Dicevamo tempo fa, all’uscita del secondo disco “Rebirth” nel 2011, che gli Overtures avevano capito come bisogna suonare heavy/power ai giorni nostri per risultare interessanti e credibili. Col terzo lavoro “Entering The Maze”, la band italiana compie un ulteriore, decisivo passo avanti nella definizione del proprio sound, attualizzandolo ulteriormente senza perdere di vista la tradizione, quest’ultima ampiamente rispettata, inglobata e, come dicevamo, contestualizzata nel proprio humus sonoro. Gli Overtures ci sembrano ormai pronti per ritagliarsi un ruolo importante e per diventare, magari un giorno, punto di riferimento per le band del futuro. Abbiamo contattato via mail il cantante Michele Guaitoli, come sempre per nulla avaro di parole.
CIAO MICHELE, COME STATE? “ENTERING THE MAZE” E’ ORMAI FUORI DA QUALCHE MESE, E’ QUINDI IL MOMENTO GIUSTO PER FARE UN BILANCIO: COME E’ STATO ACCOLTO? VI HA PORTATO QUALCOSA IN PIU’ RISPETTO A “REBIRTH” IN TERMINI DI VISIBILITA’?
“Ciao Luca, Metalitalia.com è un portale che ci ha sempre supportato con entusiasmo, per cui è sempre un grosso piacere fare una bella chiacchierata con te… quindi benissimo! Sono quasi sei mesi che ‘Entering the Maze’ è stato distribuito, e, credimi, sono davvero sincero nel dirti che la risposta che abbiamo avuto è stata davvero al di sopra di qualsiasi aspettativa. E’ ovvio che il frutto del nostro lavoro a noi piaccia, se così non fosse ci sarebbe un grosso problema di fondo, ma ovviamente come la critica andrà ad accogliere il tutto è sempre un altro paio di maniche. ‘Entering the Maze’ da questo lato è stato davvero sbalorditivo. Hot album o disco del mese su diverse webzine, su una webzine tedesca è stato addirittura considerato una delle migliori uscite nel settore power metal del 2013, anche sulle riviste cartacee la critica è stata entusiasmante…basta visitare la nostra homepage www.overtures.it per rendersi conto di quanto sto dicendo. E da qui la nostra piacevolissima sorpresa. La maggiore visibilità rispetto a ‘Rebirth’ ne è una diretta conseguenza, i numeri sui social network parlano chiaro: dopo la release di ‘Entering The Maze’ i follower su Facebook & Twitter, così come le visualizzazione dei nostri clip su YouTube sono letteralmente impennate, le richieste di interviste, i passaggi radio, l’interesse generale…e fortunatamente anche le vendite del disco sono salite notevolmente!”.
C’E’ QUALCOSA CHE, A DISTANZA DI QUESTO LASSO DI TEMPO, AVRESTE FATTO IN MANIERA DIVERSA? AVETE INSOMMA QUALCOSA DA RIMPROVERARVI?
“Da rimproverarci direi di no, di migliorabile c’è sempre qualcosa. Credo che una dote necessaria per ogni artista sia una forte autocritica, e per noi questa regola vale dal giorno in cui abbiamo deciso di far partire il progetto Overtures. E’ sempre necessario guardare al passato cercando fino all’ultimo pelo nell’uovo per poi poter ripartire con una maggiore consapevolezza per migliorarsi nel futuro. Nel caso particolare di ‘Entering The Maze’ siamo consapevoli che è stato fatto un ottimo lavoro dal punto di vista esecutivo, delle scelte sonore ed anche e soprattutto dal punto di vista emotivo; di certo ci sono tanti piccoli dettagli che siamo pronti a migliorare e curare ancora più accuratamente nel prossimo lavoro…per cui, piuttosto che anticiparle, preferisco discorrerne quando si parlerà del nostro quarto album!”.
PER “REBIRTH” AVETE LAVORATO COL PRODUTTORE MIKA JUSSILA, QUESTA VOLTA AVETE OPTATO PER SASCHA PAETH. COME MAI AVETE DECISO DI CAMBIARE? C’E’ QUALCOSA DEL LAVORO DI MIKA CHE NON VI HA CONVINTO?
“Assolutamente no. Il lavoro fatto da Mika su ‘Rebirth’ è stato magnifico, ma visto che sia i lavori fatti da Mika Jussila con Children of Bodom, Nightwish & co., sia i lavori fatti da Sasha Paeth con Edguy, Avantasia, ecc. sono referenze che ci hanno sempre ispirato, nonché punti di riferimento per il nostro sound, avendo la possibilità di farlo abbiamo voluto sperimentare sia l’uno che l’altro, per capire quale metodo di lavoro sarebbe stato più adatto o semplicemente più efficace con il nostro sound”.
MIKA E SASCHA SONO DUE PRODUTTORI AFFERMATI. CON CHI VI SIETE TROVATI PIU’ IN SINTONIA? QUALI SONO I PREGI E I DIFETTI DELL’UNO E DELL’ALTRO?
“Non credo si possa parlare di difetti per nessuno dei due. Quello che posso dire è che il lavoro fatto con Mika Jussila è stato più professionale: siamo stati trattati in maniera fantastica e ha curato il nostro disco come se fosse quello di una band più che affermata; con Sasha Paeth invece c’è stata forse più interazione, meno formalità già dai primi scambi di e-mail, ma non va dimenticato che Sascha Paeth compone, suona ed è membro degli Avantasia, una band che per noi è un’influenza importantissima a livello di sound, di conseguenza credo ci sia più vicino in termini sonori. Certo, si parla comunque di due produttori e fonici di livello impressionante, il punto non è chi è più bravo o chi lavora meglio, perché sono entrambi due persone che riescono a dare un volto al tuo sound che neanche puoi immaginare – ovviamente in senso positivo – prima di sentire il lavoro finito”.
C’E’ QUALCHE LAVORO IN PARTICOLARE DI QUESTI DUE PRODUTTORI CHE AVETE PRESO COME MODELLO PER DEFINIRE IL SUONO DEI VOSTRI DUE ALBUM?
“Senza dubbio. La scelta di Mika Jussila per Rebirth è stata scaturita dopo aver ascoltato ‘Dark Passion Play’ dei Nightwish e ‘The Scythe’ degli Elvenking. Entrambe i dischi hanno una gran pulizia, ma allo stesso tempo delle gran basse frequenze. Ricordo che in una chiacchierata con Aydan (degli Elvenking) lui lo aveva definito ‘il re delle basse’, ed effettivamente non si può negare che tutti i suoi lavori abbiamo una carica impressionante nelle frequenze basse, senza però il minimo cenno di overload o distorsione. Per quanto riguarda Sascha Paeth, ho sempre adorato il sound degli Edguy e degli Avantasia, da ‘Hellfire Club’ a ‘The Scarecrow’, ma il lavoro che mi ha stimolato a provare a lavorare con lui è stato in realtà ‘Poetry For The Poisoned’ dei Kamelot, un disco dove, malgrado la data d’uscita, c’è stata una leggera rinuncia dal lato del volume di output per valorizzare la pulizia e la naturalezza del suono, percorso che abbiamo scelto anche per ‘Entering the Maze’ e che sembra aver dato ottimi frutti, visti i commenti positivi!”.
NEL CORSO DELLA VOSTRA CARRIERA NON E’ POSSIBILE NON NOTARE UN CONTINUO MIGLIORAMENTO, AVVENUTO ALBUM DOPO ALBUM. QUAL E’ IL SEGRETO DI QUESTA COSTANTE ED IMPORTANTE CRESCITA?
“Intanto ti ringrazio per il complimento, tra le tante cose che si dicono, da musicisti questa è certo una di quelle che fa più piacere! In realtà il segreto non è per nulla un segreto: tanta autocritica e studio costante. Per quel che riguarda il lato tecnico, tutti e cinque continuiamo a studiare il nostro strumento e la musica in generale. Io e Marco in particolare siamo rispettivamente insegnanti di canto moderno e di chitarra elettrica in due scuole (La The Groove Factory di Udine e la GoMusic di Gorizia, siamo colleghi in entrambe le sedi), per cui il nostro percorso di studio e di aggiornamento non solo continua per ovvi motivi professionali, ma si fonde anche con il continuo rapportarsi con i nostri allievi, giorno dopo giorno, anno dopo anno. La realtà è che, lezione dopo lezione, non solo ci si allena costantemente sulle basi, ma c’è anche un continuo rapportarsi con altri musicisti, un continuo confronto, ed ovviamente si scoprono sempre nuovi errori che aiutano anche a migliorare se stessi. Adriano dalla sua ha qualche anno di vantaggio su tutti noi altri, e continua a prendere lezioni da Raffaello Indri (Rafahell degli Elvenking), Luka e Andrea non sono da meno ed hanno molti anni di studio alle spalle e un allenamento costante anche al di fuori del contesto delle band. E’ chiaro che il forte senso autocritico e la maturazione tecnica (e d’età) fortunatamente portano a quello che tu hai definito un continuo miglioramento. Aggiungici che siamo una band molto attiva anche sul piano live, telematico e che è molto interessata al mondo musicale in generale, ed ecco che si continua ad imparare costantemente anche su come far rendere in maniera migliore le idee che si sviluppano dal punto di vista ‘hardware’. Da questo lato, visto che non sei il primo che, con nostro grande gradimento, ci fa questa critica positiva, non posso fare altro che sperare che le cose continuino ad andare in questa maniera. Noi di certo continuiamo questa nostra ricerca personale guardandoci sempre e comunque con molta umiltà e cercando sempre quello che non va”.
“ENTERING THE MAZE” E’ UN DISCO MOLTO MATURO, CON TUTTO QUELLO CHE CARATTERIZZA IL VOSTRO SOUND, VALE A DIRE POWER CLASSICO, SUONI MODERNI E LINEE VOCALI ACCATTIVANTI. IN FASE DI COMPOSIZIONE E ARRANGIAMENTO QUALI SONO LE COSE A CUI TENETE DI PIU’?
“Diciamo che ci sono più punti che consideriamo fondamentali già nei momenti di sviluppo di un brano. In primis, il pezzo deve girare anche nudo e crudo. Noi non abbiamo un tastierista, o meglio, io sono il tastierista degli Overtures, ma dal vivo tranne nei set acustici non suono mai le tastiere, ma il lavoro di arrangiamento per quel che riguarda keys e synth è sempre un lavoro secondario. Il pezzo deve funzionare anche rimosso da tutti i vantaggi dello studio o dell’arrangiamento. Due chitarre, basso, batteria e voce senza null’altro devono farci sentire un pezzo che ci convince, che da capo a coda non ha momenti morti, che non ci annoi e che ci porti in un viaggio emotivo dall’inizio alla fine. In secondo luogo tutti e cinque dobbiamo trovarci totalmente a nostro agio con il brano stesso, sia dal punto di vista compositivo, sia dal punto di vista tecnico; a volte la mente vorrebbe andare oltre a quello che è il limite fisico o tecnico e trovo fondamentale che un musicista sappia riconoscere il proprio limite, lo accetti e componga all’interno dei suoi margini. Dal vivo purtroppo si pagano le conseguenze di scelte affrettate da questo aspetto: noi personalmente crediamo che la resa dal vivo e la credibilità dal vivo del gruppo sia fondamentale. Terzo punto, altrettanto fondamentale, è che il brano esprima un messaggio con un valore importante per noi, qualcosa in cui crediamo e che tra la musica e questo messaggio ci sia uniformità. A quel punto l’arrangiamento deve portare quello che spesso è un brano semplice e diretto a migliorarsi, senza mai perdere di vista il punto di partenza e rimanendo, appunto, un arrangiamento. Quando una modifica o qualcosa di aggiunto (sia esso un coro, un fill di chitarra o batteria o una parte di tastiere/synth) snatura o distoglie l’attenzione dalla natura originale del brano, o è davvero qualcosa che porta a un netto miglioramento, o c’è qualcosa che non va. Arrangiare un pezzo per noi significa creare movimento, interesse, arricchire, ma mai snaturare. Un brano non è bello quando è tecnicamente complesso o quando la partitura è difficile da leggere, né quando ha tempi scomposti o ritmiche non tradizionali. Il pezzo è bello quando ti fa drizzare i peli sulle braccia, e a volte basta una nota o un accordo, fatto come si deve. L’arrangiamento e la tecnica devono essere, per noi, un mezzo per raggiungere quello scopo, non lo scopo stesso”.
CON QUESTO DISCO, TUTTI SIETE MIGLIORATI SENSIBILMENTE. TU MICHELE, HAI FATTO PASSI DA GIGANTE, OFFRENDO UNA PRESTAZIONE DI ASSOLUTO SPESSORE. COME LAVORI PER MIGLIORARTI?
“Oltre a quanto già detto e a ringraziarti ancora una volta, la cosa da aggiungere è che la maturazione per quel che riguarda me stesso non sta solo nel lavoro sulla tecnica, ma anche sulla forma. Registrando ‘Beyond The Waterfall’ il mio problema principale era far sì che i brani riuscissero corretti, con dei suoni che mi piacessero e tecnicamente giusti. Registrando ‘Rebirth’, la mia attenzione era focalizzata sia sui suoni e la tecnica, ma con una maggiore cura per gli arrangiamenti vocali, per i cori, e nella ricerca di un mio stile, di una vocalità che non fosse scontata e banale. Ovviamene questi due erano punti che nel precedente lavoro non avevo considerato. In ‘Entering the Maze’ invece la mia unica preoccupazione è stata esprimermi davvero. Ripensando ai precedenti lavori, quello che ho pensato è stato che ero così attento a registrare delle parti belle e giuste che alla fine quello che volevo davvero dire veniva inevitabilmente distratto dalla ricerca sonora e tecnica. In ‘Entering the Maze’ ho cercato di essere me stesso, di lasciar correre la voce per far sì che la cosa principale arrivasse: il significato di quello che stavo cantando. Ho lasciato da parte tutto, fidandomi del mio corpo, concentrandomi solo ed esclusivamente sul messaggio. Ogni volta che sono entrato in studio per un nuovo brano avevo ben chiaro il significato di ciò che volevo dire, e sapevo cosa si doveva provare ascoltando la registrazione, al di là del suono, al di là della posizione”.
ANCHE L’ARTWORK DI “ENTERING THE MAZE” ROMPE UN PO’ CON GLI SCHEMI DI UN CLASSICO DISCO POWER. HO LETTO CHE L’HAI REALIZZATA TU, A COSA TI SEI ISPIRATO?
“La cover di è stata un po’ un terno al lotto. Come dici giustamente e come in molti hanno inevitabilmente notato, è atipica, soprattutto visto il genere proposto. Pensa che la nostra etichetta quando l’ha vista ci ha detto chiaramente: ‘ragazzi io mi fido di voi, e se siete convinti di ciò che fate fatelo, ma sappiate che discograficamente parlando, da un disco power mi aspetto un artwork che la gente guardi dicendo wow, questo è di certo un disco power. State facendo un salto nel buio’. La Sleaszy Rider ci ha sempre supportato, dalle cose più piccole alle più grandi ci accompagna passo passo credendo fermamente nella nostra band e seguendoci da vicino. Alla fine questo salto nel buio si è rivelato vincente. Non potevamo avere una copertina tipicamente power, perché a livello di contenuti, di messaggio e di testi, il nostro non è un disco power metal. Rappresentare sull’artwork un labirinto nel suo classico concept sarebbe stato un incredibile errore e una maniera assolutamente deviante di presentare tutto. Il ‘Maze’ a cui facciamo riferimento è la società moderna, con tutte le sue sfaccettature, nel bene e nel male, dallo sviluppo tecnologico all’inquinamento, dalla solidarietà alla guerra, dallo sviluppo medico alle droghe. Siamo un contrasto vivente, una società labirintica in cui veniamo lanciati alla nascita e nella quale, per tutta la vita, cerchiamo una via d’uscita che ci realizzi. Era necessaria una cover alternativa. L’idea del collage è nata cercando una risposta alla domanda: ‘come possiamo dare un senso di caos anche visivo?’. Per quel che riguarda i bordi delle immagini che formano un labirinto invece, è stato semplicemente un frutto dell’inizio del lavoro di creazione del collage in digitale. Dopo aver messo le prime cinque-sei immagini assieme mi sono accorto che i bordi tendevano a formare un percorso, e da lì il gioco è stato fatto”.
MI SEMBRA STIATE RAGGIUNGENDO DEI RISULTATI IMPORTANTI, DOVE VOLETE ARRIVARE?
“Di certo questo album è stato un ottimo trampolino di lancio: ci ha permesso di destare interesse sotto molti punti di vista, e tra le altre cose a brevissimo ci porterà in tour europeo in supporto ad Almah e Secret Sphere. Ovviamente la voglia di raggiungere nuovi traguardi è alta, anche in questo caso l’importante è non dimenticarsi mai dove si è e lottare sempre e senza mai arrendersi per raggiungere nuovi orizzonti. Gli Overtures ad oggi sono una piccola realtà, ci siamo tolti alcune soddisfazioni ma ci consideriamo sempre poco più di niente. Diciamo che il sogno nel cassetto è quello di partecipare a qualche festival maggiore: come band conosciamo quali sono gli impegni e come già dimostrato, siamo ben disposti e pronti a fare i dovuti sacrifici del caso. Quello che ci manca ora come ora, oltre a un bel po’ di curriculum e di esperienza, è la spinta sotto alcuni lati gestionali. Tra tutte le critiche che ci si possono muovere credo che l’unica cosa su cui posso mettere la mano sul fuoco, è la nostra professionalità nel comportarci. Con gli anni quello che vogliamo dimostrare è di poter mantenere un livello il più alto possibile a livello produttivo, sperando di trovare qualcuno con la possibilità di darci la giusta spinta, e per parlarci chiaro non mi riferisco al lato economico. Ormai qualunque band sa che le spese sono necessarie e che, sopratutto di questi tempi, nessuno ha voglia oppure può spendere per te. Una band necessita investimenti e deve essere disposta a farli, sperando di poter quantomeno rientrare nelle spese. Noi da quel lato abbiamo già messo l’anima in pace e sappiamo che, se le possibilità saltano fuori, l’investimento va fatto di tasca nostra, ma una realtà è che spesso se l’investimento c’è ed è fatto bene, c’è anche un rientro. Il nostro problema principale in questo momento è trovare un riferimento soprattutto dal piano booking, dove purtroppo le esperienze non sono state delle migliori quando si ha avuto a che fare con agenzie, e spesso lavorando con l’etichetta, direttamente con promoter o addirittura da soli, le cose vanno quasi sempre meglio”.
OK, MICHELE, SIAMO GIUNTI ALLA FINE. VI RINNOVO I COMPLIMENTI E TI CHIEDO DI CHIUDERE COME PREFERISCI.
“Io rinnovo i ringraziamenti a te, a Metalitalia.com per il costante supporto che dà a noi e a mille altre band, senza chiedere un euro in cambio, ma per pura passione. Si ringraziano troppe volte i musicisti intervistati e troppo poche chi come te ci permette di avere un ulteriore spazio oltre a quello musicale! Come dico sempre alla fine di ogni mia intervista: tu, che stai leggendo queste righe, se sei arrivato fino qui e mi hai sopportato tanto da leggere quello che sto scrivendo in questo momento, dai un ascolto a ‘Entering The Maze’ e prova a sentire come ti suona il nostro labirinto, non sia mai che ti dia una mano a trovare la tua via di uscita!”.