OKKULTOKRATI – Al servizio delle arti oscure

Pubblicato il 23/06/2020 da

Tra le nuove leve ormai ben consolidate in ambito black troviamo sicuramente gli Okkultokrati, che con il loro peculiare mix di black metal, crust e un pizzico di visionarietà new wave stanno contribuendo da oltre un decennio a rinfrescare il genere. Un genere sempre vivo, certo, ma anche esposto parimenti all’incancrenimento su un sound troppo classico, o su un ventaglio di varianti che spesso lo snaturano. Per la band norvegese, invece, la via da seguire è semplicemente quella di riprendere lo spirito primevo, aggiungendo giusto dei tocchi di follia personali, e il cantato abrasivo di Dyonisiac è la perfetta espressione di questo approccio oscuro e punk insieme. Ed è proprio lui che abbiamo raggiunto per un’intervista che si è rivelata un vero atto d’amore per il metal estremo.

SONO PASSATI QUATTRO ANNI DAL VOSTRO ULTIMO ALBUM, DOPO UN PERIODO IN CUI PUBBLICAVATE NUOVI LAVORI CON COSTANZA OGNI DUE ANNI. COS’È SUCCESSO, NEL FRATTEMPO? COME MAI QUESTA LUNGA ATTESA?
– Dopo aver registrato “Raspberry Dawn” abbiamo subito iniziato a lavorare su nuove canzoni e tre prime versioni delle canzoni di “La Ilden Lyse” sono state scritte nell’estate del 2016. Dopo che l’album è stato pubblicato nell’autunno dello stesso anno abbiamo trascorso i nove mesi successivi a suonare costantemente in tour, e i successivi quattordici mesi li abbiamo poi passati a districare i nodi rimasti sulle nuove canzoni. Abbiamo scritto, riscritto, testato le versioni dal vivo, rielaborato e perfezionato, rivedendo ogni dettaglio fino a quando non siamo rimasti soddisfatti. Siamo quindi entrati in uno studio a Notodden, nel Telemark, nell’autunno del 2018 e abbiamo registrato, ma nel processo di missaggio dell’album siamo giunti alla conclusione che le canzoni avevano bisogno di un tocco più freddo, più duro e più diabolico. Così abbiamo buttato via l’intera registrazione e prenotato un altro studio a Oslo nel dicembre dello stesso anno; abbiamo portato a bordo il collaboratore di lunga data Ruben Willem, che aveva realizzato il nostro primo album “No Light For Mass”, per aiutarci a registrare e produrre. Abbiamo quindi trascorso sei mesi a mixare il disco e poi altri sei mesi a elaborare i dettagli della copertina e mettere a punto tutto per essere pienamente soddisfatti. Cosa posso dire? Servire le arti oscure a volte richiede tempo e preparazione.

IN CHE MODO DIRESTI CHE “LA ILDEN LYSE” DIFFERISCE DAI VOSTRI ALBUM PRECEDENTI?
– “La Ilden Lyse” funge da culmine di tutto il sangue, il sudore e la follia che finora ci hanno portato lungo questo oscuro e tortuoso sentiero. È una versione più vecchia e più saggia di noi stessi, una levigatura delle nostre capacità e l’affinamento dei nostri strumenti per creare qualcosa di concentrato e potente.

È CORRETTO LEGGERE UNA SORTA DI MANIFESTO NEL TITOLO DELL’ALBUM?
– Assolutamente sì. Ogni giorno ti trovi di fronte alla dura realtà di questo mondo, che schiaccia l’anima, e alla scelta tra sdraiarti e morire, morire ed essere dimenticato, o continuare a combattere. È una chiamata alle armi, un grido di battaglia e un promemoria per rimanere ostinati e testardi fino alla fine.

DI CERTO IL BLACK METAL È UN GENERE CHE È ANDATO BEN OLTRE I PROPRI LIMITI, E IL VOSTRO SOUND VIVE AI CONFINI TRA IL BLACK METAL STESSO, IL CRUST E PERSINO LA NEW WAVE. SEI D’ACCORDO? COME DEFINIRESTI LA VOSTRA MUSICA?
– Vale la pena esplorare qualsiasi tipo di musica oscura, dura, veloce o pesante. Tutto ciò che ha qualcosa di spigoloso o un’attitudine, o assume un punto di vista o un approccio nuovo, merita un ascolto. Tutto ciò che allarga la tua mente ed espande i tuoi orizzonti mentali merita di essere approfondito. Noi incoraggiamo a scendere nella tana del coniglio e perdersi, almeno fino al punto in cui si può ancora trovare una strada di ritorno. Se ti senti una persona cambiata dopo aver ascoltato un brano musicale o aver letto una poesia, allora il mondo è eccitante ed esplosivo. Sono sicuro che il black metal merita di meglio che essere ridotto a una forma di nostalgia musicale, intrappolato nell’ambra come un manufatto da museo. È molto più vicino a uno stato d’animo, un’energia cui attingere e una filosofia per navigare su questo piano di realtà. Se come genere non può sopportare di essere rivoltato o non resiste a una trasformazione, allora merita una morte lenta senza cerimonie, ma finché le nuove generazioni saranno ancora mal viste, alienate e arrabbiate, ci sarà ancora posto per il ‘black outlaw metal’.

QUALI SONO LE BAND CHE VI HANNO INFLUENZATO MAGGIORMENTE?
– Siamo sei individui dalla forte volontà, complessi e probabilmente pieni di paradossi, che hanno preso ispirazione da tutti i generi musicali ed epoche più folli, ma su questo ultimo disco siamo tornati sicuramente ad abbeverarci alla fonte originale, prendendo spunti e saggezza da Motorhead, Judas Priest, Venom, Hellhammer, Sodom, Ildjarn, Darkthrone, Emperor, Aura Noir e Winter. Abbiamo reso omaggio all’avanguardia originale e recuperato la loro energia e il loro spirito, fondendoli con il nostro suono e la nostra follia.

E QUAL È, NELLO SPECIFICO, IL VOSTRO RAPPORTO CON LA NORVEGIA E LE BAND CHE HANNO MESSO SOTTO I RIFLETTORI IL VOSTRO PAESE CIRCA VENTICINQUE ANNI FA?
– Siamo cresciuti tutti in luoghi molto diversi, ma eravamo attratti dagli stessi tipi di musica e culture al di fuori delle norme della società ‘integrata’. La Norvegia ha un forte senso di conformità e le persone sembrano generalmente spaventate da come gli altri le percepiscono. Quando il black metal divenne un fenomeno in Norvegia nei primi anni Novanta, le informazioni iniziali che avevamo erano attraverso il filtro dei media sensazionalistici, e ci volle un po’ di impegno per penetrare il velo convenzionale e guardare oltre gli aspetti circensi. Ma quando siamo riusciti a farlo, allora le solide basi di questa musica sono diventate molto evidenti e tutti abbiamo gravitato sulle figure rilevanti che vivevano nelle nostre vicinanze. Per esempio, Black Race (il chitarrista e tastierista della band, ndR) proveniva da Notodden e aveva lì gli Emperor e Ildjarn, mentre io venivo dalla città di Moss e le band più vicine nell’area erano Mayhem e Darkthrone. Quindi, anche se eravamo giovani e senza troppe informazioni, e distanti anni dall’incontrarci e dal formare una band insieme, avevamo iniziato separatamente a fare ascolti fondamentali, che ci avrebbero modellato molto più tardi.

PERSONALMENTE, AMO PARTICOLARMENTE IL VOSTRO USO DELLE TASTIERE. NON CEDETE MAI A UN BANALE SUONO ‘SINFONICO’, MA ALLO STESSO TEMPO COME STRUMENTO AGGIUNGONO MOLTO ALL’ATMOSFERA GENERALE, CHE A VOLTE DIVENTA QUASI IPNOTICA. IN CHE MODO LA TASTIERA ENTRA NEL PROCESSO DI COMPOSIZIONE? È VERO CHE LE AVETE AGGIUNTE QUASI “PER CASO” ALLA BAND?
– No, non è avvenuto per caso. Abbiamo iniziato a introdurre le tastiere nel nostro suono già nel 2013, quando il nostro chitarrista Black Race è stato colpito da una misteriosa malattia che ha attaccato il suo sistema muscolare e non poteva più suonare la chitarra. Così acquistò un synth e passò a suonare le tastiere per un po’ mentre si riprendeva attraverso le meraviglie della medicina moderna. Quindi “Night Jerks” ha alcune primitive tracce di synth, ma dopo ci è piaciuto così tanto che abbiamo aggiunto un nuovo membro permanente della band alle tastiere, ossia Azoth. Quindi i suoni inquietanti, atmosferici e malvagi che sentite non sono affatto una coincidenza, sono stati aggiunti molto deliberatamente.

COME PRENDE VITA UNA CANZONE DEGLI OKKULTOKRATI? UN CONCEPT? UN RIFF? ALCOL E JAM?
– Dipende. Alcuni dei lavori precedenti erano sicuramente pieni di creatività e alcune canzoni di “No Light For Mass” sono state scritte pochi giorni o settimane prima di essere registrate. Ora, al confronto, ci vogliono anni e ogni brano viene sottoposto a un rigoroso processo di tentativi ed errori prima di ottenere il via libera. Ma secondo tradizione una canzone degli Okkultokrati non è mai finita prima che sia definito l’ultimo mix della registrazione. Tutto può cambiare, con solo un secondo di preavviso. In generale, tutto inizia con le chitarre, poi la batteria, poi a volte la voce, poi tutto il resto. A quel punto lavoriamo sul pezzo finché non usciamo pazzi e infine lo rendiamo una bomba.

E PER QUANTO RIGUARDA I TESTI? È CORRETTO PENSARE A UN MIX TRA UN APPROCCIO NICHILISTA, QUASI DA ‘VITA DI STRADA’ E RIFLESSIONI VISIONARIE?
– All’inizio avevamo questo trip che ogni album avesse un tema o un concept generale che legava insieme i testi e l’atmosfera del disco, ma mi sto sempre più liberando da quel tipo di catene. Mi sto immergendo maggiormente in un approccio per cui la musica ti conduce lungo un percorso e i testi suggeriscono uno stato d’animo o creano una traccia per uno stato mentale. L’idea è che i testi possano sbloccare un modo inconscio di pensare o un senso di equilibrio. I testi danno insomma l’ultimo pezzo di identità ai brani, raccontando una storia, che si spera sveli un mistero o un enigma che ha vita propria.

HO AVUTO IL PIACERE DI VEDERVI DAL VIVO DUE VOLTE, E SONO RIMASTO COLPITO COME LA VOSTRA MUSICA ABBIA UN FORTE IMPATTO, MA IL VOSTRO APPROCCIO SUL PALCO SIA TUTT’ALTRO CHE VIOLENTO, DANDO COSÌ UN CRESCENTE SENSO DI ESTRANIAMENTO. È UN EFFETTO CHE CERCATE VOLUTAMENTE?
– Ogni show è diverso sia per noi che per il pubblico. Ci sono così tante variabili e così tante cose che devono andare bene, mentre molte altre possono andare storte in qualsiasi momento. Il nostro lavoro è offrire un set strabiliante ed esaltante. Se le cose andranno bene, allora il pubblico si sarà connesso con esso, altrimenti saremo semplicemente bloccati in una specie di teatro kabuki alimentato dall’ego. Ma se qualcuno torna a casa eccitato, ispirato o con rinnovata energia, allora lo vedo come una vittoria.

PARLANDO DI CONCERTI, OVVIAMENTE QUESTO PERIODO ASSURDO HA IMPOSTO UNO STOP AI TOUR. MI CHIEDEVO SE NE AVETE APPROFITTATO PER CONTINUARE A SUONARE IN SOLITARIA, SE LA MUSICA È LA VOSTRA ATTIVITÀ PRINCIPALE, O IN CHE MODO SI SVOLGE, INSOMMA, LA VOSTRA VITA LONTANO DAL PALCOSCENICO.
– La vita è strana, in questo limbo, e vivere ogni giorno sapendo di essere potenzialmente a soli 14 giorni di distanza dall’essere intubati, o essere morti, sicuramente trasforma la vita quotidiana. Al momento non abbiamo ancora ripreso a suonare, ma tutto può succedere. Fino a quando le cose non si stabilizzeranno, manteniamo le nostre menti acute e usiamo il tempo in modo creativo (l’intervista è stata raccolta il 27 aprile, ndR).

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