MR. BIG – La fine di un’era

Pubblicato il 01/10/2018 da

Durante l’intervista che abbiamo tenuto insieme a Eric Martin, il cantante dei Mr. Big, sono emersi particolari che mettono in grande discussione il futuro della band. Martin per tutta la durata della nostra conversazione si è sempre dimostrato brillante, allegro, cordiale e disponibile al dialogo. Nel momento in cui abbiamo iniziato a parlare di Pat Torpey, il batterista dei Mr. Big scomparso lo scorso febbraio dopo tre anni di dura lotta contro il morbo di Parkison, il tono di voce di Eric è improvvisamente cambiato, mostrando grande tristezza e struggimento per la perdita del suo caro amico. E’ venuta a mancare una parte fondamentale dell’ingranaggio che ha permesso ai Mr. Big di nascere e crescere fino a diventare una top band e vendere milioni di dischi. Questo tassello mancante non potrà più essere aggiustato né sostituito, un po’ come accadde per i Led Zeppelin dopo la morte di John Bonham. Eric ne è conscio e la sua conseguente decisione lascerà nello sconforto molti fan della formazione americana.

ERIC, IL VOSTRO NUOVO DISCO DAL VIVO, “LIVE FROM MILAN”, E’ STATO REGISTRATO A MILANO, PER LA GIOIA DEI FAN ITALIANI. COSA VI HA PORTATO ALLA DECISIONE DI SCEGLIERE L’ITALIA PER REGISTRARE IL VOSTRO LIVE?
– Vedi, la data a Milano è stata molto particolare per noi. Il tour era già iniziato da circa cinque mesi ed eravamo tutti molto carichi. Il ricordo più vivo che ho del Live Club è il caldo che ho patito durante lo show, ho sudato talmente tanto che mi sembrava di essere Janet Jackson (ride, ndR). Di solito siamo abituati a suonare in grosse venue, in Giappone soprattutto ci esibiamo ancora in grandi arene, invece in Italia abbiamo trovato una location più piccola, un vero rock club. Ad un certo punto ricordo che Billy Sheehan mi ha detto: “Hey, questo sarebbe un locale perfetto per registrare un live. E’ un vero club rock, più intimo rispetto alle arene e sicuramente terremo uno show più intenso, ruvido e a stretto contatto con i fan”. Quella sera insieme a noi hanno suonato due band molto valide, i The Answer e i Faster Pussycat. A causa del caldo all’interno del locale, devo ammettere che non mi sentivo molto a mio agio, eppure abbiamo fatto uno show straordinario, tutti noi eravamo in grandissima forma. Quella sera ho avuto l’impressione di dover ricominciare tutto da capo. Di solito nelle grandi arene dove suoniamo sentiamo il pubblico osannarci, aspettare con grande trepidazione il concerto di Mr. Big. A Milano invece mi sentivo come un giovane musicista che suonava in una nuova band, dovevamo conquistare quasi partendo da zero il favore dei presenti al concerto. Proprio per questo motivo abbiamo messo nello show tutte le nostre energie, per dare il massimo e soddisfare le aspettative di chi era venuto a vederci. Tempo dopo ho rivisto le registrazioni di quella data e sono rimasto positivamente stupito dalla qualità del concerto, molto organico, ruvido, energico, trasudava rock da ogni singola nota. Ricordo che durante una canzone, “Open Your Eyes”, io mi sono dimenticato le parole. Il brano contiene un sacco di rime e io sono andato in confusione. Allora ho guardato Billy e gli ho detto: “Cazzo, non mi ricordo il testo!”. Lui ha sorriso e mi ha semplicemente risposto di improvvisare, di cantare qualche “bla bla bla” a caso perché tutto stava andando così bene che nessuno si sarebbe accorto del testo sbagliato. Questo è rock’n’roll, non deve essere sempre tutto perfetto, dei piccoli sbagli fanno parte della naturalezza di uno spettacolo. Non è stato perfetto, ma è stato un grande show di rock!

SUONARE IN UNA VENUE PICCOLA IN UN CERTO SENSO TI HA FATTO RIVIVERE I VOSTRI ESORDI, QUANDO I MR. BIG HANNO INIZIATO LA LORO CARRIERA PRIMA DI DIVENTARE UNA BAND FAMOSA IN TUTTO IL MONDO. QUESTO RITORNO ALLE ORIGINI PUO’ ESSERE ANCHE UN BENE PER UNA BAND, NON TROVI?
 – Sono d’accordo, è stata una vera lotta, ma in senso molto positivo. In Italia è sempre una sfida, perché in grandi città come Roma e Milano si esibiscono tutti i giorni un sacco di band. Non siamo arrivati lì come rockstar, ma come un gruppo di musicisti che doveva dimostrare di avere le palle su un palco. Come ti dicevo prima, abbiamo affrontato la situazione come se fossimo degli esordienti che dovevano far breccia nel cuore dei fan. Personalmente ho rivissuto i primi anni insieme ai Mr. Big, a stretto contatto col pubblico, è stato molto bello.

I FAN OVVIAMENTE VI CHIEDONO DI SUONARE OGNI SERA I VOSTRI CLASSICI, QUELLE CANZONI CHE HANNO DECRETATO IL SUCCESSO DEI MR. BIG IN TUTTO IL MONDO. NON TI STANCHI MAI SI PROPORRE “TO BE WITH YOU”, AD ESEMPIO, SACRIFICANDO MAGARI IL VOSTRO REPERTORIO PIU’ RECENTE?
– Hai giustamente citato “To Be With You”, che è la canzone più richiesta in assoluto nei nostri concerti. L’ho cantata migliaia e migliaia di volte e devo ammettere che c’è stato un momento in cui mi ero veramente stancato di suonarla. Ricordo che anni fa ero arrivato al limite, non sopportavo più quella canzone e una sera durante il meeting prima di un concerto ho detto a Billy e agli altri ragazzi che non avrei cantato “To Be With You”. Quel giorno suonavamo insieme ai Judas Priest, a un certo punto Glenn Tipton e gli altri membri della band arrivano nel backstage, ci salutiamo e mi dicono: “Hey Eric, in bocca al lupo per lo show, non vediamo l’ora di sentire ‘To Be With You!”. Non ti racconto cosa è passato per la mia testa in quel momento, ero tra lo stupito, l’incazzato e il rassegnato! Billy e Pat sono venuti da me con un ghigno beffardo sulla faccia a dirmi di non fare la fighetta, tutti i fan ci chiedono quella canzone e per rispetto noi dobbiamo suonarla. Poi negli anni l’abbiamo un po’ cambiata, per dargli una freschezza maggiore, ma siamo ancora qui a suonarla.

VIVI ANCORA I CONCERTI CON LA STESSA INTENSITA’ DEGLI ANNI D’ORO: CHE RAPPORTO HAI OGGI CON I FAN?
– Io cerco sempre di dare il massimo, ma noto che purtroppo una certa attitudine è cambiata da parte dei fan. Negli ultimi anni, dal palco, vedo un sacco di ragazzi per tutto lo show concentrati a filmarci con il loro smartphone invece di godersi la musica con i loro occhi e le loro orecchie. Questa cosa mi infastidisce tremendamente! Questa consuetudine è andata via via peggiorando: all’inizio si trattava di qualche foto o di catturare un momento particolare filmando pochi minuti, e per noi andava benissimo. Adesso invece ci sono persone che per due ore stanno ferme, piantate, a guardare il piccolo schermo del loro smartphone per tutto il concerto. Noi possiamo fare la performance migliore della nostra vita e tanti non applaudono perché stringono fra le mani birra e cellulare. E’ davvero frustrante suonare così (ride, ndR), ma non perché io pretenda gli applausi, ci mancherebbe, ciò che mi infastidisce è l’attitudine, l’approccio sbagliato. Un concerto va vissuto in prima persona, se non interessa immergersi nello show, diventare parte attiva del momento, a questo punto è meglio stare a casa e guardarsi un dvd sdraiati sul divano. Se poi guardiamo YouTube, si trovano dei video di qualità davvero infima, si vede la band che suona, ma non si sente nulla perché magari chi filma sta parlando e la sua voce sovrasta la band oppure i cori del pubblico sono più alti della mia voce. Io divento pazzo (ride, ndR)!

QUALCHE CHIACCHIERA DURANTE I CONCERTI CI STA TUTTA PERO’, NON DIRMI CHE QUANDO TU VAI A VEDERE ALTRI ARTISTI TE NE STAI ZITTO PER TUTTA LA DURATA DELLO SHOW.
– Ti racconto questo aneddoto che è davvero forte! Anni fa eravamo in studio a registrare e una sera in città suonava Paul McCartney. Io e gli altri ragazzi dei Mr. Big siamo fan di Paul e dei Beatles, per cui abbiamo deciso di prenderci una pausa dallo studio e di andare a vedere il concerto. C’eravamo tutti, io, Billy Sheehan, Paul Gilbert e Pat Torpey. Il concerto era grandioso, Paul McCartney suonava alla grande. Ad un certo punto attacca le note di “Yesterday”. Cosa succede? Pat Torpey, a dieci centimetri dalle mie orecchie, inizia a cantare le parole a squarciagola e io non sento più la voce di Paul. Sono impazzito, ho iniziato a inveire contro Pat e a dirgli “cosa diavolo stai facendo, lascia cantare Paul e lasciami sentire”. Cazzo, sto ascoltando una delle canzoni più belle di tutti i tempi, cantata da uno dei più grandi musicisti della storia e tu mi urli nelle orecchie? Non esiste proprio (ride, ndR), io voglio ascoltare la voce dell’artista non quella degli altri. Potrei andare avanti citandoti un’altra delle mie band preferite di sempre, i King’s X, che ho visto diverse volte dal vivo. Ogni volta che li ho visti, durante l’esecuzione del brano “Summerland”, alzavano il microfono e la facevano cantare interamente dal pubblico. Una, due o tre volte può essere anche una scelta carina per coinvolgere l’audience, ma sempre no. Almeno, io la vedo così.

PRIMA HAI DEFINITO LA VOSTRA PERFORMANCE CHE RITROVIAMO SU  “LIVE FROM MILAN” MOLTO INTENSA A CAUSA DELLA LOCATION E DEL PUBBLICO. CREDO CHE I MOLTI FAN CHE VEDRANNO IL DVD, SARANNO EMOTIVAMENTE COLPITI ANCHE PERCHE’ SI TRATTA DELL’ULTIMO CONCERTO TENUTO IN ITALIA DA PAT TORPEY.
– Quando tre anni fa a Pat fu diagnosticato il morbo di Parkinson, fu uno shock per tutti noi. Ha sempre affrontato la malattia con grande dignità e ottimismo e vedere il suo fisico degenerarsi progressivamente per noi è stato orribile. Inizialmente è riuscito a suonare la batteria, nel tour successivo ha potuto suonare solo sette brani e nelle ultime date si è limitato ad una canzone e a suonare le percussioni. Quel giorno, a Milano, Pat non era in forma al cento per cento, eppure ha dato tutto sul palco. Pat era un batterista straordinario, il motore della band e mi è dispiaciuto molto per i fan più giovani che non hanno potuto vederlo dietro alla batteria al massimo delle sue possibilità. Non dimentichiamo inoltre che Pat era un grande cantante, con lui mi confrontavo spesso e dal vivo tirava fuori delle armonizzazioni con la voce fantastiche. Credimi, ogni volta che penso che non potrò più dividere con lui il palco, vengo colto da una fitta al cuore.

RICORDO UNA TUA INTERVISTA DI FINE 2017. TU HAI DETTO CHE IL GIORNO IN CUI PAT TORPEY NON FOSSE PIU’ RIUSCITO A SUONARE, AVRESTI ABBANDONATO I MR. BIG. SENZA DI LUI NON AVREBBE SENSO ANDARE AVANTI, SEI ANCORA DI QUEL PARERE?
“Quando Pat è morto, ho passato momenti devastanti perché prima ancora di un musicista, ho perso un grande amico. Dopo la sua scomparsa abbiamo tenuto lo stesso le rimanenti date del tour senza di lui. Per tutti noi è stato molto difficile andare avanti, quando eravamo sul palco provavamo emozioni strane, difficili da affrontare e contemporaneamente dovevamo offrire al pubblico delle performance al massimo delle nostre possibilità. Matt Starr, il suo sostituto alla batteria, ha suonato benissimo e si è impegnato al massimo con noi, ma non era e non è la stessa cosa, capisci? Quando c’era Pat alla batteria bastava che gli rivolgessi uno sguardo e subito ci capivamo. Durante le ultime date in Australia e in Cina io senza nemmeno pensarci mi giravo cercando il suo sguardo…ma lui non c’era. Mi sono sentito tremendamente perso sul palco senza di lui. Ho parlato sia con la moglie di Pat che con i ragazzi della band, probabilmente nei prossimi mesi ci sarà un best of tour, ma la mia intenzione è di smettere con i Mr. Big entro la metà del 2019. E’ una scelta sofferta, ma senza Pat per me non ha senso continuare. Non so cosa faranno Billy e Paul, magari andranno avanti con un altro cantante, magari no, io rispetterò la loro scelta. Per me è arrivato il momento di affrontare un nuovo capitolo della mia vita fuori dai Mr. Big.

NE SEI CERTO, E’ PROPRIO LA FINE DI QUESTA AVVENTURA?
– Vedi, questa avventura non è più la stessa, è cambiata nel momento in cui Pat ci ha lasciato. Non so quale sia la tua età, ma se non sei proprio un ragazzino ti ricorderai di una grande band americana, i Three Dog Night, che adoro. Questo gruppo ha avuto tre grandi cantanti e due di loro sono morti negli ultimi anni. Solo uno è rimasto a portare avanti la loro storia, ed è una cosa buona, ma diversa. I Mr. Big non sono Eric Martin, Billy Sheehan e Paul Gilbert, siamo noi tre e Pat Torpey. Il suo sound è inconfondibile, non si può sostituire ed ha contribuito fortemente a far nascere e crescere la band. Matt Starr è un grande batterista, ma semplicemente non è Pat Torpey e non lo sarà mai. Senza di lui mi sento vuoto, per cui non tornerò sui miei passi.

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