I Necrot sono tornati con “Lifeless Birth”, una nuova incarnazione del loro schietto sound death metal.
Il terzo album della band originaria della California si distingue per una rielaborazione sonora che sposa magistralmente la tradizione del genere con qualche piccola novità, soprattutto a livello di arrangiamento e di intuizioni melodiche. Il songwriting, affinato con esperienza, evade quanto basta la trappola della ripetitività, offrendo tracce che si snodano con fluidità tra vari cambi di registro, mettendo in mostra citazioni sempre ben mirate e qualche elemento più fresco che incentiva il riascolto.
Non è tuttavia solo la musica a rendere sempre più noto il nome Necrot. Il loro impegno sul fronte live è ormai leggendario, con letteralmente centinaia di concerti in giro per il mondo che confermano un’attitudine che ha spesso più a che fare con l’etica hardcore-punk che con quello prettamente death metal.
Ne parliamo con l’italianissimo bassista/cantante Luca Indrio, raggiunto via email poche settimane fa.
“LIFELESS BIRTH” ARRIVA A CIRCA QUATTRO ANNI DA “MORTAL”: ASCOLTANDOLO SI SENTE COME SIA UN DISCO PIÙ ELABORATO RISPETTO AI PRECEDENTI, ANCHE SE OVVIAMENTE SONO BEN PRESENTI TUTTI I VOSTRI COSIDDETTI TRADEMARK. QUAL È L’IDEA ALLA BASE DELL’ALBUM? CHE COSA VOLEVATE OTTENERE?
– L’obiettivo era il solito: continuare a fare metal come piace a noi senza porci nessun limite o senza cercare di fare contento nessuno. A volte ci sono gruppi che quando arrivano al nostro livello iniziano a pensare a come fare per allargare il più possibile il loro numero di fan e iniziano a cambiare completamente il loro stile o a diventare sempre più melodici e banali. Io quando ho scritto questo disco avevo in mente solo di scrivere un disco aggressivo, potente e incazzato. Ovviamente con sempre quegli elementi che ci caratterizzano, come alcune melodie, ritmi storti o alcune parti un po’ più groove.
SI PERCEPISCE UNA PUNTA DI TECNICISMO IN PIÙ, MAGGIORE MELODIA, MA ANCHE PIÙ VARIETÀ NELLE STRUTTURE. I BRANI HANNO UNA LORO IDENTITÀ: SEMBRA CHE ABBIATE LAVORATO MOLTO NELLA CARATTERIZZAZIONE DI OGNI PEZZO, SEI D’ACCORDO?
– Quando mi metto a scrivere un disco cerco sempre di pensare al lavoro nella sua totalità, invece che scrivere un numero di canzoni e poi buttarle tutte insieme sperando che abbiano un senso. Mi piace pensare che ci siano ancora persone che ascoltano un disco dall’inizio alla fine e per questo motivo è importante che ogni pezzo appaia esattamente nel momento giusto. Mi piace pensare che ascoltandolo si possa passare da un’emozione a un’altra: per quello tutte le canzoni sono un po’ diverse l’una dall’altra, anche se fondamentalmente il tutto è sempre Necrot.
Il disco, per esempio, parte molto più aggressivo e incazzato e più si va verso la fine, più diventa oscuro e depresso. È intenzionale che ci siano vari momenti differenti. Io personalmente sono fortemente contrario alla cultura delle streaming platform e delle playlist, dove ascolti solo una canzone per band. Un album va gustato dall’inizio alla fine in un formato che non sia una merda supercompressa, come invece avviene su Spotify o YouTube.
IL MIDTEMPO “DRILL THE SKULL” È SENZ’ALTRO DESTINATO A DIVENTARE UNO DEI VOSTRI BRANI PIÙ RICONOSCIBILI. RACCONTACI COME È NATO.
– È nato così come tutti gli altri pezzi. Hai una mezza idea e poi ti siedi lì con la chitarra e vedi un po’ che viene fuori. Volevo un pezzo più da scapocciare che da pogo ed è venuto fuori “Drill the Skull”. Sai quando ti agganci con i tuoi amici metallari braccia sulle spalle e ‘scapocci’, appunto? Ecco, “Drill the Skull” è nata esattamente per quello.
COME SIETE SOLITI VALUTARE LA QUALITÀ DI UN NUOVO PEZZO DEI NECROT? QUALI ELEMENTI NON DEVONO MAI MANCARE IN UNA VOSTRA CANZONE?
– È difficile valutare la qualità di una canzone, perché i gusti sono sempre talmente soggettivi… Di sicuro deve avere potenza e alcune parti facili da ricordare, un assolo di chitarra, una parte dove la canzone fa un cambio inaspettato e magari un testo non propriamente scontato. Rendere la canzone divertente da ascoltare e brutale allo stesso tempo è quello che cerchiamo di fare, ma è anche la parte più complicata di tutto il discorso.
È TRASCORSA UNA DOZZINA D’ANNI DA QUANDO AVETE MOSSO I PRIMI PASSI COME BAND: NOTI UNA DIFFERENZA FRA LA SCENA DEATH METAL IN CUI AVETE INIZIATO E QUELLA IN CUI VI MUOVETE OGGI? TROVATE CHE IL PUBBLICO SIA PIÙ O MENO RICETTIVO NEI CONFRONTI DI UN SOUND COME IL VOSTRO?
– La cosa bella di avere una band adesso, ormai da tredici anni, è che la scena cambia intorno a noi e noi invece continuiamo con le nostre idee di metal. La parte più bella è che si aggiungono nuovi fan che prima erano troppo piccoli per andare ai concerti. Adesso mi capita di incontrare ragazzi che mi dicono “ascolto i Necrot da quando avevo quattordici anni”, oppure addirittura a volte capita che vi siano ragazzini giovanissimi che a fine serata ci dicono che quello è stato il loro primo concerto death metal.
È divertentissimo, anche perché la gente più grande come noi diventa troppo critica oppure annoiata, e quasi non si diverte più granché ai concerti. La vita li ha sottomessi così tanto che non hanno più quello spirito un po’ innocente di quando vai ai concerti da ragazzino e vuoi spaccare tutto. Il nostro concerto però è molto intenso, quindi di solito, in un modo o nell’altro, non rimani indifferente. Abbiamo sempre avuto reazioni ottime quando suoniamo live, sia in posti grandi che in posti più piccoli.
SIETE AL TERZO ALBUM PER TANKCRIMES, LABEL CERTO NON ENORME, MA CHE VI HA SUPPORTATO ALLA GRANDE SIN DALL’INIZIO. AVETE MAI PENSATO DI ACCASARVI PRESSO UN’ETICHETTA PIÙ GROSSA?
– Non ha mai avuto senso per noi fare quel passo, anche se abbiamo avuto varie occasioni per farlo. Non sempre quello che ti offre l’etichetta grossa è quello che ti conviene per la crescita della band.
Noi, pur restando su Tankcrimes, continuiamo a vendere tanti dischi e ad andare in tour con band enormi come Cannibal Corpse, Morbid Angel, Municipal Waste, The Black Dahlia Murder, Exhumed, Immolation e varie altre. Rimanere su un’etichetta indipendente ci permette di avere completo controllo sulla nostra musica, che è totalmente di nostra proprietà.
Se un giorno arrivasse l’etichetta grossa con un’offerta davvero irrinunciabile, probabilmente accetteremmo, ma se quello che offrono sono solo tour importanti, esposizione o di vendere tante copie… quello già lo stiamo facendo. In cambio, vorrebbero però i diritti delle nostre canzoni e mille altre cose, quindi finora per noi non ha avuto senso fare quel passo. Se in un futuro diventassimo una band veramente grande e di conseguenza arrivasse una di quelle offerte che solitamente ricevono i gruppi di grosso calibro, allora ci penseremmo, ma per ora siamo contenti con Tankcrimes.
NELLA SCENA UNDERGROUND DEATH METAL STATUNITENSE SEMBRA MOLTO IMPORTANTE L’APPROCCIO DIY, CON UN’ATTITUDINE PIÙ SCHIETTA E MAGGIORE VOGLIA DI FARE LE COSE A MODO PROPRIO: SI NOTA IN QUESTO SENSO UN LEGAME CON IL MONDO PUNK E HARDCORE. SEI D’ACCORDO? DA ITALIANO NEGLI USA, NOTI QUESTA DIFFERENZA NEL MODO DI FARE RISPETTO ALL’EUROPA?
– Io sono andato via dall’Italia a ventun’anni, ormai sedici anni fa, quindi non ho più molta idea di come si facciano le cose in Europa adesso. L’approccio DIY è qualcosa che ci ha sempre caratterizzato, ma non penso che si possa parlare di questo per tutta la scena metal statunitense.
In Europa continuano a esserci tanti posti occupati o centri sociali, quindi penso che la parte DIY sia sempre presente anche lì.
LA LINE-UP DEL GRUPPO È SOLIDA DAL 2011, NONOSTANTE SPESSO SIATE STATI COINVOLTI IN ALTRE BAND. CHAD, SOPRATTUTTO, SUONA ANCHE CON MORTUOUS, VASTUM E ULTIMAMENTE STORMKEEP. QUAL È IL SEGRETO DELLA VOSTRA UNIONE E DEL VOSTRO AFFIATAMENTO?
– Io e Chad Gailey (batterista, ndr) abbiamo avviato i Necrot quando avevamo rispettivamente ventiquattro e diciotto anni e questa rimane la nostra band principale. Le altre band dove suona Chad quando ha modo esistevano già da tempo quando gli hanno chiesto di unirsi a loro, quindi per lui sono progetti secondari.
Necrot è appunto la nostra band principale, tutte le altre attività sono progetti che esistono solo quando non siamo occupati con Necrot.
Il gruppo funziona perché è la priorità per ognuno di noi: se ai Necrot viene offerto un tour e Chad o Sonny hanno già un altro tour o un impegno con uno dei loro altri progetti, questi ultimi passano in secondo piano, così che i Necrot possano procedere con quel tour.
Io ho suonato nei Vastum per quattordici anni, da molto prima che Chad entrasse nella band, ma l’anno scorso ho deciso che non avevo più voglia di dedicare tempo a quel progetto, così da potermi concentrare solamente su Necrot e sulla mia vita privata.
SIETE DA TEMPO UN TRIO STILE MOTORHEAD. AVETE MAI PENSATO DI AGGIUNGERE UNA SECONDA CHITARRA? PENSATE CHE UN QUARTO MUSICISTA E UN ALTRO STRUMENTO POTREBBE SNATURARE IL GRUPPO?
– Dopo tredici anni abbiamo un’affinità e un affiatamento costruito nel tempo. Aggiungere un altro membro non potrebbe migliorarci in nessuna maniera.
SIETE SEMPRE STATI MOLTO ATTIVI SUL FRONTE LIVE. IMMAGINO CHE LA PANDEMIA SIA STATA UN VERO INCUBO PER VOI. COME AVETE INTENZIONE DI MUOVERVI PER PROMUOVERE IL NUOVO ALBUM? AVETE GIÀ PROGRAMMATO TOUR E FESTIVAL?
– Sì, abbiamo più di cento concerti programmati per il 2024, inclusi vari festival europei e tre concerti in Italia che non sono ancora stati annunciati. Ti sto scrivendo ora dal furgone: abbiamo finito ieri un tour di trentadue concerti in USA e Canada, di cui ventiquattro con Municipal Waste e Ghoul.
Ora stiamo guidando per tornare alla Bay Area, anche se io da quattro anni vivo in Messico, quindi il mio viaggio poi continuerà.
UNA BAND COME LA VOSTRA HA CERTAMENTE VISSUTO MILLE ESPERIENZE IN TOUR: QUAL È IL CONCERTO PIÙ ALLUCINANTE CHE AVETE MAI TENUTO IN CARRIERA? LA VENUE PEGGIORE E IL PUBBLICO MIGLIORE CHE AVETE TROVATO IN TOUR?
– Abbiamo suonato in un locale a Time Square a New York davanti a più di duemila persone, con Cannibal Corpse e Morbid Angel: un’esperienza abbastanza allucinante!
La venue peggiore… ce ne sarebbero troppe da elencare, visto che dal 2012 al 2014 abbiamo suonato in qualsiasi posto negli Stati Uniti: case, bar marci, ecc.
Il pubblico migliore… anche qui ce ne sarebbero troppi da elencare. Dal 2017 al 2019 abbiamo tenuto più di trecento concerti con serate anche da settecento e più persone in locali e teatri anche molto grandi, quindi ce ne sarebbero davvero troppi da elencare. Ogni show è divertente alla sua maniera, sia quelli grandi che quelli piccoli, dove magari finisci la serata vomitando o facendo a cazzotti con l’ubriacone rompipalle di turno.
Fortunatamente ci è successo solo un paio di volte di finire la serata in rissa, ormai tanti anni fa. Nell’ultimo tour abbiamo vomitato solo due volte, quindi stiamo decisamente maturando come band (risate, ndR).