Max Marzocca è un vero veterano della scena death metal italiana. Da vent’anni è al timone dei Natron, una delle band nostrane in assoluto più longeve in questo campo, e tutt’oggi, dietro le pelli della sua creatura, continua a spargere il verbo del metallo della morte più marcio e oltranzista, incurante di mode, cali di popolarità e di quelle difficoltà logistiche a cui un gruppo proveniente dal profondo sud Italia deve da sempre fare fronte. Il motivo di una nuova chiacchierata con il batterista pugliese è la pubblicazione di “Grindermeister”, compilation di brani risalenti agli esordi dei Natron ri-registrati per celebrare il ventennale della nascita della band. Senza peli sulla lingua, Max ci racconta i retroscena di questa nuova opera, così come qualche aneddoto sugli inizi e la storia del progetto a lui più caro…
SE TI DICO “NATRON” CHE COSA MI RISPONDI?
“20 anni di puro death metal incorruttibile!”.
QUANTO È CAMBIATA LA SCENA DEATH METAL IN ITALIA RISPETTO A QUANDO I NATRON HANNO INIZIATO A MUOVERE I PRIMI PASSI?
“E’ cambiata molto, ci sono molte più band oggi che all’epoca e l’Italia nel frattempo è diventata una nazione di riferimento per il death metal”.
ENTRANDO NELLO SPECIFICO, LA PUGLIA È SEMPRE STATA UN TERRENO PIUTTOSTO FERTILE PER IL DEATH METAL. OLTRE A NATRON, PENSO A GRUPPI COME CRUENTUS O GORY BLISTER (POI TRASFERITISI AL NORD). COME LO SPIEGHI?
“E non solo: Social Mayehm, Funeral Oration, Aborym, Mortifier, Necromion, The Enemy, ecc, ecc. Ricordo quando definirono la Puglia la ‘Florida italiana’. Oltre che per alcune similitudini geografiche e climatiche, all’epoca davvero le band spuntavano come funghi nelle province di Bari, Taranto, Foggia. Le periferie di queste città non erano il massimo e dovevi davvero combattere la frustrazione quotidiana di vivere in una realtà degradante facendo qualcosa di creativo e che in un certo senso ti tenesse lontano dai casini. Il miglior sound a disposizione in quel momento per esprimerti musicalmente era il death metal o il grindcore, che erano nel momento di massima espansione a livello mondiale, grazie ad una fittissima scena underground. Il grunge imperversava, il metal classico, l’hard core e il punk non erano più così popolari, mentre il death metal era grezzo, cattivo e ribelle: il veicolo adatto attraverso il quale incanalare tutto il disagio e la rabbia giovanile”.
QUANTO È STATO DIFFICILE EMERGERE ESSENDO BASATI NEL “PROFONDO” SUD DELLA NAZIONE? CHE COSA RICORDI DEI PRIMI CONCERTI, DELLE PRIME REGISTRAZIONI E, IN GENERALE, DEI PRIMI PASSI? QUALI OSTACOLI ERAVATE SOLITI INCONTRARE CON PIÙ INSISTENZA?
“La posizione geografica isolata dal resto d’Europa logisticamente era il vero limite. Assodato che le possibilità di esibirti dal vivo erano ridotte dovevi muoverti alla ricerca di concerti in centri sociali e pub lungo tutta la penisola. Generalmente poi devi raggiungere il confine per imbarcarti in un tour europeo e quindi la tratta diventa un’impresa. Ad un certo punto la A14 è cominciata a diventarci familiare col passare degli anni per quante volte l’abbiamo percorsa e la percorriamo tutt’oggi. Era davvero tutto pioneristico all’epoca in Italia, ma la scena era in fermento e tutte le band si conoscevano e collaboravano. Chiaramente, al sud la situazione era peggio, ma, nonostante registrassimo demo approssimativi e suonassimo in buchi infernali, eravamo davvero arrabbiati. Eravamo tra gli ‘eletti’ incaricati di portare avanti il manifesto estremo del death metal sul territorio. Avevamo una missione e poco contava se finivamo a suonare in posti scalcagnati e dovevamo sistematicamente scontrarci con l’ignoranza e l’arretratezza dei gestori dei locali. All’inizio per noi suonare anche nella nostra stessa città è stato un problema”.
QUAL È LA SITUAZIONE PIÙ ASSURDA IN CUI VI SIETE RITROVATI SUONANDO DEATH METAL IN ITALIA NEI PRIMI ANNI ’90?
“Inizialmente i nostri primi concerti li facevamo nel napoletano. Napoli era una città molto ricettiva verso le novità e aveva una solida scena hardcore-punk locale grazie ai vari centri sociali esistenti. Il centro sociale Tien A Ment era una vera e propria fucina di eventi estremi e nel collettivo c’erano un sacco di ragazzi fan del death metal e del grindcore. Il nostro primo concerto fu organizzato al ‘Ragnatela’, uno squat che sarà durato l’arco di due mesi: era il risultato di un’occupazione del collettivo del Tien A Ment. Questi pazzi avevano occupato uno dei garage dello stadio San Paolo riservati agli autobus delle squadre di calcio. Fummo pagati con una cassa di birra e una porzione a testa di pollo, funghi e bambu dal ristorante cinese”.
SIETE STATI FRA LE PRIMISSIME BAND ITALIANE A REGISTRARE UN ALBUM ALL’ESTERO. COME MATURÒ LA SCELTA DI RECARSI AGLI ABYSS STUDIOS IN SVEZIA? E COSA RICORDI DI QUELLE ESPERIENZE?
“Disponendo di un consistente budget di produzione da parte dell’etichetta, la scelta ricadde ovviamente sugli Abyss, perchè in quel momento era il tempio del death metal in Europa. Mi piace soprattutto la produzione di ‘Negative Prevails’, ‘Bedtime For Mercy’ ha meno impatto, ma, tutto sommato, entrambi i dischi suonano superiori allo standard dell’epoca. Eravamo completamente isolati dalla civiltà: il posto in cui sorge lo studio è a 20-25 km circa di distanza dal villaggio più vicino e la struttura è proprio a ridosso di un lago che d’inverno si ghiaccia completamente. Tutt’intorno sono solo foreste e boschi. Non c’è anima viva, sei completamente immerso nella natura, non hai distrazioni di alcun genere e ti concentri solo sul tuo lavoro”.
SONO CINQUE I FULL-LENGTH PRODOTTI DAI NATRON IN CARRIERA, TUTTI CON UN SUONO E UNO STILE ABBASTANZA PECULIARI. PROVIAMO A SPENDERE QUALCHE COMMENTO SU OGNUNO DI ESSI.
“Hung Drawn & Quartered”: “E’ il frutto del primo esperimento fatto sul mini ‘Unpure’, infatti molti brani sono poi ripresi in questo album. Eravamo fuori di testa, ma nella pazzia compositiva c’era una logica che dava un senso ad ogni brano. Eravamo davvero tanto influenzati dai Suffocation da un lato e dal techno thrash metal dall’altro e tendevamo a buttare nel calderone ogni tipo di influenza musicale. Eravamo brutali e ‘virtuosi’, ma senza metodo e tecnica. Il risultato non ci soddisfò granchè, ma quel disco servì a farci firmare poi per un etichetta più grossa. Da lì in poi le cose cambiarono”.
“Negative Prevails”: “Primo disco agli Abyss. Evidentemente la Svezia ci ha influenzato sia nel songwriting che ovviamente anche nel sound. Per me ‘sto disco è una bella mazzata sonora. Anche in questo caso avevamo solo due settimane per realizzarlo, ma paradossalmente non sentimmo assolutamente lo stress della registrazione. Entrammo in studio con le idee ben chiare e ci avanzò anche del tempo per curare meglio i dettagli. Era marzo e la Svezia era ancora nella morsa del gelo e della neve e questo disco possiede un mood glaciale. In definitiva, uno dei migliori dischi della band ed è quello che ha venduto di più”.
“Bedtime For Mercy”: “I Natron si sono venduti! Questo è quello che qualcuno disse dopo averci visto pubblicare dischi per la Holy Records. In realtà, noi non abbiamo mai fatto niente per alleggerire il nostro sound. Questo disco fu composto in 7 mesi. La Holy sull’onda dell’entusiasmo delle vendite di ‘Negative Prevails’ prenotò gli Abyss Studios a maggio dell’anno dopo. Arrivammo in studio un po’ a corto di idee, ci inventammo un brano completamente in studio e finimmo il disco esausti. La stampa apprezzò questo disco per la vena sperimentale di alcuni brani, ma per molti il sound era davvero ‘strano’, troppo Voivod-iano e non solo per il fatto che fosse presente la cover di ‘Nothingface’ (cantata peraltro anche da Peter Tagtgren). Alla fine si tratta di un buon disco, ma non al livello del precedente. Ci sentivamo un po’ ‘spremuti” e dovemmo pubblicare la raccolta ‘Necrospective’ nel frattempo per aver tempo di maturare le idee giuste per produrre l’album successivo”.
“Livid Corruption”: “Frank Albrecht di Rock Hard Magazine in Germania lo definì ‘il ‘World Downfall’ del 2000′, paragonandolo appunto al capolavoro dei Terrorizer. Effettivamente, la cattiveria e la velocità di quest’album fanno pensare ad un disco grindcore. Dura 28 minuti ed è in assoluto il nostro disco piu’ brutale sino ad ora. Lo registrammo a Bari e lo mixammo a Copenhagen presso gli Starstruck Studio di Lundemark dei Konkhra. A detta di molti, il nostro capolavoro e album immancabile in un ipotetica lista di 200 dischi death metal da possedere (sempre secondo la critica)”.
“Rot Among Us”: “Il fatto di essere stati in tour con band dai riff memorabili come God Dethroned et similia deve averci in qualche modo influenzato, ed ecco perchè ‘R.A.U.’ diventa il disco dei riff di chitarra ‘thrash n’ catchy’. In questa occasione abbiamo droppato le chitarre e optato per delle strutture piu’ semplici. E’ il nostro primo disco interamente prodotto, mixato e masterizzato a Bari. I suoni sono puliti e chirurgici e a me piace molto, ma probabilmente manca di quella sporcizia che caratterizzava i dischi precedenti e che conferivamo quel mood ‘marcio’ al sound dei Natron. Personalmente lo metto allo stesso livello di ‘Livid Corruption'”.
PENSI CHE I NATRON AVREBBERO MERITATO MAGGIOR FORTUNA IN CARRIERA? HAI DEI RIMPIANTI?
“Sì, lo penso fortemente, ma non so quale potrebbe essere il fattore che di più di ogni altro possa aver influito sulla nostra carriera. Più soldi a disposizione da investire? La posizione geografica e il momento storico di crisi del mercato? La conseguente perdita di interesse da parte della nostra etichetta storica? Non lo so, ma a questo punto comunque non mi lamento, mi sono tolto un sacco di soddisfazioni negli anni. Nel nostro piccolo abbiamo scritto una pagina della storia del death metal e soprattutto abbiamo fatto tutto quello che era nelle nostre possibilità, quindi zero rimpianti”.
VI È UNA BAND IN ITALIA, APPARTENENTE ALLA VOSTRA SCUOLA/PERIODO, CHE SECONDO TE MERITAVA PIÙ DI QUELLO CHE INVECE HA RACCOLTO?
“Beh, ce ne sono tante di band di quel periodo che si sono perse per strada, ma credo che su tutti chi avesse le carte in regola per fare qualcosa di buono almeno all’inizio erano Gory Blister, Agonia, Undertakers, Funeral Oration e Necromass”.
I NATRON SONO SEMPRE STATI ATTIVI SUL FRONTE LIVE. QUAL È STATA L’ESPERIENZA PIÙ BELLA E GRATIFICANTE DA QUESTO PUNTO DI VISTA IN TUTTI QUESTI ANNI?
“Ce ne sono state tante, ma probabilmente credo il top sia stato andare in tour come unica opening band per i Suffocation, la nostra band death metal preferita di sempre”.
“GRINDERMEISTER” CELEBRA I VOSTRI VENT’ANNI DI CARRIERA RIPROPONENDO DEI VECCHI CLASSICI RI-REGISTRATI. PER QUALE MOTIVO AVETE OPTATO PER QUESTA INIZIATIVA?
“Ci sembrava giusto dare giustizia a dei brani che non godevano di una produzione perfetta. E dal momento che ‘Hung, Drawn & Quartered’ è sold out da anni, volevamo dare la possibilità a chi ci ascolta da poco di procurarsi il primo materiale della band. Nel 2002 festeggiamo i 10 anni con l’uscita di ‘Necrospective’, ma era una raccolta di demo, il primo album, il mini e un solo brano ri-registrato. Questa volta per i 20 anni volevamo fare qualcosa di più figo”.
CHE COSA RICORDI DELLA STESURA ORIGINALE E DELLE RELATIVE REGISTRAZIONI? CHE IDEE AVEVATE IN MENTE MENTRE COMPONEVATE IL VOSTRO PRIMO MATERIALE? CHE COSA VOLEVATE OTTENERE?
“Volevamo essere brutali, ma farlo a modo nostro. All’epoca cercavamo ancora la nostra identità sonora, ma senza neanche sforzarci troppo le idee ci venivano fuori spontaneamente e cercavamo di suonarle nel miglior modo possibile. A volte ‘sfrasciavamo’ perche’ il songwriting era davvero impegnativo e non era supportato da una tecnica adeguata. Le cose sono cambiate col tempo, maturando come musicisti…”.
COME VI SIETE TROVATI A RI-REGISTRARE I VECCHI PEZZI? TE LI RICORDAVI ANCORA? HAI DOVUTO MODIFICARE IL TUO MODO DI SUONARE ATTUALE PER RI-APPROCCIARTI A DEI PEZZI COSÌ VECCHI E MANTENERE UNA CERTA FEDELTÀ?
“Un lavoraccio! Anche affascinante per certi versi, perchè ci siamo dovuti calare nell’attitudine che avevamo all’epoca e spesso ci siamo chiesti cosa cazzo ci passasse per la mente! Ci siamo accorti di come alcuni arrangiamenti fossero troppo arzigogolati e abbiamo capito perchè in alcuni momenti alcuni brani non rendevano come avrebbero dovuto, quindi in fase di arrangiamento abbiamo apportato delle piccole modifiche sia alla musica che alle liriche. Personalmente, ho dovuto smembrare ogni singolo pattern dei brani, calcolare delle tempo-track e suonare a click e ti posso assicurare che è stata un’ impresa perchè quei brani erano stati composti senza tener minimamente conto di computer e metronomi. Ho semplicemente suonato come sempre e sicuramente col nuovo approcio le parti di batteria ne hanno tratto beneficio, ma questo è valso per tutti gli strumenti. Chiaramente anche le apparecchiature e la tecnologia odierna hanno avuto il loro peso sull’impatto di questo disco. Venivamo dall’esperienza di ‘Rot Among Us’, registrato presso il Golem Dungeon Studio di Bari, e, dato che ne eravamo soddisfatti, ci è sembrato logico ritornare lì anche per questo lavoro di ‘ristrutturazione’ del vecchio materiale”.
SEI ANCORA IN CONTATTO CON I VECCHI MEMBRI DELLA BAND, STORICI E NON?
“Sì, certo, almeno con quelli storici che hanno registrato dischi/demo e fatto tour con noi. Sostanzialmente, sono rimasto in buoni rapporti con tutti. In 20 anni credo di aver mandato a fare in culo solo una persona, ma perchè questo era un coglione e se lo meritava alla grande. Tra l’altro, non risulta in nessuna formazione ufficiale, quindi non ha importanza…”.
DOVE VEDI I NATRON DA QUI A CINQUE ANNI?
“Nel 2017? Azz, non so cosa farò domani! Mah, spero comunque di continuare a suonare come ho fatto sinora…”.
GRAZIE! LE ULTIME PAROLE FAMOSE?
“Siamo una death metal band italiana, tutto il resto può andare a farsi fottere!”.