Con “Värähtelijä” gli Oranssi Pazuzu hanno sparato in alto. Molto in alto. E hanno fatto centro. Non che la cosa ci abbia sorpreso così tanto, sapevamo che dopo “Valonielu” c’era da aspettarsi qualcosa di grosso dagli ancor giovani musicisti finnici. Ma un tale sprezzo del pericolo, una voglia così insopprimibile di svagare liberi per black metal, psichedelia, progressive, trip-hop, drone, atmosfere cupe e filmiche, ci ha lasciato lo stesso di stucco e ci ha fatto capire che è ancora possibile innovare, spiazzare, lasciare interdetti gli ascoltatori più scafati. Da parte nostra la voglia di scoprire come si fosse arrivati a una tale splendida mostruosità era tanta e approfittando della calata al Lo-Fi milanese, a due anni da una sfolgorante esibizione nel vicino Magnolia, siamo riusciti a scambiare una piacevole chiacchierata col cantante/chitarrista Jun-His, prodigo di informazioni e spiegazioni sulla genesi di un album destinato, come afferma il titolo, a far vibrare l’anima di un congruo numero di extreme metaller per mesi e anni a venire.
IL NUOVO ALBUM MI PARE UN’EVOLUZIONE VERSO IL DELIRIO RISPETTO A QUANTO SENTITO IN “VALONIELU”: CI SONO PARTI CHITARRISTICHE MOLTO CATTIVE, AFFINI AL BLACK METAL PURO, E UNA CORAGGOSA ESPLORAZIONE DELLO SPAZIO PROFONDO, TRAMITE L’USO MASSICCIO DI EFFETTISTICA, DRONE, SPRUZZATE DI PSICHEDELIA. TU COME LA DEFINIRESTI QUESTA MUTAZIONE?
“Abbiamo cominciato a scrivere il materiale finito in ‘Värähtelijä’ già prima dell’uscita di ‘Valonielu’, partendo da musica molto incantevole, sognante. Quindi c’è stata l’uscita di ‘Valonielu’, gli show a supporto, e poi ci siamo rimessi a comporre. Alcune basi di quello che puoi sentire nel disco finito arrivano dalle session precedenti l’uscita di ‘Valonielu’. Uno dei primi brani che abbiamo ultimato è ‘Vasemman käden hierarkia’, la traccia più lunga: è scaturita da lunghe jam suonate tutti assieme, da lì ci siamo accorti che accanto al materiale più dilatato e arioso stavano scaturendo delle atmosfere oscure, malvagie, e abbiamo cercato di coniugarle alla parte più soft del nostro suono. Ci siamo concentrati sulla componente ipnotica del nostro sound, insistendo su momenti ambient e riff non mettendoli ognuno per suo conto, ma cercando di sovrapporli, di avere dei drone, degli effetti sopra a delle partiture chitarristiche molto violente”.
LA VOSTRA MUSICA VIVE DI CONTRASTI E CONTRAPPOSIZIONI, CHE SPINGONO MOLTO SPESSO A UNA SENSAZIONE DI ALLUCINAZIONE. COME AVETE LAVORATO PER CREARE UN DISCO RISPETTOSO DEL VOSTRO PASSATO, MA PROIETTATO VERSO IL FUTURO?
“Non sono molto bravo a spiegare cosa abbiamo combinato nel passato e cosa dovremmo progettare in futuro, quali sono le ragioni dell’aver scritto un certo tipo di musica e dove volessimo esattamente andare a parare. Ti posso dire che ci siamo concentrati sull’indurre la sensazione di una ‘ipnosi oscura’, ci tenevamo che la musica avesse un suo forte carattere ipnotico. Volevamo che chi ci sentisse potesse immergersi completamente in questo tipo di emozioni, ci siamo fatti guidare da questa idea facendo in modo che, ogni volta che ci veniva in mente qualcosa di folle, di veramente pazzo, potesse fluire liberamente, ottenere il suo spazio senza subire alcun impedimento”.
IN OGNI VOSTRO ALBUM ANDATE A ESPLORARE MOLTI STILI MUSICALI, IN QUESTO CASO VI SIETE SPINTI ANCORA OLTRE, ARRIVANDO A LAMBIRE IL TRIP-HOP, COME NEL CASO DI “LAHJA”, AD AVERE UNA GROSSA PREPONDERANZA DEL DRONE NELLA TITLE-TRACK E IN “VASEMMAN KÄDEN HIERARKIA”, SFOGANDOVI INFINE IN TERRITORI PROGRESSIVE BLACK METAL IN “HYPNOTISOITU VIHARUKOUS” E “HAVULUU”. VORREI SAPERE COME SI RIESCE A LAVORARE ALLO STESSO TEMPO SU TIPI DI MUSICA TANTO DIVERSI E QUALI SONO LE CONNESSIONI FRA LE CANZONI PIÙ ATMOSFERICHE E QUELLE PIÙ VIOLENTE.
“Per noi si tratta di costruire un viaggio, ‘Värähtelijä’ ha proprio questa funzione, quella di far viaggiare con la mente. Si tratta di compiere un tragitto da un punto ben conosciuto, un ambiente noto, e farci ritorno dopo aver compiuto un percorso molto ampio, arrivando ad avere nel mezzo molte esperienze diverse, che ti arricchiscono e ti fanno diventare un’altra persona. Ascoltare l’ultima traccia del disco avendo sentito quelle precedenti è un’esperienza differente da quella che si può avere ascoltando ‘Valveavaruus’ da sola. Puoi apprezzare le singole canzoni anche singolarmente, ma se hai presente quello che c’è attorno, se si ascolta l’album nella sua interezza, la percezione del singolo pezzo cambia completamente in virtù di quanto c’è prima. ‘Värähtelijä’ assume il suo vero significato se approcciato nel suo insieme. Oggi non sono i molti a volersi relazionare a un disco del genere, l’abbiamo pensato come un disco prog degli anni ’70, dove non si può separare un elemento dall’altro per capire esattamente il contenuto dell’opera. ‘Värähtelijä’ vuole essere un trip negli angoli più cupi della propria mente”.
PER QUANTO MI RIGUARDA, IL LATO PIÙ DISTINTIVO DELLA MUSICA DEGLI ORANSSI PAZUZU È RAPPRESENTATO DAI SYNTH E DAGLI EFFETTI DI EVIL. MI PIACEREBBE SAPERE COME HA SVILUPPATO IL SUO STILE, CHE TIPO DI FORMAZIONE ABBIA AVUTO E COME RIESCA A MIGLIORARSI E A NON RIPETERSI DA UN DISCO ALL’ALTRO, CONSIDERATO CHE NELL’ULTIMO ALBUM SI SENTONO SOLUZIONI NON UTILIZZATE IN “VALONIELU”.
“Non sono in grado di spiegarti nei minimi dettagli quello che fa con le sue tastiere e i sintetizzatori, però so quale può essere il suo metodo di lavoro. Tieni conto che lui è un sound designer, si occupa per un teatro di tutti gli aspetti connessi al suono. Questo significa non solo creare musica per una rappresentazione teatrale di qualsiasi tipo, vuol dire occuparsi di ogni tipologia di suono che deve essere riprodotto durante le performance. Registra suoni ambientali, catturati all’esterno, e poi cerca di coniugarli alla musica che sarà suonata o di farli diventare a loro volta musica. In pratica, va a colmare la distanza che ci può essere dal suono nudo e crudo e la musica. Oltre a questo, si occupa di come dare un senso alla narrazione, utilizzando i suoni più adatti, inserendoli nel contesto di quanto viene raccontato nei punti che reputa più adeguati. Crea suoni dal nulla, partendo da rumori ambientali perviene a qualcosa di nuovo. Uno dei suoi compiti più importanti è quindi quello di rielaborare i temi delle tastiere e concepire tonalità inedite, immettendole poi nel commento sonoro di quanto andrà in scena facendosi guidare dalla sua ispirazione e dalle necessità imposte dal ritmo narrativo. Un metodo di lavoro affine a quello di comporre musica per una band, ma da alcuni punti di vista abbastanza inusuale, che gli permette di rapportarsi alla materia sonica da un’angolatura particolare e non molto diffusa”.
COME È STATO POSSIBILE PER VOI CAMBIARE ANCORA? GIÀ CON “VALONIELU” AVEVATE COMPIUTO UN LAVORO INCREDIBILE, NON ERA FACILE MUTARE PELLE UN’ALTRA VOLTA. MI HA MOLTO STUPITO, INOLTRE, NELLE OCCASIONI CHE VI HO VISTO DAL VIVO, L’ASSOLUTA ADERENZA DELLE VERSIONI LIVE A QUELLE IN STUDIO.
“Noi scriviamo musica essenzialmente per noi stessi, ogni volta che ci mettiamo a comporre un nuovo album cerchiamo di adottare un comportamento diverso, muoverci secondo una prospettiva differente e andare a suonare qualcosa di mai provato prima. Ci inoltriamo nel nostro microcosmo mentale, viaggiamo all’interno di noi stessi e cerchiamo di arrivare a estrapolarne musica che ci rappresenti. Un nuovo disco è l’occasione di guardare alla musica da un punto di vista non adottato in passato. So che per molti ci sono grandi differenze fra ‘Valonielu’ e ‘Värähtelijä’, per noi invece l’uno è la prosecuzione dell’altro. Con ‘Valonielu’ abbiamo iniziato la nostra personale esplorazione dell’universo, ora siamo nel mezzo del viaggio e non sono assolutamente in grado di dirti dove approderemo! Potremmo anche ripetere album come gli ultimi due, ma ora come ora non so predire quale potrebbero essere le nostre prossime mosse”.
ANALIZZANDO LA STRUTTURA DELLE VOSTRE COMPOSIZIONI, MI PARE CHE IN MOLTI CASI SI SVILUPPINO COME SONG DEI PINK FLOYD O DEGLI HAWKWIND. QUAL È IL TUO GIUDIZIO SUL ROCK PSICHEDELICO DEGLI ANNI ’70 E QUANTO HA CONTRIBUITO NELLA CREAZIONE DEL VOSTRO SUONO?
“La componente sognante, onirica, del rock settantiano ha giocato un ruolo importante nell’influenzare la nostra musica. Ci piace molto, dei gruppi di quel periodo, la loro capacità di osare, di prendersi dei rischi, di non porsi interrogativi su accostamenti stilistici ambiziosi o apparentemente non molto logici. Oggi parecchie band inseriscono atmosfere molto pacifiche, eteree, in partiture tipicamente di metal estremo, ma spesso non si prendono alcun rischio, riproducono idee altrui e non vi aggiungono nulla. Tanti si assomigliano, la loro musica è innocua, poco propositiva. Le band degli anni ‘60/’70 andavano dritte per loro strada, pensando proprio agli Hawkwind si creavano delle combinazioni stranissime, derivate dall’avere in line-up un rocker come Lemmy, che spingeva sul lato più pesante, e il resto dei membri innamorati della psichedelia, gran fruitori di funghi allucinogeni e roba simile. Erano dei veri hippie! Al nostro interno, abbiamo questo tipo di conflittualità, non dovuta al fatto che alcuni di noi abbiano quel tipo di comportamento ‘da hippie’, quel modo di affrontare la musica. Soltanto, nelle nostre teste passano sensazioni cupe, un feeling tenebroso e la necessità di suonare musica potente, e poi ci troviamo anche ad avere a che fare con la necessità di riflettere, di porci delle domande, di guardare dentro noi stessi. Tutte quelle cose che tendono a fare gli uomini in Occidente, che non dovendo pensare continuamente a come procacciarsi il cibo hanno tempo per pensare e utilizzare il loro tempo a porsi grandi domande sul senso della vita (risate, ndR)! Se la vedi in questa maniera, sì, siamo un po’ hippie, perché mettiamo assieme tipologie di musica con poco in comune e amiamo crogiolarci in sonorità ‘belle’, levigate. Suoniamo in tutt’altra maniera da loro, ma qualcosa degli Hawkwind lo puoi scovare anche negli Oranssi Pazuzu”.
QUALE TIPO DI EDUCAZIONE MUSICALE AVETE AVUTO, DA QUALI ESPERIENZE SIETE PASSATI PER ARRIVARE ALLA PERIZIA STRUMENTALE E AL BAGAGLIO DI INFLUENZE CHE VI CONSENTE DI SUONARE LA MUSICA DEGLI ORANSSI PAZUZU?
“Io e il batterista, Korjak, suonavamo assieme già a undici-dodici anni. Il nostro bassista Ontto ha avuto una formazione classica, ha studiato in conservatorio. Anche Moit ha studiato molto e insegna a sua volta a suonare, ma credo che al di là della formazione, di quello che si sia studiato, il fattore più importante nel nostro apprendimento sia stato l’aver cominciato abbastanza in fretta a comporre musica originale. Per diventare quello che siamo oggi non è stato così fondamentale l’aspetto teorico, l’imparare a suonare perfettamente uno strumento, quanto l’essere costantemente impegnati a provare, passare del tempo a improvvisare gli uni con gli altri, mettere mano a musica nuova e tentare di dare una forma concreta alle nostre idee”.
È MOLTO INTERESSANTE L’USO CHE AVETE FATTO DELLE CHITARRE SU QUEST’ULTIMO ALBUM. DA UN LATO, AVETE UNO STILE MOLTO AGGRESSIVO E DECISO, DALL’ALTRO METTETE SPESSO LE CHITARRE IN SECONDO PIANO A FAVORE DEI SYNTH, MENTRE IN ALTRI PUNTI CERCATE DI BILANCIARE IL PESO DEGLI STRUMENTI E LI FATE VIAGGIARE PIÙ O MENO SULLO STESSO PIANO. IL MIX È MOLTO BEN CALIBRATO, VOLEVO SAPERE COME AVETE LAVORATO SU QUESTO ASPETTO E QUALI ACCORGIMENTI AVETE ADOTTATO PER GIUNGERE AL RISULTATO FINALE.
“Come ti ho accennato prima, abbiamo lasciato scorrere la musica, farle prendere il suo percorso ponendovi pochissime barriere. Le chitarre prendono una piega molto libera, da jam session, arrivando ad essere in alcuni casi molto dirette, tracimanti. Sempre impegnati nella nostra ricerca di contrasti, non abbiamo avuto remore nel contrapporre parentesi di suono molto dirette e altre molto dilatate. Abbiamo dovuto gestire questa esigenza in modo attento sul piano della produzione, affrontando decisioni importanti rispetto al taglio che avremmo voluto dare al suono. Oggigiorno, soprattutto in campo rock e metal, si cerca di avere dischi equilibrati e omogenei nello spazio dato ai singoli strumenti. A me invece piacciono molto alcuni album degli anni ’70 dove ci sono delle specie di squilibri e in alcuni momenti la botta di suono è esagerata, uno strumento travalica gli altri e ti scarica addosso tutta la sua forza. Con questa idea in mente ci siamo rapportati al produttore, raccomandandogli di lasciare che le chitarre, nei punti in cui fossero andate a emergere sul resto, diventassero travolgenti, fossero cariche abbastanza da schiacciare l’ascoltatore! Credo che abbiamo assicurato un’esperienza di ascolto più varia, giocando appunto coi contrasti e passando da atmosfere rarefatte a grandi esplosioni di suono”.
IL RANGE VOCALE È STATO AMPLIATO, C’È UN’ALTERNANZA DI URLA, PARLATO E SUSSURRI, LO STESSO SCREAMING HA ASSUNTO COLORITURE INEDITE, CONTRIBUENDO AD AUMENTARE LA VARIETÀ DI QUANTO ANDIAMO A SENTIRE. CI PUOI SPIEGARE QUALE SIA STATO IL METODO DI LAVORO IN QUESTO CASO?
“In ‘Värähtelijä’ più che in passato abbiamo avuto chiare le atmosfere del disco prima di scrivere le lyrics e siamo arrivati a scrivere i testi quando la musica era praticamente pronta. Le vocals sono state adattate al feeling ricreato dalla musica, cercando di indirizzarle nella stessa direzione per far sì che stimolassero la medesima idea di caos e psichedelia. Abbiamo registrato delle demo, abbiamo condotto diversi esperimenti nel tentativo di avere un’interpretazione dei testi in linea con quello che la musica induceva a livello sensoriale. È stata prestata molta attenzione anche al missaggio delle linee vocali con gli altri strumenti, affinché si intrecciassero per infondere quell’idea di viaggio mentale che avevamo in mente. Vero, ho provato alcune nuove soluzioni durante le registrazioni, devo dire che non mi ci sono volute molte prove per arrivare al risultato desiderato, ho cantato con naturalezza, anche se mi rendo conto che alcune parti suonino abbastanza ‘inumane’, ci sia un forte senso di alienazione diffuso dal mio modo di cantare”.
PASSIAMO AL LATO PRETTAMENTE VISUALE DELLA VOSTRA MUSICA, NELLO SPECIFICO AL VIDEO DI “LAHJA”. SORPRENDENTE IN UN CONTESTO METAL LA FOTOGRAFIA, CON QUESTE IMMAGINI COLORATE E PIENE DI LUCE, SURREALE IL CONCEPT, CARATTERIZZATO DA BIZZARRE FIGURE ANTROPOMORFE CHE COMPIONO AZIONI ASSOLUTAMENTE ASSURDE! QUAL È IL CONCEPT DEL VIDEO? COME SI COLLEGA ALLA MUSICA E AI TESTI DI “LAHJA”?
“Il video rappresenta l’interpretazione filmica data alla nostra musica dal regista, Janiv Oskar. Gli abbiamo fatto sentire il disco, leggere i testi, sull’idea che se né è fatto ha creato il filmato di accompagnamento a ‘Lahja’. Puoi vederlo con lo stesso stato d’animo con cui ascolteresti la nostra musica, è un po’ diverso dalla maggior parte dei video che escono adesso, lyric video o cose simili. Il testo parla della forza delle gerarchie di potere. La mia interpretazione del video, non so se sia quella corretta, sarebbe questa: c’è una scala gerarchica ben precisa, una piramide del potere, e mentre tu la stai scalando, un gradino alla volta, ti accorgi di perdere empatia, di non avere più gli stessi rapporti con le persone che ti circondano, prendi coscienza che stai abbandonando i tuoi ideali. Significa che chi arriva al punto più alto della piramide sta uccidendo l’umanità e bisogna sostituire chi è al potere, recuperare tutti quanti la nostra sensibilità e percezione dei comportamenti che dovremmo tenere come esseri umani. Questa, in sintesi, è la mia lettura del video di ‘Lahja’. Non so se il regista la pensi alla stessa maniera, d’altronde la nostra musica è a sua volta liberamente interpretabile, lascia molteplici strade aperte, è ciò che la rende interessante”.
RIMANENDO SULL’ASPETTO VISUALE E PASSANDO AGLI ARTWORK, SIETE PASSATI DA DIPINTI A TEMA SPAZIALE A RAPPRESENTAZIONI GRAFICHE PIÙ ASTRATTE E DIFFICILI DA INTERPRETARE. ORA PERMANGONO FORTI SENTORI DI SURREALISMO NEI VOSTRI ARTWORK. QUALI SONO I COLLEGAMENTI FRA LE IMMAGINI DEI QUATTRO ALBUM REALIZZATI FINORA E QUALE SIGNIFICATO POSSIAMO DARE IN PARTICOLARE A QUELLO DI “VÄRÄHTELIJÄ”?
“Per ‘Valonielu’ abbiamo lavorato con un ottimo artista rumeno, Costin Chioreanu, del quale ci eravamo avvalsi anche per ‘Kosmonument’. Questa volta volevamo cambiare e avere un tipo di approccio differente, utilizzando una fotografia. Abbiamo optato per un’immagine strettamente connessa con la vita reale, ma che cattura un momento in cui il reale sfuma in una prospettiva più ambigua e poi ritorna subito a una dimensione terrena. Solo quel singolo istante sembra portare in una dimensione estranea a quella di questo mondo, anche se in verità la foto non ritrae nulla di così sconvolgente. Quella che vedi è un’immagine tratta da un nostro show, che in quella angolatura, con quel gioco di luci, diventa magica, strana, stimola i sensi in modo ambiguo perché non si riesce ad afferrare pienamente di cosa si tratti. Solo in quell’attimo hai potuto avere una cosa del genere. Se pensi alla magia di quel preciso momento, puoi renderti conto di quanto mistero e magia ci siano nell’universo, di quanti significati inesplicati ci possano essere nel mondo, senza che arrivi qualche religione ad aggiungerne degli altri e a cercare di spiegare quello che non può essere spiegato. La realtà in sé è già abbastanza magica di suo!”.
VORREI FARE UN SALTO NEL PASSATO E CHIEDERTI DI UNA CANZONE PRESENTE SU “KOSMONUMENT”, “KOMEETTA”. SI CARATTERIZZA PER UN RITMO QUASI DANZABILE E OSSESSIVO, COME È NATO QUESTO PATTERN COSÌ PARTICOLARE? QUAL È IL LEGAME FRA IL RITMO DATO DALLA BATTERIA E I TESTI, SE VE N’È UNO?
“Siamo sempre stati interessati dai ritmi nella musica, secondo me nel metal i groove presenti non sempre sono così caratteristici e interessanti come accade nella musica sciamanica o nell’afro-beat. In quel caso, ma è accaduto anche in altre occasioni, abbiamo cercato di unire un groove molto marcato con atmosfere dark incombenti. Non parlerei proprio di ritmo ‘danzabile’, mi fa un po’ soggezione questo termine associato alla musica degli Oranssi Pazuzu, ma posso capire cosa vuoi dire. C’è uno spiccato groove in ‘Komeetta’, in questo tipo di musica ritengo sia più importante che avere una buona melodia. Una melodia ti entra in testa e puoi divagare con l’immaginazione pensando ad essa, ma è il ritmo che ti cattura, che ti fa venire voglia di riascoltare un brano. I due aspetti, quelli del ritmo e della melodia, di fatto lavorano in simbiosi, si supportano a vicenda per dare spessore a un pezzo”.
FINORA VI HO VISTI DAL VIVO DUE VOLTE, NEL 2012 ALL’HELLFEST E AL MAGNOLIA, QUA VICINO, NEL 2014. TRA LE DUE PERFORMANCE HO NOTATO UNA GRANDE CRESCITA, SIETE DIVENTATI PIÙ AGGRESSIVI E DISINVOLTI, ANCHE PIÙ SPAVALDI NELL’ APPROCCIARE IL PALCO. DI PARI PASSO, LA MUSICA HA ACQUISITO FISICITÀ E IMPATTO. QUALI SONO LE PRINCIPALI DIFFICOLTÀ DI RIPRODURRE DAL VIVO UNA MUSICA COSÌ COMPLESSA E STRATIFICATA COME LA VOSTRA? IN QUALI ASPETTI PENSI SIATE CRESCIUTI MAGGIORMENTE?
“La difficoltà maggiore è quella di far suonare assieme così tanta strumentazione e fare in modo che per noi che la stiamo suonando e per chi ci ascolta tutto risulti nitido e distinguibile, nulla venga coperto o suoni confuso. Per ‘Värähtelijä’ ancora più che per gli altri dischi abbiamo registrato diverse demo durante le prove per capire come gli strumenti interagissero e suonassero separatamente, così da poter riprodurre esattamente tutto quanto dal vivo. Risentendoci abbiamo preso coscienza di quello che sarebbe dovuto essere il nostro approccio live alle composizioni. L’aggressività dipende dalla nostra accresciuta confidenza con lo suonare dal vivo, abbiamo guadagnato una certa dimestichezza con questa situazione e siamo molto più sicuri dei primi tempi”.
DOMANDA FINALE: QUANTO FINISCE DELLE TUE EMOZIONI NEGLI ORANSSI PAZUZU? E CHE IMPORTANZA RIVESTE LA MUSICA DEGLI ORANSSI PAZUZU NELLA TUA VITA?
“La musica degli Oranssi Pazuzu è il posto dove posso riflettere la mia interpretazione della realtà, le mie riflessioni su ciò che mi circonda, manifestare quello che accade nel mio mondo interiore. Accade per me e accade anche per gli altri membri della band. È importantissimo dal mio punto di vista che altre persone agiscano da diapason per la nostra musica, che attraverso chi ci ascolta risuoni e venga riverberato quello che abbiamo da comunicare. Quando condivi qualcosa con altre persone, li metti a conoscenza delle tue emozioni più intime, quello che cerchi è una risposta, una risonanza, a quello che gli hai svelato. La musica è una forma d’arte, la mia speranza è che molte persone possano vedere quello che facciamo, la musica, le atmosfere, i testi, come uno specchio nel quale riflettere a loro volta il proprio mondo interiore, che arrivino quindi a condividere almeno in parte quelle che sono le idee e gli stati d’animo che hanno portato a concepire un disco come ‘Värähtelijä’. Realizziamo i nostri album sperando che molte persone subiscano una forte risonanza a fronte di quello che gli offriamo”.