Fedeli alla linea, ma non sempre pienamente affidabili a livello strettamente compositivo, gli Obituary post-reunion di “Frozen in Time” hanno collezionato qualche battuta d’arresto di troppo, finendo per danneggiare – almeno un pochino – una reputazione che sino ad allora era rimasta pressoché inattaccabile, nonostante qualche fisiologico calo. Con il nuovo “Dying of Everything” – e in parte con il precedente “Obituary” – gli storici death metaller statunitensi sembrano tuttavia avere riguadagnato spinta e fervore, grazie forse alla pausa forzata innescata dalla pandemia e al rinnovato equilibrio all’interno della band, che si dice più affiatata che mai. Il nuovo album del gruppo floridiano riesce insomma a toccare le corde giuste, dosando bene gli elementi e mantenendo alta la tensione anche nei casi in cui si procede con il cosiddetto pilota automatico. Parliamo di questa nuova fatica, arrivata a ben sei anni dalla precedente, con il disponibilissimo Donald Tardy, leggendario batterista e ‘mente’ della formazione americana.
SIETE ATTUALMENTE IN TOUR NEGLI USA DI SPALLA AGLI AMON AMARTH. IMMAGINO SIA UNA SITUAZIONE LEGGERMENTE INSOLITA PER VOI. IL LORO PUBBLICO COME VI STA ACCOGLIENDO?
– Sì, siamo in tour da un paio di settimane. Oltre agli Amon Amarth, anche Carcass e Cattle Decapitation fanno parte del pacchetto. Sicuramente molti fan attuali degli Amon Amarth non hanno grande familiarità con il death metal floridiano, quindi è una situazione interessante. Suoniamo davanti ad un pubblico che non ci conosce benissimo e possiamo sfruttare la cosa per guadagnare qualche nuovo fan. Il nostro set è di appena trentacinque minuti, quindi è stato un po’ problematico scegliere i brani tra tutti i dischi che abbiamo, ma pazienza, la sensazione è positiva e credo che abbiamo fatto la scelta giusta.
ANNI FA I CANNIBAL CORPSE APRIRONO PER I CHILDREN OF BODOM IN EUROPA E MI HANNO POI CONFERMATO CHE IL LORO RAGIONAMENTO FOSSE STATO LO STESSO…
– Sì, è bello suonare da headliner, ma alla lunga puoi ritrovarti ad esibirti davanti alle stesse persone. Queste sono opportunità che vanno sfruttate per cambiare giro e trovare nuovi fan. Per lo stesso motivo, non vediamo l’ora di imbarcarci nel tour europeo con Trivium ed Heaven Shall Burn in Europa. Anche lì troveremo un pubblico nuovo e faremo del nostro meglio per conquistarlo.
COME È NATO QUESTO TOUR CHE HAI APPENA CITATO?
– Siamo semplicemente stati invitati dai Trivium. Anche loro sono floridiani e sono da sempre fan della band. Siccome siamo sotto la stessa agenzia di booking, è stato facile accordarsi e confermare la cosa. Abbiamo la fortuna di potere scegliere come e quando andare in tour e ciò rende le cose molto più semplici per noi. Avevamo altre offerte, ma abbiamo deciso di imbarcarci in questo tour proprio perché sembra una buonissima opportunità per suonare in locali diversi, davanti a un pubblico nuovo.
VENIAMO AL NUOVO ALBUM, “DYING OF EVERYTHING”. LO AVETE PORTATO A TERMINE IN UN PERIODO UN PO’ COMPLICATO…
– Sì, è stata dura lavorarci e poi aspettare così a lungo per la pubblicazione. Non abbiamo voluto pubblicarlo quando il Covid era ancora un grosso problema, quindi siamo stati costretti a pazientare. È un album molto intenso, credo il nostro migliore da parecchio tempo, nonostante già il disco omonimo fosse una prova di alto livello, secondo me. Siamo ancora molto orgogliosi di “Obituary”, ma con questo nuovo album siamo andati oltre e davvero non vedo l’ora che i fan possano ascoltarlo.
NEL CORSO DELLA PANDEMIA VI SIETE ANCHE TENUTI IMPEGNATI CON DEI LIVE STREAM. AVETE SUONATO PER INTERO I VOSTRI PRIMI ALBUM E MI SEMBRA CHE LE REAZIONI SIANO STATE ENTUSIASTICHE. COME È STATO RIVISITARE QUEI VECCHI DISCHI? IL PROCESSO HA INFLUENZATO ANCHE LA LAVORAZIONE DI “DYING OF EVERYTHING”?
– Forse un pochino. Quando abbiamo organizzato quegli eventi in streaming, parte delle canzoni per il nuovo album erano già pronte, ma il concentrarci per qualche tempo sui live streaming ci ha dato modo di staccare le orecchie dal nuovo materiale e di acquisire successivamente una nuova prospettiva, un orecchio fresco per valutarle. Quando siamo tornati al lavoro sul disco, abbiamo rivisitato alcune strutture, cambiato qualche riff, per poi concentrarci sulla resa sonora e la produzione. Abbiamo impiegato molto tempo per il mixaggio e credo che questa volta si senta. A costo di risultare noioso, non posso che dire di essere estremamente orgoglioso di questo album.
HO APPREZZATO CERTE DINAMICHE DEL DISCO: MI SEMBRA CHE VI SIA UN BUON BILANCIAMENTO TRA BRANI PIÙ SOSTENUTI E I VOSTRI SOLITI MIDTEMPO. QUESTI ULTIMI POI NON ADERISCONO TUTTI ALLA STESSA FORMULA. VI È INOLTRE UNA CERTA INFLUENZA SLAYER IN ALCUNI PASSAGGI…
– Sì, il tutto è semplicemente successo. Lo abbiamo sempre detto nel corso degli anni: siamo un gruppo che compone spontaneamente. Non ci mettiamo per forza a scrivere nuova musica. Il processo deve essere naturale e divertente. Per noi i brani nascono soprattutto quando siamo di buon umore e ci stiamo divertendo tra noi. Questa volta puoi comunque sentire dei nuovi elementi: è quasi sempre merito di Kenny, che ha portato nuovi spunti all’interno del nostro suono consolidato. Puoi inoltre trovare un brano come “Be Warned”: è così lento e pesante da risaltare subito all’interno del disco. C’è un po’ di tutto e penso possa soddisfare i nostri fan.
HAI MENZIONATO KENNY, IL VOSTRO CHITARRISTA SOLISTA. SEMBRA SEMPRE L’ULTIMO ARRIVATO, MA ORMAI È CON VOI DA UN DECENNIO…
– Sì, è incredibile come il tempo voli. Kenny è con noi da dieci anni e le cose vanno a gonfie vele. Questa è la nostra migliore line-up di sempre: siamo affiatatissimi e andiamo d’accordo. Devo anche citare Terry Butler: ottimo bassista, grande conoscitore di tutto ciò che è death metal e una persona splendida, con cui è davvero facile dialogare. Siamo solidi sia a livello mentale che fisico e penso che tu lo possa sentire quando siamo sul palco.
COSA PORTANO QUESTI ‘NUOVI’ ACQUISTI IN SENO AGLI OBITUARY?
– Parlo soprattutto di Kenny: quando è entrato non gli abbiamo subito chiesto di contribuire alla composizione. Prima di tutto ha dovuto imparare i pezzi e lo stile di chi lo aveva preceduto, in particolare quello di Allen West, ma senza ovviamente dimenticare gli assoli di James Murphy su “Cause of Death”. Ora invece sta iniziando a scrivere e ha portato alcuni brani completi, come ad esempio la title-track, “Dying of Everything”. Lui è un grande appassionato di thrash e speed metal e puoi sentire questa influenza su qualche canzone. Stiamo ora cercando di combinare i nostri stili, senza ovviamente snaturarci. È importante che tutto suoni sempre Obituary.
STA DIVENTANDO DIFFICILE COMPORRE NUOVA MUSICA DOPO TUTTI QUESTI ANNI, EVITANDO DI RICICLARE LE STESSE IDEE?
– Lo è stato per qualche tempo, ma ultimamente stiamo andando benissimo e la musica continua a nascere spontanea. Questo disco, in particolare, è stato il frutto di un processo breve, spontaneo e divertente. Ci siamo sorpresi della facilità con cui abbiamo messo giù le idee base. Non ci capitava da un po’.
QUINDI GLI OBITUARY NON SONO SOLO UN LAVORO PER VOI, DOPO TUTTI QUESTI ANNI…
– No, siamo i primi a dire che come band non ci siamo mai presi troppo seriamente e che è sempre stato importante che il tutto mantenesse i contorni di un hobby assai piacevole. Poi siamo riusciti a fare diventare la nostra passione un’occupazione, ma resta il fatto che quando siamo sul palco ci stiamo genuinamente divertendo. Se è un lavoro, è il lavoro più bello del mondo.
E IL FATTO CHE VI METTIATE IN GIOCO E DECIDIATE DI ANDARE IN TOUR CON GRUPPI ANCHE MOLTO LONTANI, STILISTICAMENTE PARLANDO, DA VOI, DIMOSTRA CHE ABBIATE ANCORA FAME…
– Certamente. Siamo una band da quasi quarant’anni e posso dire che non abbiamo alcuna intenzione di tirarci indietro davanti a nuove opportunità. Siamo felici di comporre musica, ma siamo ancora più interessati a promuoverla e a esibirci su un palco. Siamo pronti a tenere il più alto numero di concerti ogni anno, in ogni parte del mondo.
TORNIAMO ORA A “DYING OF EVERYTHING”: LA COPERTINA HA GENERATO SCALPORE. UN DIPINTO – DI MARIUSZ LEWANDOWSKI – DALL’ATMOSFERA PIUTTOSTO LONTANA DAI VOSTRI STANDARD.
– Sì, volevamo qualcosa di più ‘artistico’ per questo album. Inizialmente abbiamo pensato ad Andreas Marschall, il quale ha curato già diversi artwork per noi in carriera, ma non era disponibile nei tempi da noi richiesti. Così abbiamo fatto una ricerca e siamo entrati in contatto con l’arte di Mariusz Lewandowski: abbiamo subito pensato che il suo modo di dipingere fosse incredibile e gli abbiamo inviato un messaggio. Con nostra sorpresa, conosceva già gli Obituary e ha accolto con piacere il nostro invito. Non sono stati necessari molti colloqui per definire il tema e ciò che avevamo in mente: dopo un paio di email, si è messo al lavoro ascoltando il disco in sottofondo, facendosi ispirare dalla musica. Siamo davvero orgogliosi di avere questa copertina firmata da lui nel nostro catalogo. È poi immensamente triste pensare che purtroppo sia venuto a mancare non molto tempo dopo la realizzazione di questo dipinto. Ci siamo rimasti davvero male quando abbiamo appreso la notizia. Siamo però contenti di avergli espresso tutta la nostra gratitudine quando era in vita.
COME PENSI CHE VERRÀ ACCOLTO IL DISCO ALLA SUA USCITA? PER BAND LONGEVE COME VOI, È SEMPRE PIÙ DIFFICILE BEN IMPRESSIONARE. I PRIMI ALBUM VERRANNO SEMPRE CONSIDERATI I MIGLIORI…
– Lo so, cerco di non farmi influenzare troppo da questo pensiero. Dopo tutto, è normale che le cose vadano così. Se ci penso, anch’io mi comporto in quella maniera con i miei gruppi preferiti. Prendi gli Slayer: i loro ultimi album non sono malvagi, li ho sempre ascoltati volentieri, ma vuoi mettere con “Hell Awaits”? Il fattore nostalgia gioca un ruolo fondamentale nel modo in cui ci approcciamo e valutiamo la musica. Se abbiamo davanti un disco con cui siamo cresciuti, questo avrà sempre la precedenza su qualsiasi altra cosa venuta dopo, indipendentemente dal suo valore. Come artista, però, non posso che cercare di guardare avanti e di dare sempre il meglio a ogni nuovo album: questo è l’unico modo per mantenere entusiasmo e per cercare di restare rilevanti in un panorama musicale che, anno dopo anno, è diventato sempre più vasto e frammentato. Poi se qualcuno mi dice che “Cause of Death” resterà sempre il nostro miglior album, lo prendo come un complimento ugualmente: significa che almeno siamo riusciti a realizzare qualcosa di significativo in carriera.
PENSO CHE CON “DYING OF EVERYTHING” E IN PARTE CON “OBITUARY” SIATE RIUSCITI O RIUSCIRETE A METTERE D’ACCORDO PIÙ PERSONE, ALMENO RISPETTO AD ALTRI VOSTRI DISCHI USCITI NEL NUOVO MILLENNIO. CERTE OPERE NON HANNO AVUTO UNA GRANDE FORTUNA…
– Per un paio di album abbiamo avuto Ralph Santolla come chitarrista e, sì, posso confermare: quel materiale non è piaciuto a tutti. Ho sempre capito da dove arrivassero le critiche dei fan. Se conosci il personaggio, puoi immaginare quanto sia stato divertente avere Ralph nella band, un chitarrista fenomenale e al contempo una persona estremamente disponibile e gioviale. Il suo era un talento straordinario, paragonabile a gente del calibro di Michael Schenker, ma mi rendo conto che il suo stile potesse apparire sin troppo virtuoso e melodico per una band di trogloditi come la nostra. Forse in quel caso abbiamo osato un po’ troppo, anche se ribadisco come il periodo con Ralph sia stato tra i più divertenti per il gruppo.
PRIMA HAI MENZIONATO ANCHE ALLEN WEST, CHITARRISTA IN ALCUNI DEI CAPISALDI DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA, IL QUALE DA QUALCHE TEMPO HA ALCUNI PROBLEMI CON LA GIUSTIZIA. SIETE ANCORA IN CONTATTO CON LUI?
– Abbiamo cercato di metterci in contatto qualche volta, ma è difficile. Allen è una persona molto chiusa e riservata, ha evidentemente dei problemi e negli ultimi vent’anni è stato spesso in carcere. Quando ne abbiamo avuto la possibilità, gli abbiamo manifestato la nostra vicinanza, dicendogli di farsi sentire se avesse avuto bisogno di una mano, ma è sempre stato per conto proprio, non lo sentiamo quasi mai. È triste, ma le cose stanno così.
VISTO CHE SIAMO IN TEMA DI VECCHI TEMPI E DI UNO SGUARDO AL PASSATO, A QUESTO PUNTO VOGLIO SAPERE QUALE SIA IL TUO DISCO PREFERITO DEGLI OBITUARY…
– Come dicevo prima, una band deve sempre dare il massimo e cercare di mantenersi rilevante. Di conseguenza, il nuovo album non può che essere il mio preferito, al momento. Ne sono molto orgoglioso. Posso però dirti quello che amo di meno, anche se immagino che la mia risposta spiazzerà molti fan (ride, ndR).
SPARA!
– Allora, premetto che non ho niente contro le canzoni: quelle sono stupende e non hanno nulla che non vada. Secondo me, il peggior album degli Obituary tuttavia è “Cause of Death”, perché ha dei suoni che non mi hanno mai convinto. La batteria suona troppo finta. È stato un peccato di inesperienza: eravamo agli albori di certa tecnologia applicata agli studi di registrazione, c’era l’opzione di rimpiazzare i suoni della cassa e del rullante con dei sample e ci siamo lasciati convincere. È stato un errore, perché la batteria aveva già sufficiente vigore per come l’avevo suonata. Quell’espediente ha rovinato parte del mio lavoro e da allora non riesco ad ascoltare quel disco senza innervosirmi.
PER CONCLUDERE, TI FACCIO UNA DOMANDA CHE STO CERCANDO DI FARE A TUTTI I VETERANI CON CUI HO MODO DI PARLARE NEGLI ULTIMI ANNI. CHI SONO SECONDO TE I ‘BIG FOUR’ DEL DEATH METAL?
– Purtroppo non so mai cosa rispondere a questa domanda: gli elementi da valutare sono troppi! Sappiamo chi sono i ‘big four’ del thrash metal e questi hanno anche suonato assieme per delle date. Posso quindi dirti quale sarebbe la line-up da sogno per un tour degli Obituary, secondo me, senza parlare strettamente di ‘big four’ del death metal. Il primo nome che mi viene in mente sono sicuramente gli Hellhammer/Celtic Frost, per quanto Tom G. Warrior ha rappresentato per noi a livello musicale. Quindi i Venom, seminali con i loro primi dischi, e poi i Death, anch’essi importantissimi per il nostro panorama. Per ovvi motivi un tour del genere non potrà mai avere luogo, ma questo sarebbe il mio pacchetto dei sogni.
MA PENSI CHE UN TOUR CON NOMI ATTUALI DEL DEATH METAL – AD ESEMPIO, VOI, CANNIBAL CORPSE E MORBID ANGEL – POTREBBE MAI AVERE LUOGO?
– Sarebbe possibile, magari dopo un lungo negoziato, perché no? Certo, è difficile mettere d’accordo band così grosse, management e tutto ciò che vi ruota attorno. Per quanto ci riguarda, da qualche tempo pensiamo che sarebbe divertente venire in Europa con un’altra vecchia conoscenza della scena della Florida, i Deicide. Chissà, magari un giorno riusciremo a mettere in piedi questo ‘Florida death metal kings’ tour. Mai dire mai. Noi saremo molto impegnati nei prossimi tre anni, vogliamo suonare ovunque, e magari riusciremo a organizzare un tour death metal vecchia scuola con alcuni dei nomi che abbiamo menzionato.