Oltre quarant’anni di attività, venti album rilasciati, duecento canzoni scritte: numeri importanti a coronamento di una carriera altrettanto prolifica e significativa. Sono le cifre degli Overkill i quali, esattamente un mese fa, hanno allietato le nostre orecchie con il loro elettrizzante carico da novanta: sia a Parma sia a Fontaneto d’Agogna, infatti, la macchina heavy-thrash statunitense ha lasciato il segno, marchiando col fuoco entrambe le serate.
Forte dell’ultima fatica in studio (“Scorched” è stato pubblicato lo scorso 14 aprile), la band del New Jersey ha dimostrato ancora una volta di meritarsi il titolo di ‘grande esclusa’ dal famoso e ingombrante Big 4; argomento che, per inciso, in più di un’occasione è stato semplicemente snobbato da Bobby ‘Blitz’ Ellsworth.
Ed è proprio con il disponibilissimo frontman americano che abbiamo avuto modo di scambiare qualche parola in merito al nuovo album, al traguardo discografico raggiunto e ad altre curiosità in tema Overkill. Buona lettura!
CIAO BOBBY, BENTORNATO SULLE PAGINE DI METALITALIA.COM: COME ANDIAMO?
– Tutto bene grazie! Siamo in partenza per l’Europa (l’intervista è stata realizzata ad inizio aprile, ndr): il tour promozionale di “Scorched” è alle porte e tra le date previste ve ne saranno anche due in Italia, per cui state pronti! (Confermiamo a tal proposito la buona riuscita di entrambi gli show, ndr).
ALLORA, CON “SCORCHED” FESTEGGIATE IL DISCO NUMERO VENTI. CHE SENSAZIONE PROVI LEGGENDO QUESTO NUMERO? TUTTO NELLA NORMA? TROPPI? O ANCORA TROPPO POCHI?
– (Ride, ndr) No, no, non posso dire che sono pochi, anzi. Diciamo però che finché qualcuno non me lo fa notare, non ci bado molto; mi sembra quasi normale. E questo è dovuto al fatto che ogni disco è il risultato di una buona opportunità su cui lavorare, arrivata in un determinato periodo, con determinati elementi; non è una questione numerica.
Nel caso di “Scorched” abbiamo avuto il lusso – passami il termine – di sfruttare al meglio un momento a suo modo ‘speciale’: la pandemia è stato un evento particolare che ha colpito tutti e che ha inciso inevitabilmente su qualsiasi attività lavorativa. Una pausa forzata che, nel nostro caso, ci ha permesso di avere più tempo nella lavorazione del nuovo album; è stata, come detto, un’opportunità, come avvenuto in passato per “Ironbound”, “The Wings Of War” o “The Years Of Decay”.
CREDI QUINDI CHE L’INTERRUZIONE DELLE ATTIVITÀ LEGATA ALLA PANDEMIA – E IL CONSEGUENTE PROLUNGAMENTO DEI LAVORI – ABBIA INCISO SULLA VARIETA’ LIRICA E MUSICALE DEL DISCO?
– Esatto! Ho avuto la possibilità di mettere mano più volte ai testi anche perchè all’inizio l’approccio lirico aveva un tono fin troppo depressivo, dovuto ovviamente alle circostanze. Abbiamo quindi avuto la possibilità di renderlo un disco degli Overkill, inserendo una maggiore positività dal punto di vista testuale: la pandemia è stato un susseguirsi di emozioni che, credo, si possano ben ritrovare all’interno del disco, anche sul piano musicale.
Ascoltando “Scorched” puoi trovare una thrash band, una rock’n’roll band, una groove band, una blues band: c’è molta varietà e penso proprio che sia questa la vera caratteristica del nuovo disco. Si è evoluto nel tempo, diventando ancor più interessante in quanto non stava spingendo solamente sul thrash ma ha trovato nuove soluzioni. E, tirando le somme, credo proprio di aver fatto, insieme ai ragazzi, un buon lavoro.
PRIMA DI SCENDERE NEI DETTAGLI DI “SCORCHED” PARLIAMO DELLA SUA COPERTINA: QUELLA FIAMMA DISEGNATA DA TRAVIS SMITH RIPRENDE QUELLO STESSO FUOCO CHE FACEVA DA SFONDO AL PRIMISSIMO “FEEL THE FIRE”. COME E’ NATA L’IDEA?
– Diciamo che è stata una sorta di coincidenza, avvenuta proprio quando abbiamo terminato di registrare la canzone “Scorched”. Non vi era nulla di pensato o preparato. Inizialmente avevamo in mente i due demoni con i due teschi che si fronteggiano; avevamo anche altre idee ma questo alla fine è stato quello che abbiamo consegnato a Travis. Ed anche D.D. al pensiero aveva esclamato “Wow, sì va benissimo; avremmo una t-shirt fantastica”.
Tuttavia, allo stesso tempo, stavo terminando la title-track e avevo alcuni problemi con il ritornello. Ora, mentre stavo cucinando, durante la pandemia, dal nulla è arrivato il refrain giusto, ovvero “Scorch the earth, scorch your brain“. Cavolo, ho pensato, questo è il fottuto ritornello! Allora ho interrotto quello che stavo facendo, l’ho scritto e l’ho registrato. Il giorno dopo, l’ho mandata a D. D. e agli altri ragazzi i quali hanno risposto positivamente tanto che, nel giro di due settimane, hanno proposto di utilizzare proprio “Scorched” come titolo dell’album. Personalmente avevo pensato a “Twist Of The Wick” ma alla fine mi hanno convinto. Lo abbiamo comunicato a Travis il quale, di tutto punto, ci ha risposto: “Ragazzi, ho un’idea” e da qui è arrivata la fiamma apparsa in copertina, così da creare la famosa linea di fuoco tra “Feel The Fire” e il nostro ultimo album. Con il completamento della canzone abbiamo quindi avuto la piena visuale della copertina del disco.
MAMMA MIA CHE ALBUM “FEEL THE FIRE”, E CHE BRANO LA TITLETRACK: VI SONO PERIODI IN CUI L’ASCOLTO PRATICAMENTE OGNI MATTINA!
– Ogni giorno!?! Una sorta di caffè, pieno di energia!
A PROPOSITO DI ENERGIA E DI VIGORE, UNO DEI BRANI PIU’ POTENTI DI “SCORCHED” E’ SICURAMENTE “GOIN’ HOME”.
– Ti dico, legandomi a quanto hai detto prima, che se sei attratto da quella canzone ma in generale dall’album “Feel The Fire”, lo sarai anche con “Scorched” in quanto porta con sè alcune di quelle caratteristiche. “Feel The Fire” era un album thrash ma era molto più metal. Per cui, se sei rimasto colpito da “Feel The Fire”, è normale che tu lo sia altrettanto da “Goin’ Home”, uno dei pezzi con maggiori caratteristiche heavy metal, insieme a “Won’t Be Comin’ Back”; sono due canzoni molto tradizionali.
Quando prima ti parlavo della diversità dei vari brani contenuti in “Scorched” era riferito anche a questo: abbiamo la title-track, contraddistinta dal suo battito martellante e pure da passaggi più rock’n’roll. Con “Goin’ Home” e “Won’t Be Comin’ Back” abbiamo due perfette canzoni che sottolineano le nostre tradizioni musicali, dai Judas Priest agli Iron Maiden. E nel nostro ventesimo album, inserendo brani come questi, abbiamo voluto mostrare che arrivare alla maturità musicale di oggi è merito di certe influenze del passato che non possiamo dimenticare.
INFATTI IL SECONDO BRANO DI CUI VOLEVO PARLARE ERA PROPRIO “WON’T BE COMIN’ BACK”, CON IL SUO INTRO ALLA HEAVEN AND HELL ED IL SUO INCEDERE ALLA JUDAS PRIEST, MA MI HAI ANTICIPATO. UNO DEI PEZZI PIU’ INTERESSANTI E’ ANCHE “FEVER” DOVE CANTI CON UN TIMBRO DI VOCE PIU’ PULITO DEL SOLITO…
– Avevo già provato in passato a cantare pulito, ed una delle canzoni che mi ha aiutato maggiormente in questo senso è stata “Changes” dei Black Sabbath, inserita nel nostro album di cover “Coverkill” in cui la parte al piano è stata suonata da D.D.
Venendo a “Fever” invece, quando ho sentito per la prima volta la traccia musicale ho pensato che D.D. stesse suonando una sorta di “Mr. Scary” dei Dokken, con quel suo tono misterioso. Allora ho cominciato a ragionare su come inserire la voce: forse avrei dovuto utilizzare un timbro spaventoso, magari sussurrando qualcosa, ma non è il mio pane, questo, anche perchè poi il brano acquistava forza; non potevo cantare così.
Allora, mentre stavo cucinando, ancora una volta, mi sono messo a cantare “Over The Mountain” di Ozzy e allora ho capito che non dovevo stare troppo a preoccuparmi: dovevo semplicemente aprire la bocca e cantare. “Smettila di sussurrare“, mi sono detto, “apri la bocca e prendi il controllo di quella parte della canzone“. Penso che alla fine funzioni davvero bene grazie al contrasto tra la sezione dolce della prima parte con quella più pesante che si scatena successivamente.
VARIETA’ DI STILE CHE SI CONFERMA CON “BAG O’ BONES”, COSI’ GROOVE E ‘TRIBALE’. UNA DEGNA CONCLUSIONE PER CHIUDERE L’ALBUM.
– Hai ragione, si tratta di una canzone particolare. Fino a quando ho terminato la stesura del testo non aveva un titolo definitivo; non abbiamo deciso subito, e fino all’ultimo l’abbiamo battezzata come “Last One”, anche perchè quando ho chiesto D.D. a che punto eravamo con la stesura delle musiche mi ha detto che il brano lo aveva già finito ma che gli sembrava parecchio diverso da tutto il resto del disco e con una personalità diversa dal resto dell’album. Ed è stata proprio questa singolarità a renderla unica, con le sue parti tribali, come hai detto. I testi sono molto semplici nella loro melodia: si tratta di un viaggio durante il quale non sarai mai solo. Un viaggio, come quello ho vissuto io in questi quarant’anni di Overkill.
RELATIVAMENTE A QUESTO TRAGUARDO DI CARRIERA COSI’ IMPORTANTE, FACCIAMO UN SIMPATICO GIOCHINO: DOVESSI ANDARE A VIVERE SU UN’ISOLA DESERTA QUALI SAREBBERO I CINQUE ALBUM DEGLI OVERKILL CHE PORTERESTI CON TE?
– Allora… Non posso dire “Scorched” perchè troppo nuovo; lo amerò nel tempo ma non posso portarlo ora su un’isola deserta! Per cui, direi “Feel The Fire”, “Horrorscope”, “From The Underground And Below”, “Ironbound” e “The Electric Age”, così da avere un quadro abbastanza completo della nostra produzione, e anche delle parti differenti di chitarra con Bob Gustafson, Merritt Gant, Rob Cannavino e Sebastian Marino.
VENTI ALBUM ALL’ATTIVO, QUARANT’ANNI DI CARRIERA: QUAL E’ IL TUO PROSSIMO OBIETTIVO?
– Il mio prossimo obiettivo? Non saprei sinceramente. Sto andando verso i sessantaquattro anni (l’intervista come detto è stata realizzata nel mese di aprile e Bobby compie gli anni il 3 maggio, ndr). Penso che un buon traguardo sia quello di continuare al meglio quello che sto facendo. Posso dire di essere stato stato molto fortunato per averlo potuto fare sino ad ora e penso che la chiave di tutto sia quella di sentire la stessa energia che avevo quando registrammo “Feel The Fire”. Ovvio, sono invecchiato – siamo invecchiati tutti – ma l’energia che ho in testa e nel cuore è sempre la stessa. Quindi penso che il prossimo obiettivo sia rimanere in forma e continuare a fare ciò che amo fare, il meglio possibile.
A PROPOSITO, AVETE PENSATO A QUALCHE EVENTO CELEBRATIVO PER IL FUTURO?
– No, non la sto pensando in questi termini, preferisco pensare al presente. Anzi, uno dei motivi per cui puoi parlare di una carriera lunga quarant’anni è proprio quello di guardare al presente. Penso sia una delle cose che mi rende più orgoglioso degli Overkill e anche di me stesso: mi piace essere conosciuto per quello che sono, non per quello che ero. E se ci dovesse essere una festa, mi piace che sia ora, insieme ai miei amici.
UNA LONGEVITA’ CHE SI E’ VENUTA A CREARE ANCHE GRAZIE ALLA CONNESSIONE SPECIALE CON I FAN, UN ELEMENTO FONDAMENTALE CHE SI RESPIRA OGNI VOLTA DURANTE UN VOSTRO LIVE.
– Assolutamente! Non posso dimenticare la ragione per cui faccio queste cose: perchè sono io stesso un fan! E ciò che avverte l’audience, lo avvertiamo noi sul palco; prima di essere band, siamo in primis dei fan.