OPETH – Black emotions

Pubblicato il 27/12/2005 da
 
Mikael Akerfeldt “è” gli Opeth. Mente tuttofare del gruppo che ha lasciato e sta lasciando un segno profondo nella storia della nostra musica preferita, creando un linguaggio definibile progressive death metal che sta influenzando moltissime band e facendo impazzire decine di migliaia di fan in tutto il mondo. Canzoni, quelle del quartetto di Stoccolma, che vanno oltre il tempo, che hanno definito uno stile unico e indiscutibilmente personale. Attraverso un mondo fatto di di progressive rock e death metal, gli Opeth si sono resi diversi ed elevati decisamente su un altro livello rispetto a quasi tutte le produzioni svedesi dell’ultimo decennio. Nei solchi di dischi come ‘Orchid’, ‘Morningrise’, ‘My Arms Your Hearse’, ‘Still Life’, ‘Black Water Park’, ‘Damnation’ o ‘Ghost Reveries’ c’è tutta la finezza e l’intelligenza di un ragazzo che non ha mai guardato a ciò che facevano gli altri e che ha sempre solo pensato a fondere le sue influenze nella maniera più spontanea e fluida possibile. Metalitalia.com lo ha incontrato alcne ore prima che calcasse il palco del Rolling Stone di Milano assieme alla sua band. Il tempo a nostra disposizione purtroppo non è stato tantissimo, non è stato possibile fare molte delle domande che avevamo preparato, ma si è comunque riusciti a fare il punto della situazione in casa Opeth e a conoscere un po’ meglio questo grande artista. Ecco tutto ciò che ci ha raccontato…
 
 

“GHOST REVERIES” E’ NEI NEGOZI GIA’ DA QUALCHE MESE, SEI SODDISFATTO DEI RISULTATI CHE STA OTTENENDO?
“Sì, devo dire che il disco è stato molto ben accolto dai media e dai fan. Ci abbiamo lavorato per diverso tempo e con grande costanza, personalmente lo reputo un lavoro veramente riuscito, quindi mi fa piacere che sia stato apprezzato da così tanta gente. ovunque andiamo sembra che tutti stiano impazzendo per noi e la cosa, ovviamente, ci lusinga alquanto…”.

MERITO ANCHE DELLA ROADRUNNER, CHE PER VOI HA ALLESTITO UNA GROSSA CAMPAGNA PROMOZIONALE…
“Sicuramente. Infatti abbiamo deciso di firmare per loro proprio perchè sapevamo che erano bravissimi a promuovere le loro band. La loro offerta, a livello economico, era ben lontana dal rappresentare il massimo, ma abbiamo comunque scelto di collaborare con loro perchè ci convinceva il modo di lavorare. Altre case discografiche ci avevavo proposto più denaro, ma non ci avevano dato le garanzie che cercavamo in termini di pubblicità”.

MOLTI DEI VOSTRI FAN PERO’ NON HANNO ACCOLTO MOLTO BENE LA NOTIZIA…
“Sì, pensavano che firmando per la Roadrunner ci saremmo trasformati in un gruppo nu metal. Ma come si fa solamente a pensare una cosa tanto stupida? Siamo in attività da più di quindici anni e non siamo più dei ragazzini, l’idea di allinearci al sound della maggior parte dei gruppi dell’etichetta non ci ha proprio sfiorato. In primis perchè quel tipo di musica ci fa schifo e poi perchè non avrebbe proprio avuto senso. Gli Opeth sono gli Opeth, non hanno bisogno di dimostrare nulla a nessuno. La Roadrunner quando si è fatta avanti sapeva benissimo che genere di musica suonavamo e non si è mai azzardata a darci consigli su che cosa proporre o su come presentarci. Loro da noi vogliono solamente il master del CD per farlo stampare e per pubblicarlo. Al resto non si interessano, sono contenti di ciò che facciamo su ogni fronte. Ci hanno solo proposto di realizzare un videoclip e noi alla fine gli siamo venuti incontro. Abbiamo solo preteso che ‘The Grand Conjuration’ venisse accorciata da noi e non da una persona esterna alla band. Non amiamo i cosiddetti ‘radio edit’, ma per fare un video era necessario rielaborare la canzone”.

IL VIDEOCLIP E’ OGGETTIVAMENTE BEN FATTO, MA NON VI NASCONDO CHE IO AVREI SCELTO UN’AMBIENTAZIONE DIFFERENTE. AD ESEMPIO, UNA FORESTA O UNA PALUDE!
“Sì, in effetti anche noi dobbiamo ancora decidere se il videoclip ci piace o meno (ride, ndR)! Noi ci siamo solo fatti filmare mentre suonavamo, non eravamo presenti quando sono state effettuate le altre riprese. Non sapevamo cosa aspettarci e quando abbiamo visto la versione finale, con quella bella ragazza e il serpente, ci siamo fatti un paio di risate. Ragazze e serpenti… sì, non è esattamente ciò che la nostra musica porta alla mente… sono immagini un po’ troppo ‘metal’ per noi (ride ancora, ndR)!”.

QUESTO PRIMO VIDEOCLIP VI SARA’ PERO’ MOLTO UTILE…
“Sì, è vero, soprattutto oggi che negli Stati Uniti esistono dei programmi televisivi dedicati al metal. I ragazzi americani sono molto interessati a questo tipo di cose e avere un videoclip in rotazione ti permette di farti conoscere in maniera impressionante. Spesso, da quelle parti, un video è più utile di un tour”.

TORNIAMO A “GHOST REVERIES”: PERSONALMENTE L’HO TROVATO UN OTTIMO ALBUM, DECISAMENTE SUPERIORE A “DELIVERANCE”…
“Sì, sono d’accordo, ‘Deliverance’ è un album un po’ ‘forzato’, non ne sono più molto contento. Trovo che la title track di quel disco sia una delle cose migliori che abbiamo mai composto, ma il resto della tracklist non mi convince granchè. Abbiamo cercato di realizzare qualcosa di molto oscuro e violento, ma l’esperimento è riuscito solo a metà… il tutto è venuto troppo poco spontaneo. Con ‘Ghost Reveries’ abbiamo invece cercato di recuperare il vecchio spirito degli Opeth: mischiare parti brutali con altre più soft, inserendo ovviamente qualche novità. Lo trovo un lavoro ben bilanciato, che rispecchia del tutto la visione che io ho della musica”.

COSA PENSI DI “DAMNATION”, INVECE? TI PIACE ANCORA QUEL DISCO?
“Sì, ‘Damnation’ mi piace ancora molto, sono davvero soddisfatto di come sia venuto. Da anni sentivo l’esigenza di comporre un lavoro del genere, interamente soft e volto a mettere in mostra tutte le nostre influenze rock e progressive. Quello sì che è un album spontaneo e sincero: è diverso da qualsiasi altro capitolo della nostra discografia, ma ascoltandolo puoi facilmente renderti conto che si tratta di qualcosa degli Opeth”.

PENSI CHE RIPETERETE L’ESPERIMENTO IN FUTURO?
“Non lo so. Mi piace l’idea di avere nella discografia un disco che sia del tutto diverso dagli altri. Un capitolo differente, una cosa senza eguali. Non ho mai pensato di dargli un successore proprio per questo motivo. Magari però tra qualche anno cambierò idea…”.

CREDO PERO’ CHE “DAMNATION” ABBIA INFLUENZATO LA STESURA DEL MATERIALE PER “GHOST REVERIES”: LE LINEE VOCALI SONO PIU’ ORECCHIABILI E LE TASTIERE SONO PIU’ PRESENTI CHE MAI…
“Certo, ogni volta che realizzi un album impari delle cose nuove e maturi un’esperienza che poi ti verrà utile in futuro. Quando abbiamo completato ‘Damnation’ siamo rimasti davvero felici dei risultati che avevamo raggiunto nella cura delle linee vocali, idem per quanto riguarda l’utilizzo delle tastiere. Così, quando abbiamo iniziato a pensare al nuovo album, tra i nostri obiettivi vi erano quelli di dare ancora spazio al lavoro di Per e di scrivere dei passaggi melodici che fossero più orecchiabili. Quando prima parlavo di novità mi riferivo proprio a tutto questo”.

PARLIAMO DEL CONCEPT DELL’ALBUM? PERCHE’ AVETE SCELTO “GHOST REVERIES” COME TITOLO? SE NON VADO ERRATO, ANCHE “MY ARMS YOUR HEARSE” NARRAVA LA STORIA DI UN FANTASMA…
“Sì, ci troviamo molto agio a parlare di questi argomenti. Non c’è mai nulla di programmato, ma la nostra musica mi fa sempre venire in mente ambientazioni tetre, incubi, fantasmi… tutte cose che ben si sposano con le nostre sonorità. Non si tratta di storie autobiografiche, c’è ben poco della mia vita o delle mie esperienze nei testi. Scrivo soltanto le storie che la nostra musica riesce ad ispirarmi. Spesso sono influenzato anche da film o da libri… ma non è mai capitato che mi sedessi a scrivere qualcosa completamente ispirata a uno di questi ultimi. Amo Edgar Allan Poe, a esempio, ma non ho mai pensato di redarre un testo basato su una delle sue opere. Cerco sempre di essere il più originale possibile”.

INVECE COME SEI SOLITO COMPORRE UN BRANO?
“Ultimamente la maggior parte dei brani degli Opeth vengono composti a casa mia. Non ci troviamo spesso per provare, semmai i nostri incontri vengono organizzati per far ascoltare agli altri che cosa ognuno ha preparato a casa. Io compongo in solitudine, con la mia chitarra acustica. E’ sempre stato così, tranne quando lavoravo in un negozio di strumenti musicali. In quel periodo ero solito prendere in prestito una chitarra e suonare quando c’erano pochi clienti. Dischi come ‘Morningrise’ e ‘My Arms your Hearse’ sono nati così…”.

HAI NOMINATO I MIEI DUE ALBUM PREFERITI DEGLI OPETH…
“Sì, lo immagino. Tutti coloro che ci seguono dagli inizi sono particolarmente legati a quei dischi. In effetti si tratta di due lavori molto particolari, che ancora oggi rappresentano due dei punti più alti della nostra carriera. Ricordo con molto piacere soprattutto ‘My Arms Your Hearse’: durante il songwriting e le registrazioni non sapevamo come sarebbe uscito il disco… la formazione era stata rinnovata, stavamo lavorando di fretta… alla fine però ne è uscito un album colmo di ottimi brani. Rappresentò un bel passo in avanti rispetto a ‘Morningrise’ in quanto, per la prima volta, eravamo riusciti a comporre dei pezzi più diretti senza però perdere di vista la melodia e l’atmosfera. Adoro ‘Morningrise’, ma forse alcuni episodi avrebbero potuto essere sviluppati in maniera migliore”.

QUAL’E’ IL TUO ALBUM PREFERITO DEGLI OPETH?
“Non lo so, sarebbe come chiedere ad un padre quale figlio ama di più. Sono convinto che ‘Orchid’ sia per certi versi un po’ acerbo e che ‘Deliverance’ – come ti dicevo – non contenga dei pezzi particolarmente convincenti. Però, tutto sommato, li amo quanto tutti gli altri dischi. Ogni album degli Opeth fotografa un momento della mia vita e della mia carriera di musicista, per questo motivo è per me davvero difficile metterne uno al di sopra degli altri”.

CHE COSA FARETE UNA VOLTA TERMINATO QUESTO TOUR EUROPEO?
“C’è in programma un nuovo tour negli Stati Uniti, poi credo che ci prenderemo una piccola pausa. In estate forse prenderemo parte a qualche festival estivo e poi credo che ricominceremo ad andare in tour”.

UNA VOLTA NON SUONAVATE LIVE QUASI MAI, OGGI INVECE SIETE PRATICAMENTE OVUNQUE!
“Oggi possiamo contare su una casa discografica e su delle booking agency molto efficienti… inoltre, come ti dicevo, sembra che l’audience abbia improvvisamente cominciato ad amarci. Andammo in tour nel 1996, quando uscì ‘Morningrise’, e poi non uscimmo più dalla Svezia per cinque anni. Da quando è uscito ‘Blackwater Park’ le cose hanno però preso una piega differente: tutto ad un tratto i fan si sono accorti di noi e hanno iniziato a richiederci con insistenza. Per ‘Deliverance’ e ‘Damnation’ abbiamo suonato in lungo e in largo per circa diciotto mesi… una cosa impensabile agli inizi della nostra carriera!”.

IN ITALIA SIETE ORMAI POPOLARI QUASI QUANTO I NOMI STORICI…
“Sì, dal tuo paese abbiamo sempre ricevuto grandi soddisfazioni… già all’epoca dei primi album. Quando suonammo qui nel 1996 fu un vero successo… ed eravamo solamente il gruppo spalla dei Cradle Of Filth! L’Italia ha sempre avuto un occhio di riguardo per noi, forse perchè ha una lunga e gloriosa tradizione nel progressive rock, un genere che ci ha influenzato molto”.

QUALI SONO GLI OBIETTIVI DEGLI OPETH ALLE SOGLIE DEL 2006?
“Comporre e suonare musica che ci soddisfi. Tutto qui. Non ci interessa diventare ricchi nè accontentare i fan. Abbiamo sempre fatto tutto questo solo per noi stessi, quando non ne avremo più voglia o quando ci accorgeremo che ciò che stiamo facendo non è più all’altezza dei lavori precedenti ce ne andremo”.

OK, GRAZIE MIKAEL…
“Grazie a te per il supporto. Colgo l’occasione per salutare i lettori e tutti i fan degli Opeth. Inoltre mando un saluto a Carmelo e a tutti i ragazzi dei Novembre… nostri buoni amici da sempre. Speriamo di vederci presto, ragazzi!”.

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