Dato un ritorno discografico mirabile, non potevamo esimerci dal contattare gli Oranssi Pazuzu per parlare non solo di “Mestarin Kynsi”, ma anche del loro approccio alla musica, da ascoltatori e da compositori. Il nostro interlocutore è stato Jun-His, cantante e chitarrista del combo finlandese, che ci ha fatto ben comprendere come Oranssi Pazuzu sia un unicum costituito da cinque teste distinte ma perfettamente amalgamate, in cui sono proprio il lavoro di squadra e il confronto continuo a creare un sound unico, che spazia (è il caso di dirlo) dal metal estremo alla psichedelia più malata.
SONO PASSATI QUATTRO ANNI DAL VOSTRO ULTIMO ALBUM. SAPPIAMO CHE SIETE STATI PARECCHIO IMPEGNATI IN TOUR E CON ALTRI PROGETTI, MA MI CHIEDEVO SE SIA ANCHE CAMBIATO QUALCOSA NEL VOSTRO LAVORO IN STUDIO, MAGARI UNA NUOVA SFIDA, COME APPROCCIO?
– Penso che abbiamo avuto un approccio per cui ci siamo chiesti fin dal principio che tipo di canzoni e con quali elementi volevamo mettere su disco. Visto che l’hai menzionato, penso che sul disco della Waste Of Space Orchestra abbiamo raggiunto il picco del nostro “wall of sound”, se possiamo definirlo così, cosa che era facile con due band radunate a suonare assieme. Quindi non ci è venuta come prima scelta quella di continuare su quella strada, anche perché noi siamo solo in cinque. Abbiamo scelto una strada opposta, puntando a un disco che avesse molto spazio aperto tra le canzoni e in cui non fosse la chitarra lo strumento-guida, quello che avrebbe predominato sul suono. Abbiamo portato in primo piano gli elementi psichedelici, lasciandoli liberi di allungare i loro tentacoli negli spiragli presenti nei brani, con un approccio per certi versi più semplice, che permettesse di esplicitare queste componenti, senza trascurare la nostra componente “live” ed elettrica.
POSSIAMO QUINDI DIRE A RAGIONE CHE C’È UN’ULTERIORE EVOLUZIONE DEL VOSTRO SOUND, PER CERTI VERSI PIÙ RIDOTTO ALL’OSSO, MA SEMPRE PIÙ EVOCATIVO, UNA SPECIE DI DISTOPICO VIAGGIO SPAZIALE.
– Sì, volevamo assolutamente un lavoro intenso, che quando schiacci play ti permetta di seguire un tuo percorso e abbandonare la mente. Abbiamo cercato di mettere molta potenza in ogni nota, anche se magari non sono tutte suonate con gli strumenti più aggressivi.
COME HAI SOTTOLINEATO PRIMA, ORANSSI PAZUZU È UN’ENTITÀ A CINQUE TESTE, MA ASCOLTANDOVI, SPECIALMENTE, DAL VIVO È QUASI INCREDIBILE PENSARE CHE NON CI SIANO ALTRE PERSONE SUL PALCO, DATA LA RICCHEZZA E LA STRATIFICAZIONE DEL VOSTRO SOUND. QUALE DIRESTI CHE È IL SEGRETO, O L’ELEMENTO DI RICERCA PERSONALE CHE RENDE TALE LA VOSTRA MUSICA?
– Penso che l’elemento di partenza per noi sia sempre stato come avremmo suonato e come potessero rendere dal vivo le nostre canzoni. Siamo in cinque, appunto, ma cerchiamo sempre di suonare come se fossimo un solo strumento, o come se solo un paio di voci si intrecciassero. Abbiamo elementi nella band che suonano di tutto, come EviL e Ikon, ma cerchiamo sempre di non comporre o suonare al computer. Ovviamente utilizziamo anche dei sample, ma registrati da noi, mai con l’approccio del suono sintetico da far partire con un click quando siamo su un palco: ragioniamo sempre in termini di livelli sonori da sovrapporre.
HAI CITATO EVIL, E SI NOTA APPUNTO IL CRESCENTE RUOLO DI TASTIERE E SYNTH. PARTITE DA QUESTI STRUMENTI I PER COMPORRE I VOSTRI BRANI? È TUTTO LASCIATO NELLE MANI DI EVIL O CONTRIBUITE CON IDEE ANCHE VOI, PER QUELLO CHE DOVRANNO SUONARE LE TASTIERE?
– L’ossatura dei brani parte sempre da idee di EviL, Ikon o Ontto, nella maggior parte dei casi sono espressioni del loro mondo interiore, su cui poi andiamo a innestare il suono dei nostri strumenti, e dico il suono proprio perché, sulle chitarre in particolare, abbiamo lavorato nell’ottica di rendere ogni strumento un livello sonoro, piuttosto che scrivere canoniche parti di chitarra. Ontto ha anche usato molto il Moog sul nuovo disco, aumentando l’effetto psichedelico. Insomma, partiamo a volte da un riff, che sia di chitarra, di tastiera o di basso, su un’ìdea generale – specie da Ikon – o talvolta ci affidiamo a una jam, per iniziare. È comunque una costante che le idee originali vengano stravolte dalle prove in studio, rielaboriamo e sommiamo finche non sentiamo che abbiamo raggiunto qualcosa di speciale, e allora registriamo. La costante è questa idea di arrivare a un momento in cui sentiamo un tocco di magia, in cui magari alcuni strumenti sono quasi spariti e altri si sono sovrapposti inaspettatamente. Jammare insieme è l’elemento che definisce il nostro suono.
SI SENTE IN EFFETTI DA SEMPRE QUESTA VOSTRA FORTE COMPONENTE PSICHEDELICA, QUASI SURREALISTICA, DIREI, NONOSTANTE NON PERDIATE MAI UN’ATTITUDINE ESTREMA. È QUASI BANALE E SCONTATO VEDERVI COME UNA VERSIONE “OSCURA” DEI PINK FLOYD O DEL KRAUTROCK, MA CHI CITERESTI COME VOSTRE PRINCIPALI ISPIRAZIONI?
– Siamo sempre stati una band curiosa, sicuramente amiamo il krautrock, specie i Can, di cui riprendiamo sicuramente alcuni elementi base, così come le atmosfere del black metal e i paesaggi sonori del drone. Ecco perché non ci consideriamo una band black metal tout-court, sicuramente ci riconosciamo di più nella dimensione psichedelica, o ipnotica, che deriva dal krautrock e da tanta musica elettronica. C’è una band finlandese, i Circle, di cui consiglio in particolare i primi due dischi, senza la quale penso che noi non esisteremmo. Anche se adesso suonano molto diversi, quella dimensione ipnotica, assieme alle armonie black metal, sono i punti centrali del nostro suono; ci sono poi altri paesaggi sonori che ci ispirano, come l’ambient.
QUINDI DIRESTI CHE SIETE UNA BAND METAL, NEL COMPLESSO, O CHI SE NE FREGA DELLE ETICHETTE?
– Non penso che siamo o siamo mai stati una band metal in senso stretto, come appena detto. Certo, ci sono forti elementi del genere radicati in noi, però penso più, come modelli, a band degli anni Novanta o ancora precedenti, come Jesus Lizard o Sonic Youth, che puntavano al groove, a un certo surrealismo – per citarti – e alla libertà espressiva, rifacendosi in questo alle grandi band degli anni Settanta e al concetto, a noi caro, di creare brani jammando. Diciamo che avremo sempre degli elementi sonori ed estetici accomunabili al metal.
TORNANDO A “MESTARIN KYNSI” (TRADOTTO, “L’ARTIGLIO DEL MAESTRO”, NDR). CHI È QUESTO MAESTRO DEL TITOLO? C’È UNA SORTA DI CONCEPT GENERALE, MAGARI LEGATO ALL’IDEA DEL CONTROLLO IN CONNESSIONE ALLA TECNOLOGIA
– Cerchiamo sempre di avere un’idea tematica fin dall’inizio, questo ci aiuta anche ad entrare nell’atmosfera del disco e a far sì che tutti possano contribuire. Per questo disco siamo partiti da tue temi diversi, una suggestione di percorsi geometrici e una dimensione che girava intorno a incantesimi, maledizioni e simile, quindi un tema sotterraneo del controllo esiste. Il Maestro, almeno nella mia visione, è un personaggio simile a Thoth-Amon della saga di Conan il Barbaro, una figura influente e oscura con poteri magici, cui la gente vuole obbedire e seguendo il quale compie azioni non necessariamente malvagie, ma su cui non si pone più dubbi o domande. Quindi per certi versi è anche un disco che parla della condizione umana, delle montagne che si scalano in senso metaforico per raggiungere certe idee, anche se poi non c’è un’ideologia specifica dietro. Potremmo definirlo una narrazione distopica, dell’oggi o del futuro, e sicuramente c’è anche un riferimento al controllo, al potere della tecnologia, con anche il tema della sorveglianza.
E INFATTI PENSAVO PROPRIO AL VIDEO PROMOZIONALE CHE AVETE FATTO PER “UUSI TEKNOKRATIA”, CHE È MOLTO SUGGESTIVO E RICORDA L’ESTETICA DEL CINEMA ESPRESSIONISTA TEDESCO. COME VI È NATA L’IDEA, E QUANTO RITIENI IMPORTANTE LA COMPONENTE VISUALE, PER GLI ORANSSI PAZUZU?
– Al video ha lavorato l’artista visuale Zev Deans, con un team di persone, e tendenzialmente ha messo tutte le sue idee, noi gli abbiamo solo suggerito il tema generale dell’album e del brano, tra l’invasività della sorveglianza e un certo feeling paranoico. Il risultato mi sembra visivamente molto bello, ricorda anche un’estetica che amo.
E PARLANDO DI CONTRIBUTI ESTERNI, QUANTO È IMPORTANTE JULIUS MARAUNEN COME VOSTRO CO-PRODUTTORE?
– Direi molto, tenuto conto che questo è il terzo album che registriamo assieme, compreso quello della Waste Of Space Orchestra. C’è una forte fiducia reciproca, uno scambio proficuo di idee e poi condividevamo con lui l’idea che, dopo i due dischi precedenti, appunto, fosse il caso di trovare un’ulteriore espansione del nostro suono. Abbiamo cercato di definire da subito che direzione prendere, sia in termini astratti e concettuali, che concreti e ha portato molte idee anche lui, su come registrare e mixare poi le tracce; e poi è un ottimo ascoltatore, anche quando credi che stai solo facendo chiacchiere poi ti rendi conto, ascoltando i master finali, che una cosa che hai menzionato superficialmente è stata recepita e messa su disco. Sa veramente seguire il nostro flusso di pensieri e ha la sensibilità artistica e tecnica per lavorare perfettamente con me.
INSOMMA, UNA BAND CHE LAVORA COSÌ TANTO SU UNA DIMENSIONE ASTRATTA HA TROVATO IL PRODUTTORE CON METODO MAIEUTICO!
– Esatto! L’idea è sempre che mentre tu elucubri idee complicatissime il produttore stia lì a sbadigliare e pensare “sì, sì, certo… come vuoi”, ignorando la parte concettuale, e invece Julius i segue anche in quella.
HAI CITATO LA WASTE OF SPACE ORCHESTRA, CI OSNO PIANI FUTURI PER QUEL PROGETTO? A ALTRI PROGETTI PARALLELI CHE INTENDETE ESPLORARE?
– Per il momento decisamente no. Abbiamo passato moltissimo tempo a comporre musica, con questo disco e con quello della Waste Of Space Orchestra, appunto, e tutti abbiamo anche progetti personali da seguire, comprese altre piccole band. E poi ovviamente ci prepariamo a suonare dal vivo, quando si potrà riprendere a farlo.
SPERIAMO PRESTO, DAVVERO. A QUESTO RIGUARDO, AVETE PROGETTI SPECIALI PER I VOSTRI FUTURI SHOW?
– Il tour è previsto a patire da settembre, vedremo. Sicuramente suoneremo diversi brani del nuovo disco, qualche classico e ci sarà spazio, al solito, per lungo jam psichedeliche. Stiamo pensando anche a nuovi visual che accompagnino al meglio il contenuto di “Mestarin Kynsi”, anche se ci piace tenere sempre le cose abbastanza minimalistiche, senza bombardare gli ascoltatori di suggestioni, così che possano fare il loro “viaggio personale”; la nostra musica è molto visuale, ci piace lasciare questa libertà a chi ci ascolta.