Con la loro capacità di coniugare un suono pesante e a modo suo molto classico in una proposta fresca e di forte impatto emozionale, i Pallbearer sono uno dei gruppi più interessanti in circolazione in questo periodo storico. Se a questo aggiugniamo una certa resistenza ai riflettori e un’attitudine piuttosto schiva che li rende, a tutti gli effetti, un gruppo di ragazzi normalissimi e molto umili, non potevamo lasciarci sfuggire l’oppportunità di intervistare la band in occasione della loro data italiana al Magnolia di Milano. Abbiamo incontrato la band al completo poco prima del soundcheck, in una giornata caldissima e circondati da zanzare e spray, immergendoci in una conversazione corale nella quale la band di Little Rock ha parlato di punti di vista sulla musica, propria e altrui, e non solo, trasmettendo l’entusiasmo per quello che fa e un affiatamento palpabile, tangibile, tanto che la situazione a un certo punto ricordava una chiaccherata tra amici più che un’intervista vera e propria. Questo il resoconto.
MI PIACEREBBE INTANTO CHIEDERVI SE STATE LAVORANDO A UN NUOVO ALBUM O SE DOBBIAMO CONSIDERARE “DROPOUT” UN SINGOLO A SE’ STANTE.
Joseph D. Rowland: – No, direi di no. Stiamo iniziando a parlare solo ora di cosa fare dopo; “Dropout” è parte di una serie di singoli a se stanti, non parte di un album. Di solito iniziamo a chiacchierare di un nuovo disco molto, molto prima di iniziare a lavorarci davvero, e siamo in quella fase lì, ci sono un sacco di discussioni a riguardo. Inoltre abbiamo un altro paio di cose che devono ancora uscire quest’anno, slegate, con le quali possiamo giocare un po’ anche con suoni diversi dal solito.
NELLA VOSTRA MUSICA ASSISTIAMO A UN’EVOLUZIONE CONTINUA, SIN DAL VOSTRO PRIMO DISCO E ANCORA IN ITINERE. COME DESCRIVERESTE LA VOSTRA MUSICA ANCHE IN RELAZIONE A UN PEZZO COME “DROPOUT”?
Brett Campbell: – “Dropout” è venuto fuori in maniera naturale… Sai, con l’ottica di uscire come singolo, non abbiamo pensato troppo a cosa e come, è una canzone sui nostri standard. Non vogliamo concentrarci per forza di cose su di un album con queste sonorità. E’ venuto fuori il pezzo, ci siamo detti “perché no?”, è anche un modo per esplorare nuovi stili di scrittura, di vedere come il nostro sound possa essere condensato in qualcosa più, mah, direi immediato. E’ divertente, un po’ sperimentale. Non è detto che faremo altre cose così più avanti, ma ci andava di provare.
IN QUALCHE OCCASIONE AVETE DICHIARATO DI NON SUONARE DOOM. COME DESCRIVERESTE DUNQUE IL VOSTRO GENERE MUSICALE, SOPRATTUTTO A QUALCUNO CHE NON VI HA MAI ASCOLTATO PRIMA?
Joseph: – Heavy.
Brett: – Si, semplicemente heavy.
Devin Holt: – E progressive.
Brett: – Heavy, emozionale. Io credo che ognuno di noi abbia chiaro cosa, per noi, rappresentino i Pallbearer, e quando scriviamo una canzone sentiamo quel feeling. Sebbene ogni pezzo possa avere diversi connotati. Finché fra di noi siamo d’accordo che quello che sta venendo fuori è qualcosa che suona come Pallbearer, c’è uno spettro piuttosto ampio di suoni e generi che possiamo prendere in considerazione.
Joseph: – Si, non abbiamo vere e proprie connotazioni di genere. Oddio, difficilmente usciremo con un disco ska nel prossimo futuro…
Mark Lierly: – Beh, potrebbe essere un’idea.
Joseph: – Ecco, gli ho messo un’idea in testa (ride NdR). In ogni caso, il doom è un elemento che da spazio a molte interpretazioni.
Devin: – E per noi, sai, heavy può voler dire un sacco di cose, può essere il primo Bob Dylan, non vuol dire per forza chitarre con accordatura abbassata e distorsione. La musica più pesante può essere anche su pianoforte. E’ un feeling più che altro.
IL VOSTRO ARTWORK E’ SEMPRE MOLTO CURATO E D’IMPATTO, E SEMBRA DIVENIRE ANCORA PIU’ INTENSO E MALINCONICO NEL TEMPO. COSA RAPPRESENTA?
Brett: – Beh, siamo abbastanza fortunati in tal senso visto che il disegnatore della copertina di “Heartless” è il fratello di Mark, che ha fatto anche “Fear And Fury” e “Dropout”, è un artista davvero talentuoso.
Mark (che stava per intervenire, viene distratto da una zanzara sul sottoscritto e la schiaccia con uno schiaffo piuttosto forte, suscitando risate generali NdR): – Scusami amico! Ma ti stava divorando! Ce l’hanno proprio con te (Risate, NdR). Tornando a mio fratello, si, ha un sacco di roba preparata, ma lavora anche su richiesta, ad esempio con “Heartless” gli abbiamo detto più o meno cosa volevamo, invece le copertine di “Fear And Fury” e “Dropout” erano dei lavori pre-esistenti, lavori suoi, che gli abbiamo chiesto di usare.
Jospeh: – La sua arte è davvero evocativa, che è quello che vogliamo associare alla band.
Mark: – E poi ci costa meno degli altri! (Risate generali NdR).
PARLANDO ALLE RELAZIONI FRA L’ARTWORK E LE SENSAZIONI CHE ESPRIMETE CON LA VOSTRA MUSICA, C’E’ UNA SORTA DI MESSAGGIO EXTRA TESTUALE CHE VOLETE ESPRIMERE, UN CONCETTO, UN SENTIMENTO CHE VOLETE TRASPAIA DALLE COMPOSIZIONI PRIMA ANCORA CHE DAI TESTI?
Brett: – Penso che spesso i testi vengano fuori dal carattere che assumono le composizioni, dopo un po’ le musiche parlano e comunicano certi elementi che ci dicono di cosa tratterà questa o quella canzone. E finiscono per esprimere varie cose, di qualcosa che accade nella mia vita, qualcosa che mi preoccupa, qualsiasi cosa sia nella mia testa. Parlo per me, ma quando sto scrivendo un testo la canzone in un certo senso si scrive quasi da sola, è naturale, voglio solo che musicalmente abbia una certa consistenza per quanto riguarda le emozioni, e poi scoprire di cosa questa musica parla.
Joseph: – Io inizio a scrivere musica pensando a vari temi, argomenti, e mi lascio ispirare.
Mark: – Ci mettiamo a scrivere con diverse idee in testa e non sai ancora quale canzone parlerà di quale argomento, noi andiamo avanti e pian piano diventa sempre più chiaro quale musica si accompagni meglio con quello di cui ci va di parlare.
Joseph: – E’ un po’ diverso ogni volta.
VI LASCIATE TRASPORTARE DAL MOMENTO.
Joseph: – Si, sono piccoli tasselli che vanno a unirsi finché non è chiaro come una cosa sia connessa all’altra, continuiamo a scrivere piccoli pezzi di musica e piccole parti di testo, e la cosa va in maniera naturale, finché non è chiaro che stiano bene assieme.
“HEARTLESS” E’ USCITO PIU’ DI UN ANNO FA, RIGUARDANDOLO DA OGGI COSA NE PENSATE, C’E’ QUALCOSA CHE AVRESTE FATTO DIVERSAMENTE E CHE CAMBIERESTE POTENDO?
Brett: – Oh certo, c’è sempre qualcosa, con ogni disco, e riascoltandolo ogni volta sento soprattutto le cose che avrei fatto diversamente. Ma, insomma, è anche il miglior prodotto che poteva uscire, nelle nostre intenzioni, quando è uscito. Il processo di registrazione è sempre complicato, ci sono così tanti strati di lavorazione, sai, ogni volta proviamo a fare qualcosa che non avevamo fatto prima, magari correggendo gli errori fatti in precedenza, provando cose nuove. A volte funziona, a volte no e, alla fine di tutto, avendo una fotografia chiara della situazione, pensi sempre “avrei potuto suonare quell’assolo un po’ meglio, questa chitarra avrebbe potuto essere migliore”, ma credo che al netto di tutto il disco funzioni, e questo è quello che ci importa davvero.
AVETE GUADAGNATO MOLTA POPOLARITA’ NEGLI ULTIMI TEMPI E SE PENSO PARTICOLARMENTE AD “HEARTLESS”, C’ERA DELL’ATTESA ATTORNO A VOI, DELLE ASPETTATIVE. COME VIVETE QUESTO MOMENTO?
Brett: – Cerchiamo di non sentire la pressione. Credo che se ci preoccupiamo troppo delle aspettative e di quello che il pubblico possa volere da noi, sarebbe impossibile creare, perché persone diverse fra loro, tra i nostri ascoltatori, vogliono magari cose diverse da noi. C’è chi ama certi elementi, chi altri, a quel punto non sapremmo più cosa vogliamo noi. Ci focalizziamo su quello che cerchiamo di portare avanti. Più che pensare a cosa gli altri vogliono ci concentriamo su cosa vogliamo noi.
Mark: – Andiamo avanti con la nostra evoluzione, proseguendo per la nostra strada, ma lo facciamo in modo naturale. Se ci mettessimo seduti a pensare a come e in cosa vorremmo evolvere andremmo probabilmente dalla parte opposta.
RICEVETE MAI ‘LAMENTELE’ DAI FAN DELLA PRIMA ORA PER ESSERE TROPPO DIVERSI DAI VOSTRI INIZI?
Mark: – Oh si, continuamente. E’ una cosa anche strana, hai questi ragazzi che magari si divertono al concerto, gli piace quello che fai, sono fan e tutto, ma quasi a ogni cacchio di concerto c’è qualcuno che ti dice ‘siete grandi, ma adoro “Sorrow And Extinction”’, sempre. Siamo stati così fortunati da poter esattamente fare quello che volevamo fare, la gente sembra apprezzarlo, abbiamo cambiato la nostra strada in maniera naturale e se abbiamo acquisito popolarità è anche per questo, e quindi mi sento abbastanza sicuro di me da andare avanti in questo modo, non vedo ragioni per cambiare approccio. E’ sempre stata una cosa positiva, siamo persone oneste e che lavorano duro, non abbiamo davvero nulla di cui pentirci in tal senso, non ho motivi per guardarmi indietro.
QUALI SONO LE VOSTRE INFLUENZE, NON SOLO MUSICALI, CHE ISPIRANO LE PERSONE CHE SIETE OGGI, NEL 2018?
Joseph: – Oh wow, domanda complessa.
Devin: – Io sono quasi ossessionato da John Coltrane, mi piaceva al liceo e ora non riesco assolutamente a smettere di ascoltarlo, sono tipo sei mesi che lo ascolto ininterrottamente, non riesco a smettere. E’ incredibile. E può suonare un po’ bizzarro, non è roba che senti all’interno dei Pallbearer magari, ma sono completamente stregato. Davvero. C’è qualcosa che emanano i vecchi jazzisti, un’aura particolare, non saprei. C’è una tale semplicità e una tale capacità di diventare così profondi che davvero non mi spiego, tre tizi, nessun effetto ed è così incredibile cosa riescano a creare. Note. Semplicemente note, ma è pazzesco. Precede il rock psichedelico ed è pura psichedelia, sperimentale, precede anche l’experimental jazz, Charlie Parker etc., ed è tutto suonato con strumenti semplici e sono venuti fuori capolavori.
Joseph: – Ho ascoltato molta roba diversa ultimamente, roba minimal, elettronica, sai, cose che non necessariamente finiscono nei Pallbearer, di per sé, ma sono sempre stato interessato da artisti sperimentali che portano le loro composizioni all’estremo, così come il jazz, appunto, ma mi piace anche il contrario, strumentazioni complesse, esperimenti, effetti, ma che poi magari arriva a risultati simili. Per me, almeno.
Brett: – Si, io per esempio sono addentro a sonorità… Quasi misticheggianti, come Alice Coltrane, Pharoah Sanders, suonano quasi mediorientali più che jazz, sono abbastanza fissato con questa musica ultimamente. Inoltre sto pensando molto al film “Stalker” di Tarkovskij… Non l’avevo mai visto fino a…
Joseph: – Davvero non l’avevi mai visto?
Brett: – Si non l’avevo mai visto fino a poco tempo fa. Cioè, lo conosco da sempre, sapevo cos’era, ma non avevo avuto ancora modo di vederlo. E mi ha fatto pensare un sacco alle premesse che ci sono dietro il film, è un tema a cui penso molto.
QUALI SONO I VOSTRI PROSSIMI PASSI DELL’EVOLUZIONE DEI PALLBEARER?
Joseph: – Ci sarà l’ultimo tour dell’anno, in Nord America, coi Tribulation (iniziato da poco, NdR), dove suoneremo e magari reinterpreteremo anche del materiale che non prendevamo in mano da un po’. Poi non lo sappiamo esattamente neanche noi, almeno non finché non ci metteremo a discuterne seriamente. Siamo stati in giro per tour così tanto da quando è uscito “Heartless” che non riusciamo a pensare esattamente a cosa faremo una volta a casa, ci saranno molte cose da fare, scrivere musica. Si, al momento ci siamo impegnati a fare “Dropout”, ci sono un altro paio di cose che usciranno, intanto c’è questo, che abbiamo fatto l’ultima volta che abbiamo avuto una pausa abbastanza lunga. Non abbiamo avuto vero e proprio tempo per sederci e discutere. Stiamo assimilando le esperienze, quello che ascoltiamo e di cui parliamo. Ma dopo il tour coi Tribulation staremo quasi certamente fermi per scrivere roba nuova. Nel corso del tempo abbiamo avuto un sacco di idee che onestamente non vediamo l’ora di trasformare in qualcosa di tangibile. Ci sarà anche un po’ di vacanza verso ottobre.
NON VI RIVEDREMO TROPPO PRESTO IN EUROPA, DUNQUE.
Joseph: – No, a meno che non succeda qualcosa di davvero inaspettato o ci arrivi qualche offerta impossibile da rifiutare non ci vedremo almeno fino al prossimo anno.
Devin: – E’ che stiamo ritardando la scrittura un po’ troppo, e stiamo accumulando davvero tantissimo materiale e non abbiamo il tempo di metterci a lavorarlo e ,al momento, è la cosa che ci va di fare di più subito dopo il tour. A meno che non ci chiamino i Metallica per far loro da spalla! (tutti annuiscono e risate NdR). Vogliamo scrivere, ora.
COME VI SENTITE A CASA, IN ARKANSAS? COM’E’ LA SCENA MUSICALE E COME SIETE ‘PERCEPITI’?
Joseph: – C’è una scena molto piccola ma che si supporta internamente. Ci sono sempre state ottime band, e alcune delle migliori non sono mai uscite ‘di casa’, negli ultimi anni. Alcuni di loro hanno finalmente nuovo materiale. Stiamo parlando di gente una decina d’anni più grande di noi, erano in gruppi da paura quando noi eravamo ragazzini, hanno figli, magari hanno frenato un attimo le attività ma stanno scrivendo roba nuova, facendo show e non vedo l’ora di ascoltarli.
Brett: – E anche i gruppi più nuovi sono davvero interessanti. Ogni scena, specialmente quelle piccole, hanno dei momenti opposti, a volte sembra non ci sia niente di attivo, ma la gente invece c’è sempre, si muove, opera, ci sono molte persone di grande talento, e l’ambiente intorno è davvero stimolante e unito. Non solo nell’ambito metal, ma anche nel rock, nell’indie, nel country, c’è roba buona dalle nostre parti, anche roba strana, c’è una bella scena punk anche… Ma è così piccola, come realtà, che non si percepiscono grandi divisioni, un po’ tutti vanno ai concerti degli altri, siamo tutti amici, ci si vede nei bar, cose così.
Mark: – Ci sono praticamente solo tre bar dove andare e circa duecento persone che suonano o bazzicano l’ambiente musicale. C’è il nostro artista del luogo preferito al momento che suona country, americana, robe così, e comunque facciamo anche concerti assieme, l’abbiamo invitato in tour quando eravamo headliner in America… Perché è fantastico, la gente era senza parole quando ha suonato.
Joseph: – La sua musica è pazzesca cazzo.
Brett: – Come dicevamo prima, heavy non deve essere per forza avere chitarre pesanti, la musica di questo tizio è la definizione di ‘heavy’
Mark: – E’ un eroe locale, è un ispirazione per molti. Si chiama Adam Faucett, dovresti ascoltarlo.
Devin: – Devi assolutamente ascoltare il suo nuovo disco
Brett: – La sua voce ti lacera.
Joseph: – E’ di un altro livello.
Mark: – E’ pazzesco, con questa voce pazzesca, unica. Fa questa roba acustica, ci sono milioni di band che suonano così ma non come lui.
QUANTO SONO CAMBIATE LE VOSTRE VITE DAL VOSTRO DEBUTTO A OGGI?
Joseph: – Oddio… Tantissimo.
Brett: – Avremmo bisogno di fare un’intervista separata solo sull’argomento (risata un po’ imbarazzata NdR). E’ una buona domanda ma così difficile a cui rispondere. La nostra vita è cambiata così drasticamente. Personalmente quando abbiamo fondato la band ero in uno stato… Terribile, davvero terribile. In una situazione davvero insalubre, fisicamente e mentalmente e… Sai, in molti modi questo gruppo, il tempo speso, viaggiare, lavorare assieme, le persone che ho incontrato hanno influito così largamente sulla mia vita… Sono in una condizione molto, molto migliore rispetto a quando abbiamo cominciato.
Devin: – E credo che questo sia un fatto che ha influenzato non poco la nostra musica. Voglio dire, c’è una ragione per cui il nostro primo album suona così come si sente, e non vogliamo per forza tornare indietro a quel sound probabilmente anche perché con la mente e le emozioni eravamo in un altro posto, quando abbiamo scritto quei pezzi. Una delle ragioni per cui “Foundations” suona diverso da “Sorrow And Extinction” è perché eravamo già in un altro ‘posto’.
Brett: – Non per forza un posto migliore ma uno diverso, di certo.
Joseph: – Penso che ci sia sempre qualcosa di negativo che accade nelle vite di tutti, e in termini di scrittura tutto nasce da quelle.
Brett:– Non facciamo roba con un sound esattamente positivo, insomma… C’è sempre qualcosa che viene fuori dalle situazioni. Non augurerei a nessuno di stare come stavo quando scrivevamo “Sorrow And Extinction”. Ne sono uscito davvero per un soffio e non vorrei tornarci di nuovo.
QUINDI E’ LA VOSTRA MUSICA CHE TI HA GUARITO, BRETT?
Brett: – Si, direi di si. Sta funzionando.