NECROPHOBIC – Dead by Dawn!

Pubblicato il 24/10/2020 da

“Dawn of the Damned”, nono capitolo della saga diabolica dei Necrophobic, ci ha nuovamente consegnato una band affamata di traguardi e del tutto conscia dello status leggendario raggiunto in carriera. Un’opera frutto sia di un lavoro collettivo che della visione di un musicista – Sebastian Ramstedt – sempre ineccepibile quando chiamato in causa a rinfrescare i trademark black/death contenuti negli storici “The Nocturnal Silence” e “Darkside”, qui responsabile di un songwriting un filo più stratificato e meno immediato del solito. Raggiunto su Skype qualche settimana fa, il chitarrista svedese non ha nascosto la propria soddisfazione verso i nuovi brani e lo stato di forma attuale della band, forse mai così compatta e sotto i riflettori come in questo momento. Ecco quindi il resoconto della nostra chiacchierata, in attesa ovviamente di ammirare il quintetto tra undici mesi sul palco del Metalitalia.com Festival 2021


CON “DAWN OF THE DEAD” SIETE ARRIVATI A QUOTA NOVE ALBUM PUBBLICATI. QUALI SFIDE VI SIETE PREPOSTI QUESTA VOLTA?

– Ho cominciato a scrivere i brani di “Dawn of the Damned” prima ancora che “Mark of the Necrogram” fosse pubblicato. Dopo aver lavorato a quel disco sentivo di essere nel giusto mood compositivo, quindi non ho perso tempo e mi sono subito messo al lavoro. Mi è bastato ultimare i primi due pezzi per capire che questo album sarebbe stato diverso da “Mark…”, e che ci avrebbe condotto in un’ambientazione differente. Un luogo più serio e profondo. Per cui la vera sfida è stata trovare il giusto concept e sviluppare un’atmosfera che accompagnasse coerentemente l’ascolto, dall’inizio alla fine della tracklist.

TROVO CHE IL DISCO SIA UNO DEI PIÙ VIOLENTI E VELENOSI DELLA VOSTRA CARRIERA. SI SENTONO MENO MIDTEMPO, LE INFLUENZE BLACK METAL SONO PIÙ IN EVIDENZA CHE MAI E ANCHE L’ATMOSFERA È DAVVERO DIABOLICA, MENO AMPOLLOSA RISPETTO A QUELLA DI “MARK OF THE NECROGRAM”… SEI D’ACCORDO?
– Sì, è davvero più oscuro. Quando scrivo non penso mai ai ritmi, ma una volta ascoltato il disco nella sua interezza non ho potuto fare a meno di notare quanto fosse veloce. Di sicuro, per quanto mantenga le armonie e le melodie che ci contraddistinguono, suona in modo più aggressivo e diretto del solito.

MOLTI DICONO CHE I LAVORI MIGLIORI DI UNA BAND SIANO SEMPRE QUELLI REALIZZATI DURANTE I PRIMI ANNI DI ATTIVITÀ, PER LA RABBIA E L’ENERGIA CHE ACCOMPAGNANO LA GIOVINEZZA. COSA NE PENSI?
– Di solito è così, ma bisogna anche ricordare che questa incarnazione della band è nata nel 2016/2017, quando io e Johan siamo tornati. Quindi, sotto un certo punto di vista, siamo un gruppo giovane (ride, ndR)! I Necrophobic sono stati riassemblati più e più volte nel corso degli anni, l’unico elemento di continuità rispetto agli esordi è Joakim alla batteria, e forse è per questo che la nostra rabbia, la nostra energia, la nostra concentrazione, non sono mai calate. È come se ciclicamente rinascessimo potendo contare sull’apporto di nuovi stimoli e di nuova linfa creativa. Direi che è questo il motivo per cui nei nostri lavori non siamo mai apparsi veramente stanchi. Non lo eravamo ieri e non lo siamo tutt’ora.

CREDI CHE IL VERO SOUND DEI NECROPHOBIC SIA QUELLO OFFERTO DALL’APPORTO TUO E DI JOHAN?
– No, o almeno non del tutto. Credo che il vero sound dei Necrophobic sia cementato nell’eredità musicale di David ‘Blackmoon’ Parland. Ciò che ha composto agli albori della band è il terreno da cui io parto ogni volta che imbraccio la chitarra e inizio a pensare ad un nuovo brano. Il mio modo di comporre è la diretta conseguenza degli insegnamenti che mi diede quando entrai a far parte della line-up. E anche se oggi non suoniamo più in quella maniera, anche se siamo un po’ più black metal, la sua ombra aleggia sempre su di noi. Molti vedono in me e in Joahn la coppia d’asce più rappresentativa dei Necrophobic, ma David era, è e resterà sempre il nostro chitarrista più importante.

COME SIETE SOLITI DISTRIBUIRVI IL SONGWRITING?
– Un tempo nessuno scriveva da solo. Ci limitavamo a trovarci in sala prove, attaccare gli strumenti e vedere cosa succedeva da quello scambio di idee. Oggi invece compongo io la stragrande maggioranza del materiale, ma il feeling e la connessione con gli altri membri della band sono così forti che le mie idee finiscono quasi sempre per coincidere con le loro. Inoltre, grazie alla tecnologia, oggi è molto più facile produrre dei buoni demo, inviarli agli altri, aggiungere in corso d’opera nuovi input… il lavoro è stato decisamente semplificato. L’apporto dei ragazzi in fase di arrangiamento e rifinitura dei dettagli è comunque decisivo per quello che è il risultato finale.

LO SCORSO ANNO, DURANTE LE REGISTRAZIONI DI “DAWN OF THE DAMNED”, AVETE DESCRITTO L’ALBUM COME “UN CONCEPT CHE ACCOMPAGNERÀ L’ASCOLTATORE TRA L’OSCURITÀ E IL FUOCO IN UN VIAGGIO NEL REGNO DELLA MORTE”. TI ANDREBBE DI APPROFONDIRE L’ARGOMENTO? ESISTE UN FILO CONDUTTORE CHE LEGA I TESTI?
– Assolutamente, si tratta di un concept album. Non c’è una vera e propria storia come nei dischi di King Diamond, ma il tema comune sono i cambiamenti che affrontiamo o che decidiamo di affrontare nel corso della vita. Quando pensavo al filo conduttore dei brani, come lo hai definito tu, stavo attraversando un periodo di crisi e depressione. I cambiamenti fatti in quel periodo mi hanno reso la persona che sono oggi. Talvolta, devi perdere degli amici, cambiare le tue abitudini e bruciare molti ponti per raggiungere la pace. Devi avere il coraggio di addentrarti nelle tenebre ed entrare in contatto con la parte più buia del tuo io, affrontando sia le tue paure che i tuoi demoni per vedere cosa ne esce fuori. Tutto questo rappresenta una parte molto importante del concept di “Dawn of the Damned”. L’altra è data da esperienze di meditazione, proiezione astrale, sogni lucidi… questo tipo di eventi mi hanno sempre ispirato, ma per “Dawn…” ho deciso di abbandonarmi completamente ad essi per trarne qualcosa che potesse riflettersi nel feeling del disco. Volevo che i cambiamenti reali accennati poco fa si sovrapponessero a questa sorta di immaginario onirico.

UNA CURIOSITÀ: IL TITOLO DEL DISCO È UN OMAGGIO VOLUTO A “DAWN OF THE DEAD” DI GEORGE ROMERO O È SOLO DI UN’ASSONANZA CASUALE?
– Direi la seconda. Quando Anders ha scritto quel verso abbiamo subito pensato che suonasse bene e che fosse molto potente, forse proprio perché rievocava inconsciamente il titolo del film. Era familiare ma al tempo stesso inedito. Non l’avevo mai vista sotto questo punto di vista, ma è probabile che tu abbia ragione e che sia andata così.

GLI ARTWORK DI “DARKSIDE”, DI “MARK OF THE NECROGRAM” E DI “DAWN OF THE DAMNED” SEMBRANO CONNESSI, COME UNO SGUARDO SEMPRE PIÙ RAVVICINATO ALLE PORTE DELL’INFERNO… È CORRETTO?
– Esatto, è un trittico. Volevamo in qualche modo riconnetterci al 1997 e ad un disco molto importante come “Darkside”. Da giovane adoravo il fatto che le copertine degli Iron Maiden si portassero dietro elementi degli artwork precedenti, come la piramide di “Somewhere in Time” ripresa da “Powerslave”. Quando guardi la copertina di “Darkside” vedi quel rosso al centro e sei incuriosito da ciò che potrebbe nascondersi dietro al cancello; per “Mark of the Necrogram” abbiamo chiesto a Kristian di svelare il mistero, mentre per “Dawn of the Damned” di scendere ancora più nel dettaglio e mostrare l’interno della cattedrale. Parlando degli ultimi due artwork, sono sicuramente simili, ma credo che una volta colto il significato il tutto acquisti molto fascino.

PERCHÈ QUALCHE ANNO FA DECIDESTI DI LASCIARE I NECROPHOBIC? COSA TI HA CONVINTO A TORNARE?
– Nel 2010/2011 avevo già cominciato a scrivere quello che sarebbe poi diventato “Mark of the Necrogram”. Avevo completato circa tre brani, i quali rappresentavano una sfida per i nostri standard dell’epoca, ma dopo anni di tour e convivenza la band non si trovava in un buono stato. C’erano tensioni, abusi di sostanze di vario tipo… io però non avevo nessuna intenzione di mettere meno energia nei Necrophobic, semmai il contrario. Presentai al gruppo quei pezzi, ma ad eccezione di Johan nessuno sembrava troppo convinto. L’opinione generale era ‘continuiamo a fare ciò che abbiamo sempre fatto’. Io però volevo alzare l’asticella dei nostri limiti, passare al livello successivo, e non potevo rimanere a quelle condizioni. Nei cinque anni trascorsi lontano dai Necrophobic ho pubblicato altra musica, ma era come se mi mancasse qualcosa. I Necrophobic sono sempre stati più di un semplice gruppo per me, con Joakim ho sempre avuto una connessione speciale… per cui, quando abbiamo ripreso a sentirci, abbiamo subito capito che si poteva fare, che una reunion era possibile. A quel punto “Mark of the Necrogram” è venuto da sé, nella maniera che avevo sempre voluto e immaginato.

COSA DIFFERENZIA SECONDO TE LA BUONA DALLA CATTIVA MUSICA?
– Il motore che la spinge. Se la gente suona col cuore ci sono buone possibilità che alla fine il risultato sia buono. Il contrario di quando qualcuno pubblica un disco tanto per farlo.

CHE SIGNIFICATO HA PER TE SUONARE IN UNA BAND SATANISTA? IN CHE MODO QUESTA SCELTA SI È RIFLESSA NELLA TUA VISIONE DELLA VITA?
– Penso riguardi soprattutto il separare te stesso da quelle che sono le credenze comuni e dalla maniera in cui è stabilito tu debba vivere la tua vita e raggiungere determinati traguardi. Per me è importante seguire la propria visione, le proprie regole e i propri obiettivi per andare nella direzione scelta. Nella vita così come nella musica. Anche se non abbiamo mai raggiunto quello che può essere definito ‘successo’, anche se siamo sempre rimasti un gruppo underground, a noi va benissimo così, perché sono queste le regole che abbiamo deciso di seguire.

QUAL È L’ULTIMO ALBUM CHE HAI COMPRATO E QUAL È IL DISCO CHE TI HA FATTO INNAMORARE DEL METAL?
– Aspetta che controllo, compro un sacco di album… (dopo qualche secondo, ndR) l’ultimissimo che ho preso è stato “Rex” dei Vampire, davvero un gran disco. Mentre quello che mi ha fatto innamorare dell’heavy metal è stato “The Eagle Has Landed”, il live dei Saxon dell’82. Anche se ovviamente ho moltissimi album del cuore, credo sia stato quello ad introdurmi una volta per tutte a questa musica.

LA PANDEMIA HA STRAVOLTO I VOSTRI PIANI, COSÌ COME QUELLI DI MOLTISSIME ALTRE BAND. SIETE STATI ANCHE FRA I PRIMI AD ORGANIZZARE UN EVENTO IN LIVE STREAMING. COME PENSI SI CONFIGURERÀ LA ‘NUOVA NORMALITÀ’ DURANTE I PROSSIMI MESI?
– Sì, siamo stati tra i primi ad organizzarne uno, e anche se quella sera abbiamo avuto diversi problemi lo abbiamo comunque portato a termine. La verità è che nessuna sa quando il mondo verrà riaperto – o SE verrà riaperto, mi sento di aggiungere – per cui è possibile che debbano essere pensati nuovi modi di promuovere la musica e i gruppi per raggiungere i fan. Piattaforme che facilitino eventi in streaming come il nostro, dal momento che non è affatto semplice avere cameraman, ingegneri del suono, ecc. e al tempo stesso garantire la sicurezza di tutti e la buona riuscita dell’operazione. Anche se avremmo un sacco di piani e di progetti, in questo momento è difficile fare previsioni a lungo termine.

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