Gli Overtures si sono rivelati come un astro nascente nel panorama metal italiano, dato che nel corso degli anni hanno dimostrato di saper crescere e fare tesoro delle proprie esperienze. La conseguenza è che il loro ultimo album, “Artifacts”, è un lavoro di spessore, che si fa apprezzare sotto tutti i profili e che ci ha sinceramente conquistati: belle canzoni, buona tecnica, tutto realizzato con assoluta professionalità. Abbiamo sentito il cantante Michele Guaitoli, con il quale abbiamo ripercorso le più importanti e recenti esperienze degli Overtures dal vivo e ovviamente abbiamo anche approfondito alcuni aspetti legati ad “Artifacts”, oltre che ai precedenti album. Ancora, Guaitoli ci ha raccontato quali sono i progetti della band e le sue aspirazioni, parlandoci anche delle proprie scelte stilistiche, nonché delle influenze dei vari membri del gruppo e come da queste sia poi potuto scaturire il loro attuale sound.
QUEST’ANNO AVETE PARTECIPATO ALLA NUOVA EDIZIONE DEL GODS OF METAL: COM’È ANDATA QUEST’ESPERIENZA?
“Sono ben poche le parole per esprimere quello che si prova. E’ un grosso traguardo per la band, una marea di emozioni che ti assalgono tutte in un colpo e al momento di suonare, un’esplosione di felicità. Saremo troppo ‘romantici’ forse nel modo di vedere la cosa, ma oltre ad essere stato un onore, è senza dubbio qualcosa che non dimenticheremo”.
UN PAIO DI ANNI FA AVEVATE INVECE INTRAPRESO UN BEL TOUR CON I THRESHOLD: COSA CI PUOI DIRE A RIGUARDO? C’È QUALCHE ANEDDOTO CHE TI VA DI RACCONTARE?
“E’ senza dubbio l’altra esperienza più importante della storia della band fino ad oggi. Sono state più di tre settimane on the road, con ventuno esibizioni. Il primo vero test per capire se quel tipo di esperienza avrebbe o meno fatto per noi e la risposta è stata fortunatamente ‘sì’, visto che ora il desiderio di tornare sul tourbus e rivivere qualcosa di simile è fortissimo. Credo sia stato davvero il momento in cui abbiamo realizzato che il progetto che da anni stiamo portando avanti, uno sbocco può averlo, e che tutte le fatiche, le lotte, i sacrifici fatti, potevano avere un senso”.
POCO DOPO IL TOUR AVETE COMINCIATO A LAVORARE AL VOSTRO NUOVO ALBUM, PUBBLICATO A FINE MAGGIO: AVETE PENSATO DI CONVOGLIARE SUBITO NEL DISCO LA CARICA DI QUESTO TOUR? COME SI È SVOLTO IL PROCESSO COMPOSITIVO?
“In realtà il disco in tour era già in lavorazione! Ricordo bene che anche in tourbus discutevamo di alcuni brani e abbiamo raccolto qualche opinione anche da parte dei compagni di avventura! E’ stata una lunga pre-produzione iniziata già nel 2013. Pensa che ‘Artifacts’, la title track da cui è stato anche estratto il videoclip, nel tour del 2014 era praticamente pronta così come la si può ascoltare in questo momento a livello compositivo e ne esisteva già una pre-produzione con batteria scritta e chitarre con suoni ‘abbozzati’. Da qui si può capire quanto il processo compositivo sia stato minuzioso. Tutto parte da un’idea mia o di Marco e si sviluppa poi in sala prove dove portiamo sempre a termine i brani in formazione a quattro. La nostra idea di base è che le tastiere e gli arrangiamenti non debbano MAI diventare qualcosa di principale. Sviscerati da cori, orchestre, samples e synth, gli Overtures devono rimanere una band heavy-metal il più classica possibile, perché questo vogliamo. Solo quando il pezzo è concluso e ci soddisfa, passiamo ad una sua registrazione di base, scrivendo le batterie e da lì io inizio a sviluppare gli arrangiamenti e le armonie vocali”.
COME MAI AVETE SCELTO QUESTO TITOLO? SI TRATTA DI UN CONCEPT? QUALI SONO LE TEMATICHE ATTORNO A CUI È STATO CONCEPITO L’ALBUM?
“Il concept che accompagna ‘Artifacts’ nasce in ‘Entering The Maze’. Non avrebbe senso parlare di concept album o di ‘capitoli”’ma le tematiche che affrontiamo nei pezzi, già dal nostro precedente lavoro hanno più o meno tutte un filo conduttore, una sorta di riferimento logico dal quale nascono i nostri testi ed è il concetto di degrado del rapporto umano a favore del rapporto ‘digitale’ della società moderna. In un mondo dove conta più apparire online, farsi vedere per quello che non si è realmente ma per quello che si vorrebbe essere, in un contesto temporale dove grazie alla tecnologia tutti possiamo sembrare diversi, limare i nostri difetti e mostrarci lontani da quello che siamo realmente, noi con i nostri brani vogliamo evidenziare quanto quello che rimarrà di noi domani, sarà quello che oggi lasciamo e la domanda che poniamo è: ‘Davvero domani vorremo ricordarci per come stiamo agendo oggi?’. Le foto che lasciamo online, i cellulari con cui facciamo di tutto, i messaggi che ci mandiamo, sono tutti ‘Artefatti’ della società moderna e sono quello che i posteri vedranno pensando a noi. E’ davvero il ricordo che vogliamo lasciare?”.
QUALI SONO A TUO AVVISO I PUNTI DI FORZA DELLA VOSTRA MUSICA?
“Spero di non risultare arrogante dicendo che oggi gli Overtures sono difficili da accostare ad un genere specifico e che la personalità delle composizioni sia proprio quello che dia una marcia in più al nostro sound. Non ci sentiamo un gruppo power, perché mancano molti aspetti: i nostri pezzi sono meno diretti del power classico, il riffing è più intricato e l’utilizzo di ritmi cavalcati o con doppia cassa costante è limitato ai minimi termini. Allo stesso tempo non ci sentiamo un gruppo prog: abbiamo brani molto meno tecnici e con molte meno variazioni ritmiche di band come Circus Maximus, Dream Theater, Pain of Salvation o Symphony X. Non siamo nemmeno un gruppo heavy Metal, perché l’uso di cori, tastiere ed orchestre che facciamo è decisamente molto più fitto ed intenso dello standard del genere. Malgrado questo, i ritornelli restano d’impatto e con melodie che tendono ad essere di facile memorizzazione e la melodia resta il punto fondamentale nella nostra musica”.
QUALI SONO LE PRINCIPALI DIFFERENZE A LIVELLO STILISTICO RISPETTO AL PRECEDENTE ALBUM? POSSIAMO DIRE CHE TENDENZIALMENTE NEL NUOVO DISCO VI SIETE ORIENTATI VERSO UN APPROCCIO PIÙ PROG RISPETTO AL PASSATO?
“‘Entering The Maze’ era un disco più cupo nelle atmosfere, più semplice nel riffing chitarristico, meno esteso a livello vocale, ma è senza dubbio una sorta di punto di partenza per ‘Artifacts’. Poi c’è da dire che sotto molti punti di vista, ‘Artifacts’ potrebbe essere considerato un punto di incontro tra ‘Rebirth’ – che era un disco power al 100% – e ‘Entering The Maze’. Nei brani che stiamo portando dal vivo oggi, c’è un po’ dell’allegria e della spensieratezza del nostro secondo lavoro, così come la serietà di ‘Entering The Maze’, il tutto suonato e composto con la maturità (pur sempre in sviluppo) di una band con esperienze più importanti sulle spalle. Per quanto riguarda l’approccio più prog, ti direi che più che un ‘approccio’ si è trattato di un ‘risultato’ più prog. Non ci siamo messi a comporre con l’idea di voler inserire degli elementi progressive nel disco, ma senza dubbio il risultato del nostro lavoro ci ha portato un passo più vicino al prog ed uno più lontano al power. Sai, c’è ancora molta, moltissima spontaneità nel nostro metodo di lavoro ed è difficile che si arrivi a prove con l’idea di un pezzo completo. Questo aspetto mi affascina ancora moltissimo, ma la realtà è che nel 90% dei casi componiamo riff dopo riff tutto quanto in sala e scopriamo solo dopo qualche settimana di lavoro come suona il brano completo”.
NEL DISCO CI SONO ANCHE ALCUNI OSPITI: CE NE PARLI?
“Volentierissimo, partendo da Marco Pastorino che sicuramente è il più conosciuto degli ospiti! Lui oltre ad essere il chitarrista dei Secret Sphere e dei Temperance (dove si occupa anche di backing e alcune lead vocals), è anche un cantante formidabile. Spesso quando lo sento cantare resto a bocca aperta per la naturalezza e la potenza che ha nella gola. Ha una ricerca timbrica che mi mette i brividi e da quando l’ho sentito per la prima volta fare qualche backing con i Secret l’ho voluto anche in duetto con me. Fortunatamente in ‘Artifacts’, ’Teardrop’ mi ha dato la possibilità di sbizzarrirmi. Nello stesso brano appare anche Paolo Campitelli alle orchestrazioni e il buon Paolino compare anche in ‘My Refuge’ ai synth e alle tastiere. Da ormai un anno siamo compagni di line-up nei Kaledon e la sua visione armonica e compositiva è favolosa. Anche in questo caso, non potevo farne a meno. Passo a Luca Zanon, che è un pianista, tastierista, fonico e produttore locale, oltre che un caro collega di lavoro. Finiti i brani di ‘Artifacts’ e finiti i miei arrangiamenti, la sensazione era che mancasse ancora qualcosa. Luca è stato capace in poche mattinate, di scrivere e registrare delle parti di synth analogici (moog & altri) che hanno dato un pizzico di magia in più ai brani, senza stravolgerli. Il suo lavoro è stato determinante, perché tolte le sue parti i pezzi non sarebbero stati gli stessi”.
CON QUALE MUSICA SIETE CRESCIUTI E COSA VI PIACE ASCOLTARE OGGI?
“Guarda, da questo punto di vista siamo una band assurda: tutti siamo grandi ascoltatori con orecchie apertissime a tutto e allo stesso tempo veniamo da pianeti così diversi che fa quasi strano pensare a quanta armonia ci sia tra noi oggi: forse la regola che gli opposti si attraggono è davvero realtà. Marco è cresciuto ascoltando metal estremo, dai Marduk ai Dimmu Borgir e ascoltando i grandi chitarristi (Gilbert, Vai, Satriani); un mondo tutto diverso dal mio, basta pensare che i Blind Guardian lui non li sopporta, mentre sono tra le mie band preferite assieme ad Edguy, Avantasia, Gamma Ray. Andrea è in tutto e per tutto un metallaro di vecchia scuola: Maiden, Priest, Saxon, Savatage, Iced Earth; Luka viene dall’Hard Rock: Gotthard, AC/DC, Bon Jovi, Motley Crue, ma anche Queen, Purple e Zeppelin, per citarne alcuni. Poi sai, suonando assieme e condividendo così tanto tempo insieme, i mondi si sono avvicinati e oggi ascoltiamo davvero un po’ di tutto”.
QUALI SONO STATE ALL’INIZIO LE VOSTRE PIÙ GRANDI SFIDE E QUALI QUELLE ATTUALI?
“Posto il punto che secondo me ogni band deve sempre avere degli obiettivi e puntare a qualcosa di più grande delle proprie possibilità per crescere, trovo che questa sia una domanda magnifica…e che non ci avevano mai fatto prima! Non ti nascondo che se penso a cosa sognavamo quando avevamo diciotto anni, mi ricordo chiaro e tondo come al primo Gods of Metal da spettatore dissi agli amici con cui ero: ‘ma vi immaginate salire su quel palco’? Nel 2003 quando gli Overtures si sono formati (se pur con un altro nome e due componenti differenti), sognavamo di fare cose che negli anni abbiamo realizzato: sognavamo di salire su un tourbus, di ‘aprire’ i concerti alle band che vedevamo come irraggiungibili e immense. Oggi a dirtela tutta, non sono i sogni ad essere cambiati, quanto le consapevolezze delle possibilità che abbiamo. Sogniamo ancora di tornare su un tourbus, sapendo però che più di una possibilità oggi si tratta di una probabilità. Il punto è che la maggiore realizzabilità della cosa, non cambia la nostra voglia o il nostro ‘sognare’ di farla. Sogniamo ancora di aprire i concerti ai nostri beniamini, ma oggi grazie alle nuove consapevolezze il sogno è diventato più uno ‘sperare di trovare la possibilità per’. Poi restano le sfide che tutt’ora sono davvero un sogno. Una era il Gods, un sogno realizzato; se oggi ci chiedessero: ‘Dove sognate di suonare?’, credo che ‘Wacken’ sia una risposta attualissima”.
SE AVESTE UNA BACCHETTA MAGICA, C’È UN’IDEA CHE VI SAREBBE PIACIUTA REALIZZARE MA CHE NON AVETE ANCORA MESSO IN PRATICA PER MOTIVI TECNICI O ECONOMICI?
“Ce ne sono parecchie (risate, ndr): uno spettacolo di luci e coreografie adatte a quello che è il nostro sound, per dirti la prima cosa che mi viene in mente. Il sogno sarebbe realizzare una produzione completa da poter portare sui vari palchi, con tutto quello che serve per creare uno spettacolo anche visivo e non solo musicale, completo. Un’altra cosa che a poter fare faremmo immediatamente potrebbe essere un tour negli USA: è una possibilità che si è presentata ma a cui abbiamo dovuto rinunciato per costi. Poi ci sono moltissime cose anche cose più ‘semplici’ come una limited edition dei nostri album in vinile, un bel DVD dal vivo realizzato come si deve da inserire come bonus in una delle uscite discografiche, ma sebbene i costi di produzione di tutte queste cose non siano cifre irraggiungibili, una band come la nostra ha un budget limitato che va gestito e ottimizzato e chiaramente bisogna trovare i giusti compromessi tra sogni e realtà”.
CHE PROGETTI AVETE A BREVE? SE NON ERRO, IN PARTICOLARE, AVETE GIÀ IN PROGRAMMA DEI WORKSHOP E DEI CONCERTI…
“Il nostro calendario estivo fortunatamente è pienissimo: si parla di circa una ventina di date che ci terranno impegnati fino al 24 settembre. Praticamente tutti sono festival tra cui, oltre al già passato Gods of Metal, ci sono lo SpazioRock Festival (il 24 settembre con Stratovarius, Powerwolf, Rhapsody, Iron Fire, Domine ed Elvenking), Isola Rock, il DrakkaRock, PovoRock e molti altri. A questi si è aggiunto il Workshop a Pavia il 22 Giugno, in cui abbiamo introdotto il sistema di gestione dei nostri live dal lato tecnico grazie al quale abbiamo iniziato a collaborare con Mackie Italia. In sostanza grazie all’utilizzo del loro Mixer DL32R e grazie a un sistema di In-Ear monitor (Shure, che è un altro dei nostri sponsor), abbiamo abolito totalmente il monitoring on stage: il nostro palco è muto e i nostri soundcheck necessitano di tempo irrisorio. Speriamo che sia il primo di una serie di workshop che possano pubblicizzare questa tecnologia perché è un passo avanti davvero notevole che semplifica il lavoro dei fonici, migliora la qualità sonora della performance, migliora l’esperienza acustica dello spettatore, elimina molti problemi e velocizza i cambi palco”.