Il ritorno dei My Dying Bride è finalmente realtà. Quasi cinque anni di attesa – nel corso dei quali il gruppo ha dovuto fare i conti prima con la malattia che ha colpito la figlia del cantante Aaron Stainthorpe e poi con le improvvise separazioni dal chitarrista Calvin Robertshaw e dal batterista Shaun Taylor-Steels – vengono ripagati da “The Ghost of Orion”, ennesima prova convincente di una carriera che ha davvero pochi eguali nel panorama metal. Nulla sembra potere arrestare la spinta creativa degli leggendari doom-death metaller britannici, i quali sembrano anzi trarre ulteriore vitalità da tutte le peripezie e dagli imprevisti che puntualmente segnano il loro cammino. Questa nuova fatica in studio, la prima a venire pubblicata tramite il colosso Nuclear Blast Records, risulta la tangibile prova di come sia possibile, pur pagando pegno agli ordinari canovacci di genere, non cadere nella trappola della eccessiva prevedibilità, riuscendo a confezionare proposte curate e dal sound attuale. Una preziosa dote in tempi inflazionati da revival stucchevoli e all’insegna del ‘tutto già sentito’. Ne parliamo proprio con il buon Aaron Stainthorpe, raggiunto telefonicamente alcune settimane fa.
IMMAGINO CHE LE REGISTRAZIONI DI QUESTO NUOVO ALBUM SIANO STATE UN’ESPERIENZA PARTICOLARE PER TE, DOPO QUANTO ACCADUTO A TUA FIGLIA.
– Sì, non volevo portare in seno alla band il dramma che ho vissuto e fare diventare il disco una sorta di concept sul cancro di mia figlia, ma è stato impossibile ignorare del tutto certi strascichi. In tutta onestà, mi sento ancora convalescente. La musica, il gruppo e tutto ciò che vi ruota attorno mi sembrano ancora lontani. Per lungo tempo ho avuto la testa altrove e immergermi nelle registrazioni di “The Ghost of Orion” non è stata un’impresa facile. Per fortuna ho avuto Andrew al mio fianco, il quale mi ha detto sempre chiaramente ciò che voleva e cosa aveva in mente. Ho pensato alle linee vocali, ho scritto i testi e ho registrato cercando di dare il massimo. Le prime sessioni sono state difficili, ma poi siamo riusciti a trovare un buon ritmo. Di certo non è stata una sessione particolarmente serena, tuttavia credo che la serenità arriverà con il tempo. Prossimamente torneremo a suonare dal vivo e i concerti dovrebbero aiutarmi a farmi sentire di nuovo parte della band.
LA FORMAZIONE HA SUBITO UNO STRAVOLGIMENTO NEL CORSO DELLA LAVORAZIONE DI QUESTO DISCO. SE NE SONO ANDATI SIA IL CHITARRISTA CALVIN ROBERTSHAW CHE IL BATTERISTA SHAUN TAYLOR-STEELS. NON A CASO LA MUSICA E’ STATA COMPOSTA INTERAMENTE DA ANDREW CRAIGHAM QUESTA VOLTA…
– Sì, Andrew si è occupato della composizione di tutta la musica. Non è tuttavia nuovo a simili imprese: è da sempre il nostro compositore principale e penso che abbia scritto circa l’80% del nostro materiale dagli esordi ad oggi. Senza di lui non ci sarebbero i My Dying Bride. Per quanto riguarda Calvin, se ne è andato semplicemente inviando un messaggio ad Andrew dove sosteneva di non avere più voglia di suonare musica come la nostra. Così, tutto ad un tratto. Ormai non ci stupiamo più di nulla! Shaun invece ha lasciato perchè sempre più impegnato su altri fronti. I My Dying Bride evidentemente non potevano più essere una priorità per lui. I cambi di formazione sono situazioni spiacevoli, ma ormai io e Andrew siamo abituati a farcene una ragione e a guardare avanti. Nessuno è insostituibile. Onestamente, ci sono cose peggiori nella vita e non è il caso di disperarsi se qualcuno non vuole più fare parte del progetto.
NON VI FERMATE DAVANTI A NULLA…
– Sì, credo tu lo possa dire. Se dopo drammi come quello di mia figlia, vari altri lutti nel corso degli anni e altri imprevisti siamo ancora qui, significa che nulla ci spaventa davvero e che, dopo tutto, in qualche modo saremo sempre in grado di venirne fuori. “The Ghost Of Orion” è un nuovo esempio della nostra perseveranza.
LE DIFFICOLTA’ INOLTRE POSSONO ANCHE ESSERE UNA FONTE DI ISPIRAZIONE…
– Assolutamente, soprattutto per un gruppo come il nostro. Se ti guardi attorno e vedi vuoto e tristezza, allora probabilmente avrai le giuste sensazioni per comporre del doom metal.
PARLIAMO DI UNO DEI PEZZI PIU’ PARTICOLARI DELL’OPERA. COME È NATA LA COLLABORAZIONE CON LINDY-FAY HELLA DEI WARDRUNA SUL BRANO “THE SOLACE”? ANDREW HA COMPOSTO LA MUSICA CON LA SUA VOCE IN MENTE?
– La musica è nata prima. Poi Andrew ha iniziato ad analizzare lo sviluppo del brano, la sua atmosfera folk, e ha pensato che sarebbe stato fantastico avere una voce femminile. Il passo successivo è stato identificare quale stile si prestasse meglio all’atmosfera del pezzo. Penso che Andrew volesse qualcosa sullo stile dei Dead Can Dance inizialmente, ma poi il nostro tour manager ha menzionato i Wardruna e quella è stata una vera rivelazione. Andrew ha presto capito che il suo stile si sarebbe perfettamente adattato alla canzone, quindi le abbiamo semplicemente inviato un messaggio e poco dopo le abbiamo fornito la musica. Per fortuna Lindy ha dimostrato un grande interesse nell’aiutarci fin dall’inizio. L’intero processo è durato poco, credo anzi che quanto puoi sentire sul disco sia la primissima versione che ci ha inviato.
“THE GHOST OF ORION” E’ IL VOSTRO PRIMO ALBUM SU NUCLEAR BLAST RECORDS. DEVE ESSERE STRANO DOPO DECENNI PASSATI SU PEACEVILLE…
– Le due case discografiche sono certamente molto diverse. Dobbiamo ancora abituarci a certe richieste della Nuclear Blast, come i mille video-trailer, ad esempio, ma siamo felicissimi di questa nuova sistemazione. Siamo profondamente grati alla Peaceville, ma era giunto il momento di cambiare dopo quasi trent’anni assieme. Abbiamo sempre rinnovato con loro perchè il contratto che ci proponevano era sempre perfetto per noi, ma questa volta la Nuclear Blast si è fatta avanti con qualcosa di più competitivo e coloro che oggi gestiscono la Peaceville ci hanno detto che non sarebbero stati in grado di fare di più. Così eccoci su Nuclear Blast. Sono molto curioso di vedere che risultati riusciremo ad ottenere con loro: siamo una band dalle sonorità difficili e di certo siamo molto diversi da buona parte del loro roster.
“THE GHOST OF ORION” TUTTAVIA E’ STATO INTRODOTTO COME IL VOSTRO ALBUM PIU’ ACCESSIBILE…
– Sì, e infatti alcuni fan hanno pensato che la casa discografica ci avesse fatto cambiare stile. Si tratta – forse – di un disco più accessibile, ma per i nostri standard. Siamo sempre i My Dying Bride, solo che questa volta alcuni dei brani sono più facilmente memorizzabili. Quando sei giovane tendi a volere stupire e ad esagerare, inserendo chissà quante idee in ogni canzone. Con gli anni impari a dosare meglio gli elementi e a scrivere in modo più ordinato. Oggi non abbiamo nulla da dimostrare e vogliamo semplicemente comporre buone canzoni. “The Ghost Of Orion” è il risultato di questo approccio. Non è una raccolta di potenziali singoli, anche se forse a qualcuno ciò non sarebbe affatto dispiaciuto (ride, ndR).
QUESTO NUOVO CAPITOLO DELLA VOSTRA CARRIERA VI VEDRA’ CAMBIARE ANCHE APPROCCIO AI LIVE, ALLA PROMOZIONE E AD ALTRO LEGATO ALLA BAND?
– No, non cambierà nulla, semplicemente terremo più interviste e il nostro nuovo album sarà disponibile ovunque con estrema facilità. Non siamo nelle condizioni di andare in tour per mesi ogni anno e di vedere la band come un impegno full-time. Siamo però felici di avere trovato nella Nuclear Blast un partner molto professionale che sembra tenere quanto noi alla riuscita di questo disco.
QUEST’ANNO CELEBRATE IL TRENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA VOSTRA FONDAZIONE. COME GUARDI ALLA VOSTRA CARRIERA E, SOPRATTUTTO, AI CAMBIAMENTI CHE SONO AVVENUTI IN QUESTO ORMAI LUNGHISSIMO LASSO DI TEMPO? TI MANCA QUALCOSA DEGLI INIZI?
– Credo che qualsiasi gruppo in attività da prima degli anni Duemila ti dirà che il più grosso cambiamento è stato l’avvento di internet. La rete e il fenomeno del download e successivamente dello streaming hanno stravolto il business musicale. Noi non abbiamo risentito particolarmente del calo delle vendite: dopo tutto, se ti chiami My Dying Bride e suoni musica come la nostra, non puoi aspirare a diventare ricco. Da quel punto di vista, abbiamo assistito al cambiamento da spettatori. Però è ovvio che il modo di lavorare delle etichette non sia più quello di una volta. Anche noi come band abbiamo dovuto in parte cambiare approccio, diventando più attivi su social come Facebook. Di certo la tecnologia ha reso le cose più rapide e oggi registrare e promuovere la propria musica costa meno, ma, al tempo stesso, ci sono molto più caos e concorrenza, perchè tutti sembrano capaci di pubblicare un disco. Sotto questo aspetto siamo felici di essere emersi molto prima dell’esplosione di internet: siamo ormai un nome affermato, mentre immagino che ogni band all’esordio oggi si senta quasi come una goccia in un oceano. Se poi penso al gruppo e a quanto fatto a livello artistico, sono orgoglioso della nostra carriera e di tutto ciò che abbiamo fatto. Anche i capitoli bui sono serviti a farci migliorare e a farci arrivare dove siamo adesso. Non rinnego nulla e ho solo sensazioni positive quando mi guardo indietro.
UN PAIO DI ANNI FA AVETE PROPOSTO LA PIETRA MILIARE “TURN LOOSE THE SWANS” AL ROADBURN FESTIVAL IN OLANDA. AVETE QUALCOSA IN PROGRAMMA PER IL TRENTENNALE DELLA BAND?
– Abbiamo affrontato l’argomento, ma non abbiamo ancora preso una decisione. Suonare al Roadburn è stata una bella esperienza, ci siamo trovati molto bene. Tuttavia per noi non è una novità andare a pescare dal nostro vecchio repertorio. Siamo legati ad ogni nostro album. Difatti non credo che suoneremo più di due o tre nuove canzoni nei prossimi concerti. Non possiamo rinunciare ai classici.
PERCHE’ “TURN LOOSE THE SWANS” E’ ANCORA TANTO RINOMATO SECONDO TE?
– Si tratta del disco che ha introdotto lo stile per cui siamo noti oggi. Quanto fatto prima era più grezzo e dispersivo, per ovvie ragioni. Eravamo dei ragazzini e dovevamo ancora trovare il nostro stile. “Turn…” ci ha dato una spinta decisiva nella ricerca di un nostro suono. Sono molto legato a questo disco e continuo a pensare che sia invecchiato piuttosto bene. Le registrazioni furono un’esperienza assai particolare perchè si vociferava che gli Academy Studios fossero infestati da una presenza. Ogni volta che mi ritrovavo solo al buio pensavo di avere qualcosa alle mie spalle. Una volta abbiamo persino dormito in studio e ricordo di non essere quasi riuscito a chiudere occhio.
TI CAPITA MAI DI RIVISITARE I LUOGHI DOVE SIETE CRESCIUTI COME PERSONE E MUSICISTI?
– Sì, non ci siamo mai davvero allontanati da dove siamo cresciuti. Siamo gente del Nord, non ci troviamo particolarmente a nostro agio in grandi città come Londra. Abbiamo a cuore le nostre radici, anche se non tutto è rimasto come una volta. Gli Academy Studios naturalmente esistono ancora, mentre un locale a cui sono molto affezionato è stato demolito parecchi anni fa. Parlo del Frog & Toad di Bradford, un club che a mio avviso è stato fondamentale nella nascita e nello sviluppo della nostra scena musicale. Bradford era facilmente raggiungibile in bus o in treno da dove abitavamo ed eravamo soliti passare ogni venerdì o sabato sera in quel locale nei tardi anni Ottanta. A differenza di altri bar, la selezione musicale era molto variopinta e grazie ad esso molti di noi sono riusciti a scoprire gruppi che hanno poi esercitato un’influenza enorme sulle nostre creazioni. Da ascoltatori di Iron Maiden e Metallica siamo diventati cultori di Bathory, Candlemass, Celtic Frost… puoi ben sentire tutto ciò nei primi demo dei My Dying Bride e di tutti i gruppi del nostro panorama. Il Frog & Toad era frequentato da Nick e Greg dei Paradise Lost, da Hammy della Peaceville Records… il suono death-doom inglese è nato tra quelle mura.
HAI MENZIONATO GLI ACADEMY STUDIOS. AVETE REGISTRATO IN QUEGLI STUDI TANTISSIME VOLTE, MA PER “THE GHOST OF ORION” VI SIETE RECATI ALTROVE. UN’ALTRA NOVITÀ…
– Esattamente. Siamo stati costretti a cambiare perché Mags, il nostro solito produttore, aveva molti impegni e non riusciva a trovare tempo per noi. Non avevamo voglia di aspettare ancora, così abbiamo deciso di recarci altrove. Mark Mynett si è rivelato un’ottima scelta: Andrew ha discusso a lungo con lui prima di iniziare le registrazioni e una volta in studio tutto è andato alla grande. Andrew aveva in mente una produzione calda ma pulita, simile a quella di certi gruppi death-black metal. Mark ha lavorato con i Rotting Christ in passato e si è trovato subito d’accordo. Non posso che parlare bene della nostra esperienza con lui. Per me è stata dura perché ho dovuto incidere e rivedere le mie parti tantissime volte. Mark e Andrew sono stati veramente esigenti. Poco male, però; dopo tutto, questo atteggiamento è essenziale per migliorarsi e per realizzare un grande album.