Gli album dei Pain Of Salvation post-“Remedy Lane”, pur registrando pareri discordanti tra i fan di lunga data, hanno segnato comunque un calo qualitativo rispetto ai fulminanti esordi della formazione svedese, che le avevamo permesso di installarsi in una posizione dominante all’interno della scena prog internazionale. Anche la line-up ha subito parecchi scossoni e oramai da qualche anno vi è il solo Daniel Gildenlöw a rappresentare continuità col passato. In questo periodo un po’ di fiacca, il mastermind ha tentato, come nel 2004 con “12:5”, la carta del live acustico, a suggello dell’intenso tour in questa dimensione tenuto nel 2013. Gli ottimi contenuti di “Falling Home” ci dicono bene in merito stato di salute del gruppo, che ha riarrangiato e stravolto il proprio materiale per adattarlo alle diverse regole d’ingaggio. Vogliamo vedere questo live come un modo per rilanciarsi, perché come traspare dalle parole di Daniel l’avventura dei Pain Of Salvation è ben lungi dal terminare e ci sono ancora tante idee e progetti da portare avanti. E probabilmente, dopo essersela vista molto brutta all’inizio dell’anno con un problema di salute molto serio, il leader dei Pain Of Salvation ha una voglia esagerata di ritornare in piena attività.
PRIMA DI TUTTO VORREMMO SAPERE COME STAI, VISTO QUANTO TI È ACCADUTO A FEBBRAIO…
“Sto sempre meglio, sto recuperando una buona condizione fisica e ne sono felice. Per quello che ho passato, il tipo di malattia e le sue conseguenze, posso ritenermi fortunato, il decorso è stato buono e la mia salute è andata migliorando abbastanza velocemente e senza ricadute. Sono contento di essere sopravvissuto, innanzi tutto. Ho trascorso quattro mesi in ospedale, quando ne sono uscito ero debolissimo, dopo pochi passi ero subito stanco, appena dovevo salire qualche gradino mi mancava il fiato ed ero costretto a fermarmi. Ero davvero molto debole. Ora la salute sembra essere tornata”.
BENE, SIAMO CONTENTI DI SAPERE CHE STA ANDANDO TUTTO PER IL MEGLIO. PARLANDO DI QUESTO NUOVO LIVE, CI PARE ABBIA AVUTO UNA GENESI PIUTTOSTO STRANA. CE LA POTRESTI RACCONTARE?
“All’inizio dovevamo registrare il live album nel corso di una data in Germania, eravamo già a buon punto nell’organizzazione, ma poi non siamo riusciti a portare a termine il progetto, e abbiamo dovuto fare diversamente… Partendo dalle origini, da quando abbiamo deciso di registrare un nuovo live dopo l’esperienza di ’12:5′, ti posso dire che l’abbiamo fatto per vivere un’altra volta qualcosa di unico, di intrigante, di interessante. Tutti noi nei Pain Of Salvation, e io in modo particolare, cerchiamo di esplorare continuamente nuove direzioni, di trovare nuovi stimoli in ciò che facciamo. Ci piace intraprender nuove attività, senza sapere esattamente dove possano portare, godendoci l’esplorazione di quello che stiamo affrontando e vedere infine cosa riusciremo a trarne. Nel caso di questo live, volevamo offrire qualcosa ai nostri fan nell’attesa del disco in studio successivo. Tornando a quello che ci è accaduto quando abbiamo tentato di registrare il tutto durante un concerto del recente tour acustico, all’inizio sembrava tutto ok, la location era ottimale, c’era un buon pubblico, eravamo pronti sotto ogni punto di vista. Poi, semplicemente, quando è stato il momento di registrare, è saltato fuori che le varie macchine che avevamo a disposizione non si “parlavano” tra di loro, non erano sincronizzate, non si riusciva a farle funzionare assieme, e abbiamo dovuto desistere. Così abbiamo dovuto approntare un piano B. L’unica soluzione, a quel punto, era quella di portarci tutta l’attrezzatura necessaria in sala prove e “catturare” il nostro set acustico in presa diretta, senza aggiungerci nulla. Abbiamo impiegato alcuni giorni per terminare tutto quanto, poi abbiamo semplicemente discusso su quali canzoni includere e quali lasciar fuori. Alla fine è stato facile, non abbiamo avuto ulteriori intoppi per fortuna, e tutti quanti ci abbiamo messo un’attenzione e un coinvolgimento pari a quello che avremmo avuto per un album di inediti. Sono soddisfatto di come abbiamo lavorato”.
COME AVETE SCELTO LA SETLIST DELL’ALBUM?
“Quando registri un album in acustico, guardando alla tua discografia ti accorgi che ci sono alcuni episodi che si adattano meglio a questo contesto, che sembrano fatti apposta per essere riarrangiati per questa dimensione. Tali pezzi diventano delle scelte naturali per la setlist. Ad esempio, ‘1979’ e ‘To The Shoreline’ si adattano benissimo ad essere suonate in acustico, e non sarebbero assolutamente potute mancare in ‘Falling Home’. In questi casi non ci sono da apportare molte modifiche alla struttura e al suono. Poi ci sono canzoni che sono molto versatili, adatte ad essere stravolte per essere suonate secondo uno stile completamente diverso da quello di partenza; qui succede che la nuova versione ha parecchie differenze con l’originale, ma è ugualmente interessante. E’ un po’ come dare una nuova vita a quanto hai composto. Arriviamo infine al tipo di scelta che preferisco, quello riguardante i brani che non sembrano assolutamente avere le caratteristiche per essere suonati in acustico. Quelli che, secondo logica, dovresti scartare per un’operazione del genere. Vai ad esplorare un ambiente ostile in questo modo, perché ci sono modifiche profonde che devono essere attuate per trasportare quanto avevi concepito in una veste totalmente nuova. Adoro cosa siamo riusciti a fare con ‘Spitfall’! E’ una delle nostre tracce tipicamente metal, quelle che di solito vengono più apprezzate nel contesto di un festival, durante uno show ‘regolare’ del gruppo quando abbiamo davanti chi ci preferisce quando siamo più duri e pesanti. Un tipo di situazione, sia chiaro, che tutt’ora ci piace molto, perché suonare in acustico ci piace farlo ogni tanto, come occasione particolare… Per questo ‘Spitfall’ si adatta così bene a questa nuova ambientazione, proprio perché nasce per essere qualcosa di completamente differente. Le due cover le abbiamo scelte invece come una forma di tributo a degli artisti che amiamo moltissimo e hanno contributo in maniera decisiva a farci intraprendere un certo tipo di discorso, abbiamo quindi voluto omaggiarli con le nostre due personali versioni di ‘Holy Diver’ e ‘Perfect Day’”.
COME HAI GIÀ DETTO, NON È LA PRIMA VOLTA CHE VI CIMENTATE CON UN LIVE ACUSTICO, LO AVEVATE GIÀ FATTO CON “12:5” NEL 2004. QUALI SONO LE DIFFERENZE TRA I DUE DISCHI E COSA AVETE MIGLIORATO RISPETTO ALL’ALBUM DI DIECI ANNI FA?
“Trovandoci in questo caso a registrare in sala prove abbiamo avuto un suono più vicino a quello puramente analogico. Devo dire che mixare gli strumenti in acustico è più facile, mancano tutte quelle sfumature che ti dà la chitarra elettrica, che diventano però più difficili da riproporre sull’album. Le tonalità più cupe vengono eliminate quando suoni acustico, lo stesso accade anche per il basso. Rispetto a ’12:5′ volevo un suono diverso da quello che si ottiene normalmente in una situazione simile, volevo qualcosa di più chiuso, asciutto. Ce l’avevo in testa già prima che iniziassimo a registrare. L’idea era che suonasse come una naturale prosecuzione dei due “Road Salt” e di “BE”, ed ho cercato su qualche altro album in circolazione il sound che mi girava per la mente, senza trovarlo. Non sono riuscito a trovare nulla che rispecchiasse quanto sentivo dentro di me. Ci sono andato vicino soltanto con ‘Let It Be… Naked’, sentire le canzoni dei Beatles senza gli arrangiamenti aggiunti in studio mi ha fatto capire come avrebbe potuto suonare la musica dei Pain Of Salvation nell’album che stavamo andando ad incidere. Per questo motivo, per questa mia voglia di produrre qualcosa che non avevamo ancora provato e di cui non trovavo alcuna corrispondenza in giro, ‘Falling Home’ suona molto diverso da ’12:5’, è prodotto in tutt’altra maniera. Un tratto distintivo di questo live è la forte tensione al finale, nel senso di porre un termine definitivo alle canzoni, una cosa che mi stava ossessionando in questo periodo proprio perché stavamo arrivando da una lunga serie di concept album. Abbiamo sempre fatto dischi dove ogni traccia aveva il suo sbocco nella successiva, c’era una prosecuzione e un flusso continuo di musica. In questo caso volevo sottolineare come i brani facessero storia a sé, sentivo il bisogno del silenzio, e infatti se ci fai caso abbiamo lasciato due-tre secondi di pausa al termine di ogni pezzo, proprio per renderli definitivi e non collegati a quello successivo. Il fatto di mettere altro suono nelle pause è un’abitudine iniziata negli Anni ’90, prima si lasciava un minimo di intervallo, e pure noi abbiamo seguito questa modalità molto spesso, mentre questa volta sentivamo la necessità di recuperare dei veri stacchi tipici dei live”.
UN LIVE ALBUM DI SOLITO È UN MOMENTO IN CUI FARE UN BILANCIO DELLA PROPRIA CARRIERA. QUALI SONO STATI I MOMENTI MIGLIORI NELLA STORIA DEI PAIN OF SALVATION?
“E’ difficile trovare alcuni momenti che emergano sugli altri nella vita dei Pain Of Salvation. Personalmente apprezzo moltissimo qualsiasi giorno speso nell’attività della band, nelle normali attività in cui ci impegniamo per portare avanti il gruppo. Alcuni degli attimi più intensi li abbiamo vissuti agli inizi, quando ogni emozione, ogni sensazione, erano molto intense, il solo fatto di potersi ascoltare la propria musica era già di per sé favoloso, e poi ci si immaginava tante cose, diventare una grande band, iniziare una vera e propria carriera da musicisti… Quando si è molto giovane è tutto molto intenso, si è quasi intossicati da tutte questi pensieri che ti arrivano uno dopo l’altro nella testa… Ora mi sono ricordato di un aneddoto divertente: sarà stato il 2000, dovevamo suonare in un grosso festival, non mi ricordo perfettamente quale fosse, e arriviamo in hotel prima dello show. Alcuni ragazzi ci salutano alla reception: ‘Siete i Pain Of Salvation?’. ‘Sì, siamo noi’. ‘Siete dei grandi, abbiamo sentito tutti i vostri dischi, e ci sono piaciuti moltissimo, bravi!’. Li ringraziamo, salutiamo, e andiamo verso le nostre camere. Il nostro batterista dell’epoca, Johan, fa a tutti gli altri. ‘Non avete idea di chi fossero, erano i Saxon!’ All’epoca ci sembrava ancora incredibile che personaggi del genere potessero essere dei nostri fan! Certo, i primi tempi c’era un livello di eccitazione notevole, sapere che c’era qualcuno che ascoltava la tua musica, che ti apprezzava, muovere i primi passi in un contesto professionale, erano tutti fattori che ti facevano letteralmente volare con il pensiero. Però faccio fatica ad individuare delle istantanee precise nel lungo percorso intrapreso in questi anni. Ogni annata porta con sé qualcosa di speciale, succedono molte cose che ci danno forti emozioni e ci fanno sentire felici della nostra attività di musicisti come Pain Of Salvation”.
I PAIN OF SALVATION HANNO SEMPRE SPERIMENTATO MOLTO IN CARRIERA. C’È QUALCOSA CHE AVRESTE VOLUTO INTRODURRE NELLA VOSTRA MUSICA, MA PER UN MOTIVO O PER L’ALTRO NON SIETE RIUSCITI A FAR ENTRARE NEGLI ALBUM PRODOTTI FINORA?
“La line-up attuale è la migliore che ci sia mai stata nei Pain Of Salvation e un elemento molto importante per renderla così forte è che nell’attuale formazione cantano tutti. Alcuni degli altri ragazzi ora nella band riescono a raggiungere note a cui io non riesco ad arrivare. Poter contare su così tante voci diverse ci dà notevoli possibilità espressive, ci apre nuove porte per lo sviluppo del nostro sound. In questo periodo possiamo sperimentare tanto e, come è sempre accaduto, non ci poniamo limiti su quello che potremo combinare. Non vedo l’ora di cominciare a comporre per il nuovo album, per capire cosa potremo tirare fuori con tutto questo range vocale a disposizione”.
IN UNA PRECEDENTE INTERVISTA SUL NOSTRO PORTALE PARLASTI DEL GRANDE STRESS CHE TI TROVI TALVOLTA A SOPPORTARE A CAUSA DELLE ASPETTATIVE RIPOSTE DAI FAN SULLA VOSTRA MUSICA. COME RIESCI A GESTIRE QUESTO STRESS E A TRADURLO IN QUALCOSA DI POSITIVO?
“Credo di essere ancora alla ricerca di un metodo per trasformare lo stress in energia positiva, ci devo ancora riuscire! In quel caso parlavo di una parte di fan, una minoranza per fortuna, che vuole mettere il becco un po’ su tutto, pretende che gli si spieghi qualsiasi nostra scelta, da quelle prettamente logistiche sull’andare o meno in tour in certi periodi, al perché abbiamo chiamato a suonare con noi un batterista piuttosto che un altro, al perché continuiamo a chiamarci Pain Of Salvation anche se abbiamo cambiato il nostro stile nel corso degli anni… Cose del genere. Io cerco di non farci troppo caso e di concentrarmi soltanto sugli aspetti essenziali della vita del gruppo, evitando queste valutazioni da parte della fan-base, ma non sempre si riesce a ignorare tutto ciò. Andando avanti, fortunatamente, abbiamo allargato la base di persone che ci seguono, questo però comporta che ci sono più ascoltatori che pretendono da te dei risultati all’altezza, e per quanto tu provi a non farti influenzare, un minimo di tutta questa attesa ti arriva, e devi saperla gestire. E’ normale che vi siano le opinioni più disparate sui nostri album, da una persona all’altra le preferenze su quale sia il nostro materiale migliore divergono, è difficile trovare uniformità di vedute. Tu puoi provare a mettere uno schermo davanti a tutto ciò, ma non ti puoi isolare completamente. Però la cosa più importante è che riusciamo a restare focalizzati su quello che vogliamo veramente, senza dare un peso eccessivo a chi vorrebbe che ci muovessimo in una direzione o in un’altra. Mi sto accorgendo, ora che sto affrontando la composizione di nuova musica, che ci stiamo portando nuovamente sulle sonorità di ‘The Perfect Element I’ e ‘Remedy Lane’. Si sta chiudendo un cerchio, forse era inevitabile che accadesse, e questo ritengo sia dovuto a ‘Falling Home’, al ritrovarci a suonare dall’inizio alla fine un set completo di nostre canzoni, solo noi in sala prove. Adesso ci stiamo riavvicinando a suoni che non toccavamo più da parecchio tempo, riabbracciando le nostre origini. Staremo a vedere dove ci porterà questa nuova-vecchia vena compositiva”.
PARLANDO DEI TEMI AFFRONTATI NELLE LIRICHE, C’È QUALCHE ARGOMENTO CHE TI HA STIMOLATO RECENTEMENTE E DI CUI PARLERETE NEL PROSSIMO DISCO?
“A grandi linee, mi concentrerò sulle relazioni umani, sulla loro funzione nel mondo di oggi, tenendo in disparte problematiche sociali e politiche. Nei nostri album siamo sempre stati molto attenti alle dinamiche relazionali, a come cambiano in rapporto all’evoluzione dei mezzi di comunicazione, quindi all’evoluzione dei rapporti interpersonali con l’avvento di internet e le nuove tecnologie”.