIONE SI ABBRACCIANO L’UN L’ALTRA NELLA VOSTRA MUSICA, DANDO UN PARTICOLARE ACCENTO AL SUONO. PER COME LA VEDO IO, LA NON-PREVALENZA DI UN’EMOZIONE SULL’ALTRA DÀ UNA DINAMICA LA VOSTRO SOUND ABBASTANZA RARA PER QUESTE FORME DI DOOM COSÌ ESTREME. COME SIETE RIUSCITI A CREARE UN SOUND COSÌ DETTAGLIATO?
– So che può sembrare una risposta generica, ma tant’è: non lo so. Forse accade perché non ‘penso’ realmente a cosa sto facendo. Non mi metto mai nella prospettiva di dover realizzare un certo tipo di canzone. Scaturisce dalla mia mente senza alcuna premeditazione. Ho una personalità forte, intensa, nella vita quotidiana, mi piace che questo traspaia dalla musica che compongo. Sono pure contento di sembrare molto più onesto e lontano nell’approccio a quello di tante delle cosiddette depressive black metal band, la maggior parte di loro mi irrita parecchio. I Mourning Dawn non si concentrano specificamente sulla depressione, sul suicidio (qualcosa rispetto al quale sono fortemente contrario, tanto per chiarire): siamo soltanto una extreme metal band a cui piacciono le cose intense e cupe. Tutto il resto è qualcosa di estremamente personale.
SOTTO ALCUNI ASPETTI, I MOURNING DAWN POTREBBERO QUASI SUONARE CATCHY, ALMENO IN ALCUNI PUNTI, COME DURANTE LA TITLETRACK OPPURE “NEVER TOO OLD TO DIE”. QUALI SONO GLI ARTISTI CHE TI HANNO ISPIRATO NELL’USO DELLA MELODIA, CHE RICHIAMA UN’ATTENTA E COMPETENTE INTERPRETAZIONE DEI CANONI DEL CLASSIC DOOM?
– Sì, se consideriamo nell’insieme tutte le sfaccettature del sound, in effetti i Mourning Dawn possono essere abbastanza catchy. La band che mi ha ispirato principalmente nell’uso della melodia sono i Katatonia con “Brave Murder Day”. Che capolavoro, all’epoca quei ragazzi non avevano idea di quello che stavano facendo, di dove li avrebbe portati quella musica. È così che nascono i classici. Inoltre, altri gruppi che mi hanno impressionato quando ero più giovane sono stati i primi Deinonychus, Bethlem, Shining. Aggiungerei Godflesh, Evoken e gruppi più recenti come i Krypts, oppure completamente differenti come i Neurosis. Tra le mie favorite in assoluto non ci sono doom band in senso stretto, ma ho ascoltato molto extreme doom negli ultimi dieci anni. Alcuni ci considerano dei doomster che suonano black metal: è una buona definizione di quello che siamo.
CI SONO ANCHE ALCUNI RICHIAMI AL SUICIDAL/DEPRESSIVE BLACK METAL, PER ARMONIE ED ATMOSFERE. TI PIACE QUESTO GENERE? È CENTRALE NELLO SVILUPPO DEL VOSTRO STILE?
– In qualche modo ti ho già risposto sopra. Ritengo non vi siano vere ‘grandi’ band depressive black metal (mi piacciono i Psychonaut 4, magari, ma li ritengo un gruppo, nulla di straordinario). Rispetto a costoro, preferisco di gran lunga i vecchi Abyssic Hate, o Burzum. Il problema della scena depressive black metal è l’atmosfera lamentosa che vi gravita attorno. Non ha senso. La depressione non ha nulla a che fare con il cercare l’attenzione del prossimo. La depressione è un vuoto totale dal quale non proviene nulla. La depressione è un percorso fottutamente doloroso e, credimi, sei veramente felice quando riesci a uscirne! Da qui il mio odio per quella scena, formata da adolescenti (oppure adolescenti un po’ cresciuti) che attraversano una crisi di identità e rimangono affascinati da qualcosa legato alla morte. Musicalmente, può anche valerne la pena, in alcuni casi, quando non si limita a riciclare gli stessi vecchi riff, presi dal solito immaginario da teenager di persone che si tagliano le vene.
QUALI SONO I “LE CINQUE FASI DELLA MORTE” (“THE FIVE STEPS OF DEATH”) DEI QUALI PARLATE, NELLA CANZONE PIÙ LUNGA E ARTICOLATA DELL’ALBUM?
– È un’allegoria dei cinque stadi dell’elaborazione del lutto (negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione). Di base, è la storia di una paziente che ho assistito (lavoro in campo medico) che ha impiegato circa un anno per morire. Sono abituato a questi drammi, ma per lei è avvenuto qualcosa di speciale, perché la conoscevo prima che si ammalasse. Ho scritto questa canzone come un addio dedicato a lei. È stato interessante osservare come lei fosse scesa a patti col suo destino, mi ha fatto pensare al senso della vita e della morte, al passaggio tra questi due stati.
DUE MEMBRI DEI MOURNING DAWN IN PASSATO HANNO FATTO PARTE DEI FUNERALIUM. PERCEPISCO UN FORTE LEGAME TRA VOI E QUESTA BAND E GLI ATARAXIE, BAND CON STORIE DIVERSE, MA MOLTI MUSICISTI IN COMUNE, ORA E NEL PASSATO. QUALI SONO LE VOSTRE RADICI COMUNI, QUELLE CHE INFONDONO UN SUONO COSÌ CRUDELE, DISPERATO, DEPRESSO E VIGOROSO A TUTTI E TRE I GRUPPI?
– Siamo in tre a dire il vero ad aver fatto parte dei Funeralium, io, Vincent (Buisson, bassista, ndR) e Fred, il nostro chitarrista per i live. Siamo amici da molti anni e spesso condividiamo il palco. È divertente che la maggior parte dei musicisti coinvolti nel progetto provengono dalla Normandia, mentre io sono del sud della Francia. Quello che ci accomuna è che abbiamo tutti alle spalle qualche brutta esperienza che ci ha segnato e i sentimenti che ne sono derivati sono finiti in quello che suoniamo. Tutti noi ci siamo lasciati indietro quei brutti periodi delle nostre vite, mentre è rimasto intatto l’amore per il doom, quel fuoco sacro che ti porta a continuare a suonare il genere. Altrimenti, che ragioni avremmo per farlo? Non stiamo di certo parlando del tipo di musica più attrattivo di questo mondo, per guadagni e appeal sulle ragazze (risate, ndR).
SE TU DOVESSI GIUDICARE LA VOSTRA DISCOGRAFIA FINO AD ORA, QUALI SAREBBERO I PUNTI PIÙ ALTI E QUELLI PIÙ BASSI?
– Il momento migliore lo collocherei nella realizzazione del nostro primo album, tutta la scalata verso un contratto semi-professionale, i primi concerti, i primi contatti con il resto della scena doom… Siamo tutti un po’ nostalgici per quei tempi. Ma sappiamo che tutte le band devono fare i conti con alti e bassi. Tra questi, metto sicuramente il tempo trascorso tra “Les Sacrifiés” e “Dead End Euphoria”. Tour internazionali cancellati, uscite discografiche cancellate, il nostro chitarrista che ci lascia, il divieto di ingresso subito dalla Cina (se vogliamo, quello non è detto sia una cosa negativa…), problemi abnormi durante il mixaggio, i problemi personali che mi hanno condotto alla depressione… Insomma, tante situazioni negative, per fortuna adesso appartengono al passato.
A PROPOSITO DEL TOUR IN CINA, VOLEVO SAPERE PER QUALE MOTIVO VI ERAVATE ORGANIZZATI PER SUONARE IN QUEL PAESE E PER QUALE MOTIVO LE COSE SI SONO COMPLICATE, FINO AD ARRIVARE AL DIVIETO DI INGRESSO NEL PAESE.
– È andata così: la label cinese Pest Prodctions ci aveva offerto di organizzare il tour nel loro paese e di darci la possibilità di ri-registrare il nostro primo album, da tempo fuori catalogo. Il contratto era buono e ci è parso una buona mossa accettare. Non avevamo fatto i conti con le autorità cinesi. Stava andando tutto bene, finché una ‘fan’, chiamiamola così, molto conosciuta negli ambienti internet cinesi (una di quelle cosiddette ‘black metal fan’ che si ritraggono in pose provocanti per attrarre attenzioni e avere una vita virtuale per loro soddisfacente), non ha scovato sul mio profilo personale alcuni scherzi sulle persone cinesi. Piccoli sketch molto leggeri, presi per altro da un film francese piuttosto noto, “OSS 117”. Ebbene, lei dopo averli visti ha gridato allo scandalo, sostenendo che eravamo razzisti e ha avvertito le autorità cinesi. Da lì è stata un’escalation: ci è stato vietato l’ingresso nel paese, alcune venue dove era previsto un nostro concerto sono state controllate da cima a fondo, un paio di festival sono stati cancellati. Non abbiamo avuto alcun contatto con i nostri amici cinesi per almeno un mese. Se la denuncia fosse accaduta mentre eravamo già in Cina, saremmo sicuramente finiti in prigione. Per questo mi fa sorridere quando alcune persone, senza pensarci, chiamano ‘dittature’ qualche paese occidentale. Non hanno la più pallida idea di cosa significhi avere a che fare con una dittatura! A ripensarci, saremmo dovuti stare più attenti. Ma chi mai avrebbe pensato che sarebbe accaduta una roba simile? Pazienza, in fondo l’abbiamo scampata. Quando sono andato in vacanza in Nuova Zelanda poco prima scoppiasse la pandemia, ho dovuto evitare attentamente di non viaggiare con compagnie aeree cinesi (risate, ndR).
COSA HAI GUADAGNATO E COSA HAI PERSO NEL LASCIARE PARIGI E TRASFERIRTI IN UN’ALTRA ZONA DELLA FRANCIA? QUANTO HA INFLUITO QUESTA SCELTA SULLA TUA CREATIVITÀ?
– Ho guadagnato una migliore qualità della vita. Mi sono trasferito a Montpellier, nel sud della Francia. Una tipica città mediterranea. Non sono per forza uno che cerca il sole e le belle giornate a tutti i costi, ma qui mi godo degli splendidi paesaggi, sono a circa venti minuti dalla natura e dalla solitudine. Mi dedico molto all’escursionismo, un bel cambiamento rispetto alla mia vita parigina. Come aspetto negativo, c’è che ho perso molti contatti, ed è il motivo per cui negli ultimi anni abbiamo suonato meno come Mourning Dawn. Per conoscere le persone giuste, devi stare nei posti giusti. Stando lontano dal cuore della scena musicale, qualcosa è andato perduto. Ma non ho rimpianti sul punto, abbiamo solo una vita da vivere, non si può star dietro a tutto. Preferisco godermi la natura e il silenzio, piuttosto che passare le mie serate in qualche locale. Anche se non nego che mi piaccia ancora stare con gli amici e andare fuori a bere con loro. Solo mi piace fare queste cose con un ristretto numero di persone, con gli amici veri.
L’EXTREME METAL FRANCESE, IL BLACK METAL IN PARTICOLARE, È DIVENUTO QUALCOSA DI MOLTO IMPORTANTE NELL’UNDERGROUND METAL INTERNAZIONALE. VOI CHE COME MUSICISTI VIVETE IN QUESTA SCENA DA MOLTI ANNI, COME GIUDICATE QUESTA EVOLUZIONE? VI SONO CORRENTI SONORE RIMASTE ANCORA UN PO’ TRASCURATE, IN FRANCIA?
– È vero, oggi l’extreme metal francese è molto rispettato e seguito, e sembra incredibile, se consideriamo negli Anni ’90 eravamo quasi derisi. A quei tempi, essere francesi e suonare extreme metal era una specie di handicap. La nostra scena black metal ha dato credibilità a tutto il movimento. Culturalmente, noi francesi tendiamo a essere lacerati, tormentati, riflettiamo troppo sulle cose e ci disaffezioniamo in fretta. Siamo dipinti come persone cupe, noi francesi, sempre con qualche dissidio da risolvere. Ricordo che quando vivevo a New York, in un negozio di dischi che frequentavo, c’era uno scaffale dedicato al black metal francese. Per gli americani, noi francesi siamo le persone più cupe in circolazione. È divertente, da un certo punto di vista: ci dipingono come quelli con una ‘baguette di dolore’ sotto il braccio, oppure perennemente intenti a leggere “I Fiori del Male” di Baudelaire, mentre sorseggiano del vino rosso, oppure fumano oppio. Perché no (risate, ndR)?. Sono un ascoltatore di tipo ‘vecchia scuola’, compro ancora molti dischi, ad essere sincero non sono molto aggiornato sugli attuali trend della scena metal. Tendo anche a pensare, con la globalizzazione da tempo in atto, che si ascoltino un po’ le stesse cose dappertutto… Se dovessi citarti una band francese di oggi, nominerei i Decline Of The I, la mente principale del progetto è un mio amico, suonano dell’ottimo post-black metal.
CI SONO ALTRI PROGETTI NELL’ORBITA DEI MOURNING DAWN. PENSO AI CONVICTION, CHE HANNO REALIZZATO L’ALBUM OMONIMO A GENNAIO 2021, OPPURE AGLI WASTES, CON IL LORO “INTO THE VOID OF HUMAN VACUITY”. QUALE TIPO DI MUSICA SUONATE CON QUESTI DUE PROGETTI E QUALI SONO LE SIMILITUDINI CON I MOURNING DAWN?
– I Conviction sono il gruppo di Vincent e Fred, rispettivamente bassista e chitarrista. Suonano doom tradizionale, sulla scia di Saint Vitus, Cathedral e Trouble. Lo fanno molto bene. I Wastes sono un mio progetto personale, materiale molto estremo, simile a Wormphlegm e Thergothon, qualcosa che mi è venuto da scrivere durante un periodo particolarmente autodistruttivo. Non ho limiti con Wastes, il primo album era di un extreme doom molto ostico, il prossimo potrebbe essere black metal o industrial, o altro ancora. Qualche somiglianza con i Mourning Dawn c’è, le mie voci sono riconoscibili, le intenzioni sono diverse e penso si percepisca.