PARADISE LOST – Avvolti dalla bruma

Pubblicato il 02/09/2017 da

Con il loro quindicesimo album in studio, i Paradise Lost vanno ‘all in’ e giocano la carta del vero death-doom, riappropriandosi definitivamente di certe suggestioni tipiche dei primissimi anni della loro carriera. “The Plague Within” e, in particolare, un brano come “Beneath Broken Earth” avevano lanciato segnali importanti solo un paio di anni fa, ma è con “Medusa” che il seminale gruppo britannico chiude un cerchio delineato ormai quasi trent’anni or sono, trovando una formula che potrebbe anche rappresentare un nuovo trampolino di lancio per un finale di carriera e un disegno artistico che senza ombra di dubbio potrebbe, per talento e maturità, permetter loro ancora di ritagliarsi spazi concreti nella scena metal odierna. Ne parliamo con il sempre più amichevole Nick Holmes, incontrato in un hotel milanese all’inizio di questa estate…

“MEDUSA” VI VEDE TORNARE PIU’ CHE MAI ALLE VOSTRE ORIGINI DEATH-DOOM: COSA VI HA RIPORTATO SU QUESTO GENERE DI SONORITA’?
– Come sai, non ci sediamo mai a tavolino per decidere come suonerà un nostro album. Ogni disco fotografa esattamente i nostri gusti e la nostra attitudine nel momento in cui è stato composto. Solitamente sappiamo più o meno che taglio prenderà l’album nel momento in cui completiamo la stesura del primo nuovo pezzo. Di solito quest’ultimo è sufficiente per farci capire in che direzione vogliamo davvero muoverci. Nel caso di “Medusa”, tuttavia, non è stato necessario scrivere una nuova traccia: l’ispirazione infatti ci è arrivata soprattutto da “Beneath Broken Earth”, l’ultimo pezzo che avevamo composto per “The Plague Within”. Questa canzone è nata all’ultimo momento, mentre eravamo già in studio alle prese con le registrazioni del resto del materiale. Greg si è sentito ispirato e ha scritto la parte strumentale in pochissimo tempo: il risultato finale ci è piaciuto a tal punto che non solo abbiamo deciso di includere il brano nella tracklist del disco, ma anche di sceglierlo come video. In breve tempo “Beneath…” è diventato il nostro episodio preferito dell’album. Da qui è nata l’idea di comporre un lavoro che seguisse a grandi linee l’atmosfera di quel pezzo. Così è nato “Medusa”.

IN EFFETTI ALCUNI DEI NUOVI BRANI SEMBRANO PROPRIO RICOLLEGARSI A QUEL PEZZO…
– Sì, credo che la canzone “Fearless Sky”, in particolare, possa essere vista come una versione aggiornata ed espansa di “Beneath Broken Earth”: è il pezzo più lungo del nostro repertorio, ma se la ascolti bene non sembra poi così lungo. Credo che, pur muovendoci in una direzione più doom, abbiamo evitato di riempire i brani di ripetizioni: non ci piace la prolissità e non amiamo proporre lo stesso riff all’infinito. Vi è una buona dose di varietà anche nei brani più lenti. Molte doom metal band di oggi tendono un po’ ad annoiare nel loro cercare di essere opprimenti ad ogni costo.

VI SONO COMUNQUE DELLE CANZONI PIU’ RITMATE NEL DISCO: “FROM THE GALLOWS” E “BLOOD AND CHAOS”, AD ESEMPIO…
– Sì, “From The Gallows” è in realtà una canzone molto vecchia, risale ai nostri esordi, ma per qualche ragione non era mai stata registrata e inclusa in uno dei primi due album. Eravamo soliti proporla in concerto e ricordo bene che piaceva particolarmente a Karl dei Bolt Thrower: ci diceva sempre che quello era il suo pezzo preferito del nostro repertorio. Greg ha recuperato una vecchia cassetta con delle registrazioni dal vivo e ha deciso di di pubblicare finalmente questa canzone. Il nastro non riportava il finale del brano, così abbiamo dovuto comporre la coda ex novo: si può dire quindi dire che “From The Gallows” faccia incontare i Paradise Lost del 1990 con quelli del 2017.

C’E’ MOLTO GROWL SUL DISCO: SINO A QUALCHE ANNO FA SAREBBE STATO DIFFICILE IMMAGINARE CHE UN NUOVO ALBUM DEI PARADISE LOST AVREBBE CONTENUTO PIU’ GROWLING VOCALS CHE PULITO…
– Me ne rendo conto, ma le linee vocali devono pur sempre seguire la parte strumentale. Questo tipo di doom metal chiama le growling vocals. Ho registrato varie versioni di ogni pezzo del disco, provando ora ad usare il pulito, ora la voce goth, ma il growl è sempre risultato più convincente. Sarebbe stupido urlare su un brano come “Hallowed Land”, ma davanti a partiture solenni come quelle di “Fearless Sky” è giusto usare il growl e dare al tutto un taglio ancora più grave e pesante. Magari il prossimo album sarà più melodico e torneremo ad altri tipi di voce.

PER LE REGISTRAZIONI VI SIETE NUOVAMENTE RIVOLTI A JAIME GOMEZ ARELLANO: LA VOSTRA COLLABORAZIONE NASCE SOLO UN PAIO DI ANNI FA, MA SEMBRA GIA’ MOLTO SOLIDA…
– Jaime è più giovane di noi, ma ha una visione della musica e delle registrazioni particolarmente vintage: il suo modo di affrontare il lavoro in studio è simile a quello dei produttori degli anni Settanta e Ottanta. Avevamo avuto modo di saggiare la sua esperienza durante le registrazioni di “The Plague Within”, ma su “Medusa” ci siamo trovati ancora meglio. Le sessioni di registrazione sono state molto spontanee e veloci, abbiamo cercato dei suoni live e abbiamo evitato di ricorrere alla tecnologia. Puoi davvero sentire il tocco dei singoli musicisti in questo album. Il basso è in evidenza, puoi sentire qualche sbavatura nelle chitarre, ma si tratta di elementi che donano fascino all’opera. Troppi dischi di oggi vengono fatti al computer e non vi è più traccia di calore e spontaneità. Con “Medusa” abbiamo davvero cercato di tornare alle origini, in questo senso. Ci siamo trovati benissimo nel nuovo studio di Jaime: si è trasferito nella campagna fuori Londra e non abbiamo corso il pericolo di distrarci durante le registrazioni. Lo studio è inoltre pieno di strumenti, amplificatori e pedali che Jaime ha collezionato negli ultimi anni: sembra quasi un museo. Il rullante della batteria che abbiamo utilizzato, ad esempio, è lo stesso usato da Dave Grohl su “Nevermind” dei Nirvana.

MI HA COLPITO IL TITOLO DEL DISCO: “MEDUSA” NON SUONA MOLTO ‘PARADISE LOST’, NON CREDI?
– “E’ vero! In origine “Medusa” era il titolo di una traccia demo alla quale stavo lavorando con Greg: lui l’aveva chiamata così semplicemente perchè aveva visto da poco un film degli anni Settanta con quel titolo. Non ho mai fatto ricorso a leggende e storie fantasy per i miei testi, ma, per curiosità, sono andato a leggere la pagina Wikipedia sul mito della Medusa e mi sono imbattuto nella frase “Do not look the Medusa in her face, do not look in the sadness of the world”. Questa frase mi è piaciuta molto, è qualcosa che avrei potuto scrivere anch’io, così ho pensato che avrebbe potuto funzionare come titolo per il disco.

CREDO CHE QUESTA VOLTA SARA’ DIFFICILE SCEGLIERE UN SINGOLO PER UN VIDEO: NON CI SONO CANZONI MOLTO ORECCHIABILI CHE SI PRESTANO A FARE DA SINGOLO…
– Abbiamo smesso di comporre pensando ai singoli tanti anni fa: per noi non è salutare approcciarsi alla composizione con l’intento di avere una serie di canzoni che abbiano a tutti i costi le tipiche caratteristiche di un singolo. Non ci interessa venire incontro a simili esigenze, non componiamo per la casa discografica o per le masse.

SE NON ERRO, PARTE DI “BELIEVE IN NOTHING” VENNE COMPOSTA SU RICHIESTA DELLA CASA DISCOGRAFICA…
– Sì, consegnammo il disco, ma l’etichetta ci disse che non l’avrebbero pubblicato se non avessimo incluso almeno un paio di brani più orecchiabili, adatti per fare da singolo. Così fummo costretti a tornare in studio e ad allungare la tracklist. Per fortuna non ci siamo più ritrovati in simili situazioni: oggi scegliamo attentamente con chi lavorare e anche le etichette sanno cosa aspettarsi da noi. La Nuclear Blast ci ha soltanto chiesto di fare avere loro il disco entro una certa data, poi starà a loro scegliere come promuoverlo.

“MEDUSA” E’ APPUNTO IL VOSTRO PRIMO ALBUM PER NUCLEAR BLAST RECORDS: COME E’ NATO QUESTO ACCORDO?
– Noi ci trovavamo benissimo con la Century Media, ma poi il nostro contratto è scaduto e quando è giunto il momento di rinnovarlo l’etichetta stava per essere acquistata dalla Sony. Le persone della Century Media con cui eravamo soliti dialogare non sapevano se sarebbero rimaste al loro posto, nè se la Sony avrebbe mantenuto il roster o se avrebbe cercato di svincolarsi da certi obblighi contrattuali. In quel momento è arrivata la Nuclear Blast e davanti alla loro offerta abbiamo deciso di non rischiare e di cambiare aria. Non abbiamo più interesse a lavorare con grosse major. La Nuclear Blast oggi è una casa discografica enorme, ma è pur sempre una label metal, quindi il posto ideale per un gruppo come il nostro.

DIETRO LA BATTERIA DEI PARADISE LOST SIEDE ORA IL GIOVANISSIMO WALTTERI VÄYRYNEN: SEMBRA PROPRIO CHE LA LINE-UP DEL GRUPPO SIA SOLIDISSIMA AD ECCEZIONE DEL RUOLO DI DRUMMER…
– Ormai ci siamo rassegnati (ride, ndR)! Adrian non ha mai nascosto di volere suonare con più band possibile: la lista delle sue collaborazioni è lunghissima ormai. Fra At The Gates, The Haunted e altre realtà minori è sempre impegnato, lui guadagna solo suonando. Noi non siamo una band che è sempre in tour, quindi non poteva permettersi di aspettarci mentre componevamo un nuovo album o semplicemente mentre ci stavamo dedicando ad altri aspetti della nostra vita. Quando ci siamo accorti che era sempre più difficile riuscire ad accordarci, è stato inevitabile separarci. Gli auguriamo il meglio. Al suo posto è appunto arrivato Waltteri: Greg lo ha reclutato per i primi tour dei Vallenfyre e lo ha poi proposto a noi per il ruolo di batterista dei Paradise Lost. E’ giovanissimo, ma è molto serio, educato e professionale. E poi beve pochissimo, per essere finlandese (ride, ndR)! Per il momento siamo molto contenti di lui. Certo però che è strano avere sempre problemi con i batteristi: credo che se Tudds, il nostro primo drummer, fosse migliorato tecnicamente, oggi sarebbe ancora con noi. Siamo ancora ottimi amici…

DOVETTE ANDARSENE PERCHE’ NON ERA PIU’ ALL’ALTEZZA?
– Fu una decisione molto difficile da prendere, proprio perchè eravamo amici sin da quando eravamo ragazzi e il rapporto era da sempre ottimo a livello umano. Purtroppo, come del resto tutti noi, Tudds non aveva mai studiato propriamente il suo strumento: agli esordi eravamo tutti musicisti improvvisati. Steve, ad esempio, non sapeva affatto suonare il basso quando ci raggiunse in sala prove per la prima volta; poi, però, dopo i primi tour, la sua preparazione tecnica era migliorata e oggi, non a caso, è un bassista più che competente. Posso dire lo stesso per Greg e Aaron. Tudds invece non riusciva a migliorare, era rimasto più o meno quello degli inizi: era limitato e quando iniziammo ad avere successo e a suonare davanti a migliaia di persone capitava spesso che si emozionasse e sbagliasse di continuo. Fu triste dirgli di andarsene, ma col tempo siamo riusciti a ricucire lo strappo e siamo tornati ad essere grandi amici.

WALTTERI COSA PORTA IN SENO ALLA BAND? DI CERTO ABBASSA L’ETA’ MEDIA…
– Sì, è nato nel 1994: non era nemmeno su questa terra quando noi eravamo in tour per ‘Icon’, il nostro quarto album (ride, ndR)! Potrebbe essere mio figlio, è una situazione molto buffa. E’ davvero un bravo batterista: si vede che è della generazione cresciuta con internet. Può suonare qualsiasi cosa perchè è cresciuto guardando video su YouTube e avendo accesso a qualsiasi disco. Apprezza molto band come i Gojira e puoi sentire questo suo tocco più moderno anche quando suona pezzi vecchi come “Gothic”. I batteristi della nostra generazione erano spesso molto limitati, ma, del resto, cosa puoi aspettarti se come influenza hai Lars Ulrich (ride, ndR)?

ORA CHE CON I PARADISE LOST SARAI IMPEGNATO IN UN TOUR PIUTTOSTO LUNGO PER PROMUOVERE “MEDUSA”, PENSI CHE AVRAI ANCORA TEMPO PER I BLOODBATH?
– Con i Bloodbath suoniamo quando capita, evitando accuratamente di mettere in difficoltà le nostre band principali. Abbiamo già un paio di concerti fissati per il prossimo anno e abbiamo anche in mente di trovarci fra febbraio e marzo del 2018 per completare la stesura di un nuovo album. I ragazzi stanno scrivendo i brani e per la prima volta anch’io sarò coinvolto dall’inizio. Non so quando e come verrà pubblicato, ma comunque ci sono buone probabilità che il progetto vada avanti.

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