OVERKILL – I cugini della Costa Est

Pubblicato il 10/12/2014 da

Gli anni passano ma gli Overkill non sembrano proprio intenzionati ad appendere i loro strumenti al chiodo: prima dell’inizio del concerto della band a Trezzo Sull’Adda ci siamo intrattenuti a scambiare due chiacchiere con Bobby “Blitz” Ellsworth, indiscussa colonna portante della formazione insieme al collega D.D. Verni. Bobby, come era lecito attendersi, è tutto fuorché una rockstar ed è incredibile constatare quanta energia e determinazione riesca a trasmettere quando parla della sua creatura. Non si può certo dire che Bobby non abbia vissuto momenti difficili nella propria carriera: qualche disco non perfettamente riuscito, i numerosi cambi di formazione e i problemi di salute personali hanno segnato in maniera indelebile questi trent’anni della sua vita con gli Overkill. Fortuntamente nulla di tutto ciò sembra aver scalfitto la tenacia di quest’uomo che a cinquantacinque anni suonati tiene il palco come pochi pochi altri sanno fare: ecco a voi quanto siamo riusciti ad estrapolare dalla nostra chiacchierata in quel di Trezzo.

 

Overkill - Band - 2014

CIAO BOBBY, “WHITE DEVIL ARMORY” È SENZA ALCUN DUBBIO UN ALTRO OTTIMO ALBUM CHE È ANDATO AD AGGIUNGERSI ALLA VOSTRA NUTRITA DISCOGRAFIA. COME LO PARAGONERESTI AL PRECEDENTE “THE ELECTRIC AGE”?
“Penso che sia sempre difficile comparare il tuo ultimo album con qualcosa che hai registrato tempo fa: l’entusiasmo di aver rilasciato qualcosa di nuovo spesso prende il sopravvento sui ricordi del passato. Ci sono ovviamente delle differenze tra i due album: ‘The Electric Age’ ha senza dubbio un’anima più thrash mentre ‘White Devil Armory’ miscela tutti gli elementi che hanno fatto la fortuna del suono degli Overkill nel corso degli anni. Rock ‘n Roll, Punk, Groove e ovviamente il Thrash: sono molto orgoglioso del fatto che siamo riusciti a mettere in evidenza tutte queste caratteristiche piuttosto che solo una o due di esse. Penso inoltre che sia interessante considerare gli ultimi album come una sorta di trilogia: mi piace considerare ‘IronBound’, ‘The Electric Age’ e ‘White Devil Armory’ come dei veri e propri fratelli perché mettono in risalto l’alchimia che si è venuta a creare tra i membri della band. Quando ottieni un buon risultato penso che sia normale ripartire da quest’ultimo cercando di migliorarlo a sua volta: tirando le somme direi quindi che ‘White Devil Armory’ rappresenti semplicemente un passo in avanti rispetto a ‘The Electric Age'”.

PARLIAMO ORA DEL TITOLO DELL’ALBUM: LE PAROLE “WHITE” E “DEVIL” SONO IN NETTO CONTRASTO TRA DI LORO. COME SIETE ARRIVATI ALLA DECISIONE DI INTITOLARE IN QUESTO MODO L’ALBUM?
“Quando dobbiamo dare un titolo ad un nostro lavoro cerchiamo sempre una parola che funga da filo conduttore: nell’album precedente la parola chiave era stata ‘Electric’ e prima ancora ‘Iron’. Quando D.D. ha iniziato a lavorare sul nuovo disco ‘Armory’ si è rivelata una parola ricorrente e subito mi è piaciuta perché è di uso comune e ben si presta ad essere visualizzata mentalmente: il mio lavoro in questo caso è stato di renderla semplicemente più interessante creando dei contrasti o celando un enigma dietro ad essa. Sono cosciente del fatto che il termine ‘White Devil Armory’ possa in qualche modo ricondurre a qualche ideale razzista se preso alla lettera ma vi posso assicurare che non ha un vero e proprio significato: volevamo semplicemente concepire un qualcosa che creasse un forte elemento visivo nella mente dei nostri ascoltatori. Solo raggiungendo questo obiettivo siamo certi di aver scelto un titolo appropriato che rimanga facilmente impresso nella mente di tutti”.

HAI SENTITO UN FORTE CAMBIAMENTO TRA I PRIMI ANNI DI VITA DELLA BAND E OGGIGIORNO DURANTE IL PROCESSO DI SCRITTURA DI UN NUOVO ALBUM?
“Quando abbiamo creato gli Overkill la tecnologia semplicemente non esisteva mentre ora possiamo condividere opinioni ed idee pur essendo distanti centinaia o migliaia di miglia tra di noi senza dover attendere del tempo per ottenere una risposta. Prima era un po’ tutto come spedire una lettera con un francobollo: la spedivi e speravi che ti tornasse una risposta il più presto possibile. Ora invece posso registrare idee nel mio piccolo studio di casa, mandarle allo studio di D.D. e ottenere un suo responso nel giro di qualche minuto senza dover andare fisicamente da lui. Penso invece che un punto a favore di una band come la nostra – che ha una carriera decennale alle spalle – sia di riuscire ancora a scrivere e registrare del materiale insieme in studio. E’ assolutamente indispensabile per noi avere un bilanciamento tra la tecnologia e i rapporti interpersonali: diamo molta importanza al lavoro di gruppo. Pensiamo che sia ancora importante passare del tempo insieme lavorando sodo su un brano magari bevendoci una birra oppure a discutendo dei possibili cambiamenti da apportare alle tracce. Pur senza aver stravolto le nostre vecchie abitudini in fase compositiva è innegabile che la tecnologia abbia avuto un impatto positivo nella nostra vita di noi musicisti”.

NEGLI ULTIMI ANNI SIETE STATI MOLTO COSTANTI A PUBBLICARE UN NUOVO ALBUM OGNI DUE ANNI: E’ UNA SORTA DI RICHIESTA DA PARTE DELLA VOSTRA ETICHETTA O PENSATE CHE SIA IL GIUSTO TEMPO DA LASCIAR PASSARE PER COMPORRE DEL NUOVO MATERIALE?
“Penso che sia più che altro una sorta di richiesta che arriva direttamente dal mio cuore (risate, ndR). Siamo sempre stati una band più felice lavorando sodo piuttosto che stare con le mani in mano. Suoniamo un genere – il thrash metal – che deve suonare spontaneo e genuino: se ci pensi troppo rischi di rovinarlo. Cerchiamo di instaurare questa sorta di linea temporale quando concludiamo un disco in modo da riuscire a focalizzarci al meglio sul nostro prossimo obiettivo: nel corso degli anni abbiamo capito che questa modalità è quella che funziona al meglio per noi. Abbiamo cercato di mantenere costante questo lasso di tempo dagli anni Novanta sino ad arrivare ai giorni nostri. Tutto sommato, vista la popolarità che abbiamo raggiunto, penso che questo modus operandi sia perfetto per un’entità come la nostra: la continuità che siamo stati in grado di dare alle nostre uscite ha fatto sì che non uscissimo mai dalla scena”.

COME HA MODIFICATO IL TUO MODO DI VIVERE LA TUA VITA DI TUTTI I GIORNI E QUELLA NELLA BAND L’ICTUS CHE HAI AVUTO NEL 2002 IN GERMANIA DURANTE UN VOSTRO SHOW?
“Dal punto di vista personale ora non fumo più anche se ho continuato a farlo per quasi dieci anni dopo il ricovero in ospedale. Voglio precisare che l’ictus non era dovuto alla qualità della mia vita ma ad un fattore genetico: anche mia madre ci è passata purtroppo. L’ictus si è manifestato in una forma molto leggera chiamata TIA (Attacco ischemico transitorio, ndR): paradossalmente ha causato molti più danni del dovuto solo perché quando mi è venuto sono caduto in malo modo (risate generali, ndR). Può capitarmi di nuovo e non dipenderà sicuramente dal fatto che fumo o non fumo: devo solo stare attento a non fare da solo attività fisiche perché l’ictus è stato una sorta di campanello d’allarme che non posso ignorare. Dal punto di vista professionale non è cambiato assolutamente nulla: sono sempre stato abituato a cercare di risolvere i problemi in un modo o nell’altro. So che ora devo tenere maggiormente in considerazione come mi alimento o dare il giusto peso ad una corretta attività fisica: ho sempre pensato che sia giusto lavorare duro per raggiungere i proprio obiettivi perché non si è mai sicuri di avere una seconda possibilità. In qualche modo questo è anche il principio che è sempre stato alla base degli Overkill: questo pensiero ha fatto sì che nulla sia realmente cambiato nella mio modo di vivere la vita dopo questo brutto incidente”.

DOPO COSI’ TANTI ANNI PASSATI IN STUDIO ED IN TOUR CI CHIEDEVAMO COME MAI NON ABBIATE MAI PENSATO DI LAVORARE AD UNA SORTA DI DOCUMENTARIO SULLA BAND. UN QUALCOSA SULLA SCIA DI ‘BORN IN THE BASEMENT’ DEL VOSTRO EX-BATTERISTA RAT SKATES.
“Vedi, quando penso ad un documentario mi viene automatico associarlo a qualcosa di finito… un qualcosa da raccontare quando hai concluso l’ultima pagina di un libro o quando dici: ‘Non c’è nient’altro da dire’. La lancetta dell’orologio per gli Overkill al minuto attuale coincide con ‘White Devil Armory’: non è qualcosa che sta a significare ‘Cosa eravamo’ ma piuttosto ‘Cosa siamo ora’. Credo che sia anche il motivo per cui dei vecchi mastini come noi siano ancora in grado di mordere e fare male. Ogni tanto qualcuno dice sospirando: ‘Ah, gli anni ottanta…’. Non siamo certo noi quelli che denigrano i ricordi dei bei tempi andati ma siamo anche quelli che hanno il coraggio di dire: ‘Anche il 2014 non ha nulla da invidiare agli anni Ottanta!’. Per noi non ha ancora senso produrre qualcosa che documenti quello che siamo stati: noi ci siamo ancora!”.

AVREMMO VOLUTO CHIEDERVI SE AVEVATE IN PROGRAMMA QUALCHE TOUR PER SUONARE ESCLUSIVAMENTE DEI VECCHI CLASSICI MA A QUESTO PUNTO LA RISPOSTA CI PARE SCONTATA…
“Quando l’argomento di discussione è il mercato discografico anche noi come tante altre bands siamo soliti seguire certe scelte: quando esce un nostro album rilasciamo varie edizioni come jewel-case, digipack e vinili ma non per questo dobbiamo seguire le scelte di altre bands o etichette in altri ambiti. Penso che se questa sera siamo in Italia a presentare il nostro ‘White Devil Armory’ abbiamo ancora qualcosa di importante da dire ed io ci credo fino in fondo. Non penso quindi che sia arrivato per noi il momento di fossilizzarci esclusivamente sul passato”.

IN QUALI BANDS ATTUALI HAI RISCONTRATO UN’ATTITUDINE – NON SOLO RELATIVA AL GENERE SUONATO – SIMILE A QUELLA DEGLI OVERKILL?
“Mmm, bella domanda… noi ci siamo sempre visti come i cugini degli Exodus (risate, ndR). Abbiamo un sacco di cose in comune con loro: la stessa determinazione ma soprattutto la stessa passione di fare un qualcosa perché si ama farlo e non solo per doverlo fare. Entrambe le bands hanno sempre avuto una sorta di attitudine competitiva nel corso degli anni e ci siamo sempre confrontati al rilascio di ogni nostro album: siamo due ossi duri e nessuno di noi vuole darla vinta agli altri (risate, ndR). Se proprio dovessi citare una band quindi vi direi Exodus senza pensarci due volte”.

QUALI CAMBIAMENTI HAI RISCONTRATO NEL TUO PUBBLICO PIU’ GIOVANE TRA GLI ANNI OTTANTA E I GIORNI NOSTRI?
“Sento spesso dibattiti riguardo al fatto che la tecnologia stia uccidendo i rapporti sociali tra i giovani. Non vedrei però la questione come totalmente nera o bianca. Penso che i ragazzi d’oggi sappiano sfruttare a loro favore la tecnologia e risultino in qualche modo più informati rispetto a quanto lo erano le precedenti generazioni: ormai le risposte alle loro domande riguardo ad una band o a un movimento sono ad un semplice ‘click’ di distanza da loro. Negli anni ottanta invece tutte queste informazioni riuscivi a raggranellarle solo tramite passaparola oppure grazie alle esperienze personali. Ritengo quindi che che non sia giusto criticare i ragazzi d’oggi definendoli asociali: penso che molti di loro tengano comunque in considerazione l’importanza di muoversi al di fuori dei soli canali informatici. Penso inoltre che la maggioranza di loro sia più intelligente per il semplice fatto che hanno a loro disposizione più informazioni e che sappiano sfruttarle a dovere”.

QUALI SONO LE ASPETTATIVE PER IL PROSSIMO FUTURO DELLA BAND?
“Non sono uno a cui piace pianificare minuziosamente il futuro, sono uno che guarda molto al presente. Non penso al prossimo tour in Europa o negli Stati Uniti o a pianificare per filo e per segno quando inizieremo a comporre nuovo materiale o se saremo tutti vivi per prenotare la prossima sessione in studio (risate, ndR). D.D. sarebbe senza dubbio la persona giusta nella band per rispondere alla tua domanda dato che ha sempre seguito la parte manageriale della band sin dagli anni Novanta. Ritengo che queste due differenti modalità di vivere presente – per me – e futuro – per D.D. – abbiano senza dubbio influito sul successo della nostra band nel corso degli anni”.

UN’ULTIMA DOMANDA BOBBY: COME PASSI IL TUO TEMPO LIBERO?
“Con mia moglie – che è di origine olandese – abbiamo aperto un’attività imprenditoriale basata sul cioccolato: lo importiamo dall’Olanda, Belgio, Germania e occasionalmente dal Sud America. Credeteci o meno mi piace occuparmi di giardinaggio ed amo cucinare. Sono un estimatore di auto d’epoca, ho una Corvette del ’74, e mi piacciono anche le Harley Davidson. Ho un pastore tedesco di sette anni: è un po’ come se fosse la mia piccola bambina, ci sono molto affezionato”.

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