NOISE TRAIL IMMERSION – Rifugiarsi nell’oscurità

Pubblicato il 28/01/2019 da

Il secondo album dei black metallers torinesi Noise Trail Immersion è stata una delle uscite più interessanti nel panorama estremo nostrano – e non solo. “Symbology Of Shelter” è un coacervo di rabbia, malessere, odio e disagio e, dal punto di vista musicale, questo lavoro è certamente un ulteriore passo avanti rispetto al già promettente album di debutto, grazie alla sua complessità, alla sua varietà di soluzioni e a questo trasporto emotivo tangibile e terribilmente doloroso. Una band davvero interessante, insomma, che gli appassionati di sonorità black metal contemporanee dovrebbero certamente tenere in considerazione.

CIAO RAGAZZI, BENTORNATI SULLE PAGINE DI METALITALIA.COM. PER PRIMA COSA CONGRATULAZIONI PER IL VOSTRO ALBUM. IN FASE DI RECENSIONE HO PROVATO A SPIEGARE LE DIFFERENZE TRA QUESTO ED IL VOSTRO DISCO D’ESORDIO, MA VI ANDREBBE DI SPIEGARCI SECONDO VOI QUALI SONO LE PRINCIPALI DIFFERENZE?
– Concettualmente e stilisticamente “Symbology Of Shelter” può essere visto sicuramente come una prosecuzione del percorso iniziato con “Womb”, quindi diversi punti di contatto indubbiamente ci sono; ciò che lo differenzia secondo noi, invece, è sostanzialmente la volontà di dare un carattere più unico e omogeneo all’intero lavoro rendendo il più possibile complementari e per così dire inscindibili le diverse influenze che lo caratterizzano: in “Womb”, ad esempio, l’influenza post-metal è emersa in maniera palese soltanto nella traccia conclusiva “Birth”, mentre nel caso di “Symbology Of Shelter” questa, pur caratterizzando in maniera più predominante la seconda parte del disco, è stata incorporata in tutto il lavoro rendendola effettivamente parte integrante del sound complessivo (o almeno ci auspichiamo che risulti così all’orecchio dell’ascoltatore).

UNA COSA CHE EMERGE ANCHE DA UN SEMPLICE ANALISI OGGETTIVA E SUPERFICIALE È IL MINUTAGGIO DEI BRANI, STAVOLTA PIÙ ABBONDANTE RISPETTO AL PASSATO. SENTIVATE LA NECESSITÀ DI SCRIVERE QUALCOSA DI PIÙ COMPLESSO? 
– Non saprei dirti se abbiamo voluto scrivere qualcosa che fosse necessariamente più complesso: ti direi che avevamo una certa idea in mente di come impostare il lavoro e sapevamo in principio che molto probabilmente il risultato concreto sarebbe stato un qualcosa di più complesso di “Womb”, ma la complessità non è mai stata l’obiettivo di partenza. L’idea di base era cercare di dire con questo nuovo disco ciò che con “Womb”, forse per inesperienza, non eravamo riusciti a dire: siamo ancora molto contenti del nostro album di debutto, ma non ci sentiamo di dire che racchiude al 100% l’essenza dell’idea che abbiamo in mente per la musica dei Noise Trail Iimmersion. “Symbology Of Shelter, invece, lo fa in misura molto maggiore.

NELLO SCRIVERE UN PEZZO PIÙ LUNGO, QUANDO VI ACCORGETE CHE È FINITO?
– E’ finito nel momento in cui decidi di terminarlo. Credo che ci siano infinite strade diverse, ugualmente coerenti, per far funzionare un pezzo. Difficile capire se funzioni fino in fondo: di certe scelte non ci siamo ancora pentiti, su altre cose invece abbiamo cambiato idea quasi subito, su altre ancora ci abbiamo ripensato a posteriori ma solo dopo anni. La maledizione di ogni artista è il fatto di non poter fruire di una propria creazione senza averne vissuto il processo creativo. Probabilmente l’unico modo per sapere se un pezzo è davvero finito è ascoltarlo senza però averlo scritto. Avendoci messo mano diventa davvero difficile capirlo, lo ascolti con un orecchio diverso da quello per cui è destinato: in un certo senso è come se il tuo orecchio fosse stato contaminato dalla tua stessa mente.

NELLO SCRIVERE UN BRANO, VI È MAI CAPITATO DI SCONTRARVI, PERCHÉ MAGARI UNO DI VOI VOLEVA INSERIRE UN PEZZO, E ALTRI NON ERANO D’ACCORDO?
– Scontrarci direi di no, però diciamo che pur condividendo tutti l’idea che è alla base della nostra musica, ognuno ha la sua personale visione su certi dettagli secondari, come è normale che sia, ma di solito la cosa si risolve raggiungendo in qualche modo un compromesso oppure adeguandosi all’opinione della maggioranza. Le divergenze principali solitamente riguardano le parti melodiche: è un punto logicamente molto delicato perché riteniamo che le aperture melodiche abbiano senso nella musica dei Noise Trail Immersion soltanto se molto diluite nell’insieme e riservate a dei momenti chiave. Nel momento in cui iniziano a essere troppe si rischia di creare un minestrone e di andare in contrasto con il nichilismo e il senso di l’oscurità che fanno da pilastro nella nostra musica. Capire cosa sia ‘troppo’ e cosa sia ‘troppo poco’ diventa ovviamente soggettivo, ed è qui che bisogna spesso raggiungere un punto d’incontro.

COME MAI L’ALBUM È DIVISO IN CAPITOLI? VI ANDREBBE DI SPIEGARE L’IDEA CHE C’È ALLA BASE?
– L’album è fondamentalmente da vedersi come una traccia unica, riteniamo personalmente che abbia poco senso ascoltarne solo alcune tracce singole: ecco perché appunto sono più capitoli che canzoni vere e proprie. L’idea alla base è quella di non lasciare stacchi all’ascoltatore e far sì che non si perda nelle transizioni tra un pezzo e l’altro, ma al contrario rimanga pienamente immerso nel disco dall’inizio alla fine. Dev’essere una tortura senza sosta.

OLTRE ALL’IMMANCABILE COMPONENTE CAOTICA E DISTURBANTE DEL SUONO DEI NOISE TRAIL IMMERSION, HO NOTATO CHE AVETE SPERIMENTATO QUALCHE FRANGENTE PIÙ RALLENTATO E INTROSPETTIVO, QUASI FUNERAL DOOM. È STATA UNA SCELTA PONDERATA OPPURE ISTINTIVA?
– Penso sia stata un po’ la logica conseguenza del modo in cui abbiamo voluto terminare “Womb”, e cioè con una traccia conclusiva completamente a sé stante e che lasciava sicuramente intravedere una componente più introspettiva nella nostra musica, che poi con il passare del tempo è diventata ancora più presente. Infatti ascoltiamo tanto post-metal e tanto funeral doom: in particolare la parte finale di “The Empty Earth I”, che è stata cronologicamente una delle ultime ad essere stata scritta e che quindi forse più risente di queste influenze, è forse la cosa più vicina al mondo del funeral doom che abbiamo scritto.

IN GENERALE, PREFERITE SCRIVERE I VOSTRI BRANI IN MANIERA ISTINTIVA O PIÙ RAZIONALE E RAGIONATA? E PIÙ NELLO SPECIFICO: QUANDO INIZIATE A SCRIVERE UN PEZZO AVETE GIÀ UN PIANO SPECIFICO CIRCA LE INTENZIONI DEL BRANO, OPPURE VI LASCIATE TRASPORTARE?
– Dipende molto dal tipo di brano: quelli più introspettivi come le due “The Empty Earth” nascono solitamente in maniera istintiva strimpellando direttamente sullo strumento, per tutto ciò che invece è sonicamente più vicino al mathcore e al black metal dissonante scriviamo e arrangiamo direttamente su Guitar Pro seguendo un approccio diverso, più schematico dal punto di vista metodico ma al tempo stesso abbastanza imprevedibile dal punto di vista della struttura canzone nel complesso. In entrambi i casi ci lasciamo sempre trasportare: nel momento in cui iniziamo un pezzo non sappiamo quasi mai esattamente dove andiamo a parare, anche se magari un’idea complessiva di base ce l’abbiamo.

È CAMBIATO IL VOSTRO APPROCCIO ALLA SCRITTURA RISPETTO AL DISCO D’ESORDIO?
– L’approccio in sè e per sè non è cambiato molto. Andando più nello specifico, forse abbiamo modificato un po’ l’approccio alla scrittura delle parti di chitarra: in “Symbology Of Shelter”, diversamente dal modo in cui erano state pensate per “Womb”, le due chitarre eseguono quasi sempre parti del tutto diverse tra di loro che tendono a “incastrarsi” nel riff.

I NOISE TRAIL IMMERSION STANNO RAGGIUNGENDO SEMPRE PIÙ GENTE TRAMITE VOSTRI VARI CANALI SOCIAL, YOUTUBE ECC. E, COME È NORMALE CHE SIA, INSIEME AI COMPLIMENTI, COMPAIONO ANCHE LE PRIME CRITICHE. COME VI RAPPORTATE ALLE CRITICHE E AI COMMENTI NEGATIVI? VI INTERESSANO – E IN QUALCHE MODO INFLUENZANO – LE OPINIONI ESTERNE?
– Le critiche ovviamente le accettiamo e in una certa misura le riteniamo anche utili, ma tendenzialmente le opinioni esterne non ci influenzano per niente. La nostra musica nasce innanzitutto per soddisfare un nostro personale bisogno: speriamo che possa comunicare un qualcosa anche agli altri ma nel caso in cui ciò non accada per noi non è un problema e non ci interessa sforzarci per raggiungere il pubblico. Non è mai stato quello l’obiettivo.

LA VOSTRA MUSICA È UN CONCENTRATO DI ODIO, MALESSERE, DISAGIO E SENSAZIONI NEGATIVE. QUANTO C’È DI PERSONALE?
– Direi tutto. Tutte le sensazioni che vengono fuori ascoltando il disco le abbiamo in una certa misura provate, altrimenti non penso che avremmo avuto la necessità di volerle rievocare. Ovviamente il tutto avviene per lo più in modo inconscio, però sì è un disco intimo e personale che vuole provare a esprimere un disagio di fondo pressoché ineliminabile.

QUANTO L’AMBIENTE, LA CITTÀ IN CUI VIVETE E CIÒ CHE VI CIRCONDA INFLUENZA LA VOSTRA MUSICA?
– Dal punto di vista musicale, probabilmente essere cresciuti in Italia ha almeno in minima parte influenzato la nostra musica: basti pensare a band come The Secret, Amia Venera Landscape, Storm{o} e Nero di Marte che sono state fondamentali per il nostro personale processo di crescita musicale. Anche Torino, con la sua tradizione esoterica, ha avuto probabilmente un ruolo, seppure inconsciamente, nella creazione del nostro immaginario.

COSA NE PENSATE DEL PAY TO PLAY?
– E’ un qualcosa verso cui ormai siamo abbastanza indifferenti. Personalmente non lo facciamo e non abbiamo mai nemmeno preso in considerazione l’idea, non riteniamo sia ‘eticamente’ giusto probabilmente, ma alla fine pagare per suonare in apertura ad un gruppo grosso difficilmente è un qualcosa che può davvero fare la differenza per la crescita di una band.

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