È ormai una ricorrenza fare due chiacchiere con Nick Holmes prima della pubblicazione di un nuovo album dei Paradise Lost. “Obsidian”, in uscita su Nuclear Blast Records quando leggerete queste righe, ci ha dato modo di contattare telefonicamente il cantante britannico, come tanti alle prese con una quarantena che, almeno nel Regno Unito, sembra ancora destinata a durare a lungo. Partendo dall’emergenza sanitaria e dalla nuova opera del sua gruppo – architettata dal solito Greg Mackintosh con pennellate di elegante gothic metal, inaspettati spunti da dark rocker perduto e ormai consueti echi di matrice doom sfumati in malinconico spleen – siamo arrivati a disquisire del più e del meno, tra passato e presente dei Paradise Lost, togliendoci qualche curiosità su questa band perennemente in movimento.
COME VA LA QUARANTENA?
– Sto cercando di restare positivo. Certo, è un po’ strano quando vai a fare la spesa e tutti si guardano con circospezione, ma bisogna avere pazienza. In tutta onestà, la mia vita non è cambiata molto: se non sono in tour con il gruppo, tendo a passare tanto tempo a casa con mia moglie. Ogni tanto mia figlia si fa viva e guardiamo un film o facciamo una passeggiata. Una vita molto tranquilla, ma è appunto ciò che faccio di norma se non sono impegnato con la band.
AVETE DOVUTO ANNULLARE MOLTI CONCERTI?
– Solo qualche festival. Più un breve tour americano che avevo in programma con i Bloodbath. Ci è andata meglio rispetto ad altri gruppi. Avevamo in mente di iniziare il tour di supporto al nuovo album in autunno/inverno e per quello si vedrà. Per il momento abbiamo confermato solo un concerto a Leeds, vicino a casa nostra, a settembre. Servirà per presentare ufficialmente il disco e suoneremo tutte le canzoni. Chissà se almeno questa data riuscirà ad avere luogo: se vi saranno ancora restrizioni, dovremo posticipare anche questa.
NON AVETE PERÒ DECISO DI POSTICIPARE LA PUBBLICAZIONE DEL DISCO…
– Ci è stato proposto, ma ci siamo detti che non avrebbe avuto molto senso. Certo, forse le vendite iniziali saranno più basse del solito perché al momento la gente ha altro per la testa, ma ci è sembrato giusto rilasciare il disco come previsto e dare ai fan qualcosa per distrarsi. Inoltre sembra che molte band stiano posticipando le pubblicazioni all’estate o a settembre, con il risultato che quel periodo sarà probabilmente intasato di nuove uscite. Meglio quindi pubblicare adesso e avere tutto il tempo per essere ascoltati.
LA REAZIONE AL PRIMO SINGOLO, “FALL FROM GRACE”, MI È SEMBRATA POSITIVA…
– Sì, del resto si tratta di un tipico brano Paradise Lost. È stato il primo pezzo a venire composto dopo “Medusa”, quindi possiede un’impronta molto classica, vicina al materiale di quel disco. Il resto dell’album, come avrai avuto modo di sentire, adotta anche altri registri. Comunque, siamo contenti del responso sinora: abbiamo smesso da tempo di scrivere musica pensando ai singoli; abbiamo scelto di esordire con “Fall From Grace” semplicemente perché ci sembra un brano che contiene molte caratteristiche del disco e che si fa ricordare. Evidentemente abbiamo fatto la scelta giusta.
PARLIAMO DI “GHOSTS”, INVECE. CON QUESTA TRACCIA E CON “HOPE DIES YOUNG” AVETE RISPOLVERATO LE INFLUENZE GOTH ROCK E SIETE APPRODATI SU LIDI VICINI AI SISTERS OF MERCY…
– Sì, quando abbiamo iniziato a comporre l’album ho suggerito a Greg di provare a cimentarsi nuovamente con quel tipo di sonorità, che non trovavano spazio in un nostro disco da qualche tempo. “Medusa” è un lavoro molto pesante e compatto, forse anche troppo. L’idea all’epoca era di realizzare qualcosa di puramente death-doom e, di conseguenza, la nostra gamma espressiva è stata notevolmente ridotta per lasciare campo a questa sorta di ritorno alle origini. Lavorare a “Medusa” mi ha dato soddisfazione, ma non ti nascondo che oggi mi sembri un po’ monotono. Ho parlato con Greg e, in sostanza, gli ho detto: “Lo so che sei un metallaro, ma quegli spunti gothic rock ti sono sempre venuti bene. Prova a ridargli spazio”. Così sono nati questi brani più ritmati e melodici, che rimandano al periodo d’oro di quel genere. Eravamo ragazzini quando una band come i Sisters Of Mercy ha iniziato a spopolare. Pur facendo parte della scena metal, ci capitava di passare delle serate in dei club dove veniva trasmesso quel genere di musica. Si può in effetti dire che siamo cresciuti con quel sound e che per certi versi esso sia per noi importante tanto quanto il death metal. È strano che oggi quel panorama sia quasi del tutto sparito: non mi sembra vi siano goth club o gruppi mainstream che si rifanno apertamente a quelle sonorità. È un filone rimasto nel passato. Personalmente sono felice del ritorno di questa influenza nella nostra musica, ci ha dato modo di realizzare un disco particolarmente dinamico.
NON È STATO QUINDI UN SUGGERIMENTO DELLA CASA DISCOGRAFICA. NON VI SONO ARRIVATE RICHIESTE PER CANZONI PIÙ ORECCHIABILI…
– No, non riceviamo simili pressioni da circa vent’anni. Dai tempi della EMI o dagli anni appena successivi. Da allora nessuno ci ha mai chiesto nulla sulla direzione stilistica di un nostro nuovo album. Quando abbiamo firmato per Century Media per pubblicare “In Requiem” ci hanno giusto domandato se si si sarebbe trattato di un disco metal: abbiamo detto loro che avevamo pronte una manciata di canzoni metal e la discussione si è conclusa in quel momento. Da allora nessuno ha più fatto domande. Dal canto nostro, odiamo simili richieste e non componiamo pensando brano per brano. Preferiamo avere in mente un disco e come renderlo scorrevole e completo in linea con la direzione stilistica che abbiamo deciso di esplorare in quel periodo. Solo quando abbiamo pronta l’intera tracklist ci sediamo con manager e casa discografica per scegliere i pezzi da lanciare per primi. Ma niente viene composto con l’idea di avere un singolo.
SIETE SOLITI COMPORRE UN CERTO NUMERO DI BRANI E SOLO ALCUNI DI QUESTI POI FINISCONO NELLA TRACKLIST UFFICIALE. SIETE INFATTI NOTI PER LA STERMINATA SERIE DI B-SIDE E RARITÀ, OGGI FACILMENTE REPERIBILI E ASCOLTABILI ONLINE SU SPOTIFY O YOUTUBE…
– Sì, abbiamo davvero tanto materiale che non è stato pubblicato su disco. Un tempo era un problema per i fan, i quali dovevano scovare i vari singoli, EP e compilation per ascoltare quei brani esclusi dalle tracklist ufficiali degli album. Oggi invece è tutto online. La b-side non è più una rarità. È là fuori e può essere trovata in pochi minuti. Ci sentiamo meno in colpa per avere escluso certi pezzi dalle varie tracklist (ride, ndR).
COME FATE A SCEGLIERE QUALI BRANI FINIRANNO NELL’ALBUM E QUALI DIVENTERANNO BONUS TRACK?
– Tutti i membri del gruppo hanno voce in capitolo e possono votare, fermo restando che a mio modo di vedere la tracklist di un nostro disco deve essere il più scorrevole e completa possibile. Cerco sempre di prestare attenzione a come finisce un brano e a come inizia quello successivo. Se la transizione mi convince, allora siamo sulla buona strada. Credo poi che un nostro album debba contenere quanti più elementi possibile e non ripetersi troppo: se abbiamo tre o quattro brani doom in un disco di otto o nove tracce, magari uno è di troppo. Possiamo fare spazio ad un altro tipo di registro, visto che ne abbiamo le capacità. Ad esempio, una delle bonus track presenti nell’edizione limitata di “Obsidian” è uno dei miei pezzi preferiti composti di recente. Si intitola “Hear the Night” ed è una canzone molto cupa e solenne. Non riuscivamo però a trovarle uno spazio adatto nella tracklist, così, dopo avere votato, abbiamo deciso di usarla come bonus track. Un tempo mi sarebbe un po’ dispiaciuto, ma oggi, come dicevamo, finirà per essere disponibile come le altre. Chi non acquisterà l’edizione deluxe del disco potrà trovarla sulla piattaforme streaming.
MI HAI INCURIOSITO CON QUESTA STORIA DELLE B-SIDE. TI CHIEDO QUINDI DI ELENCARMI LE TUE PREFERITE, OLTRE A QUELLA CHE HAI GIÀ NOMINATO…
– È una domanda difficile perché ne abbiamo letteralmente a decine. Una recente che mi piace molto è “Shrines”, la quale risale al periodo di “Medusa”. È un po’ più orecchiabile del materiale presente in quel disco, nonostante abbia delle parti in growl. L’abbiamo messa da parte perché non legava benissimo con il resto. Poi ovviamente non posso fare a meno di citare la vecchia “Sweetness”, che è forse la nostra b-side più famosa. Ogni tanto ci chiediamo ancora perché non sia finita su un “Icon” o su “Draconian Times”, ma evidentemente non siamo mai stati bravissimi a valutare il potenziale dei nostri pezzi. Se ci pensi, persino “As I Die” non era stata inclusa nella prima tiratura di “Shades Of God”, e quella è poi diventata la nostra canzone più popolare in assoluto. Ogni tanto suoniamo “Sweetness” dal vivo i fan di vecchia data vanno a casa contenti.
VISTO CHE SIAMO IN TEMA DI MEMORIE, CHE MI DICI DELLA VOSTRA NUOVA BIOGRAFIA, “NO CELEBRATION”? HO LETTO IL LIBRO QUALCHE MESE FA E L’HO TROVATO MOLTO GRADEVOLE. E’ INOLTRE NOTIZIA RECENTE CHE L’EDIZIONE ITALIANA VERRA’ PUBBLICATA ENTRO LA FINE DELL’ANNO PER TSUNAMI EDIZIONI.
– Sì, e posso confermati che è stato gradevole lavorarci su. Abbiamo passato ore a rispondere alle interviste dell’autore, David Gehlke, e ci sono tornate in mente tantissime storie che avevamo dimenticato. Certo, non è la biografia dei Motley Crue, non leggerai di episodi completamente folli perché – purtroppo (ride, ndR)? – non siamo mai stati quel tipo di band e non abbiamo avuto quel tipo di carriera, ma credo possa essere fonte di curiosità per coloro che apprezzano il nostro gruppo.
TI SEI SORPRESO RILEGGENDOLA? HAI TROVATO QUALCOSA CHE NON TI ASPETTAVI?
– La mia memoria non è mai stata delle migliori, senza contare che nella mia vita ho vissuto un paio di periodi molto difficili dove alcol e farmaci mi hanno fatto dimenticare parecchio. Ho sempre fatto affidamento sul nostro chitarrista Aaron per ricordare certi aneddoti. Di conseguenza mi sono approcciato alla lettura conscio che certi eventi mi sarebbero risultati del tutto nuovi. È stato comunque piacevole leggere il libro e non ho trovato niente di particolarmente sorprendente, anche quando erano gli ex membri del gruppo a parlare.
OGNI CAPITOLO DEL LIBRO CORRISPONDE AD UN ALBUM DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA. TI È CAPITATO DI RIPRENDERE IN MANO UN VOSTRO DISCO DOPO AVERE LETTO UN DETERMINATO CAPITOLO?
– Ho recentemente ripensato al disco omonimo. Credo sia stato sottovalutato all’epoca della sua uscita, ma devo anche riconoscere che arrivavamo da un periodo un po’ travagliato. Per me è un lavoro molto interessante. “Don’t Belong” è un ottimo pezzo e poi in chiusura c’è “Over The Madness”, che a mio avviso è una delle nostre migliori canzoni in assoluto. Qui trovi il primo vero ritorno al doom. E l’assolo di Greg è semplicemente magico.
L’ANNO SCORSO GREG È TORNATO CON UN ALTRO PROGETTO, GLI STRIGOI. TU NON HAI ANCORA VOGLIA DI CIMENTARTI IN UN PROGETTO SOLISTA?
– Ogni tanto l’argomento salta fuori, ma non scatta mai la scintilla. Sono impegnato anche con i Bloodbath e con loro mi diverto molto. Il tempo è sempre poco. Magari un giorno mi vedrai uscire con un disco solista. E il mio nome in copertina sarà scritto con i caratteri del logo degli Iron Maiden (ride, ndR).
DI RECENTE PERÒ HAI CANTATO SU UN BRANO DEI FRONT LINE ASSEMBLY, LA NOTA BAND INDUSTRIAL CANADESE…
– Sì, come saprai, Rhys Fulber, il loro tastierista, ha prodotto alcuni dischi dei Paradise Lost. Siamo in ottimi rapporti da sempre. Avevano un nuovo album in lavorazione dopo tanto tempo e mi ha chiesto di cantare su una canzone intitolata “Wake Up the Coma”. È stato divertente, anche perché oggi il sound dei Paradise Lost è molto lontano da ciò che fanno loro.
EMERGENZA SANITARIA PERMETTENDO, COME IMPIEGHERETE I PROSSIMI MESI SUL FRONTE PARADISE LOST?
– Purtroppo è tutto da vedere. Come ti dicevo, è presto per annunciare il tour. Per un gruppo come il nostro è vitale poter suonare dal vivo, ma al momento non abbiamo controllo su questo aspetto. Nessun musicista al mondo ha una risposta. Di solito suoniamo di supporto ad un nuovo disco per circa due anni prima di iniziare a lavorare su altra musica, ma quest’anno dovremo attendere e magari i tempi si allungheranno. Un peccato perché ultimamente stavamo notando che vi era sempre più gente ai concerti. Probabilmente si trattava di tutte quelle persone che tra i tardi anni Novanta e i primi Duemila hanno smesso di seguirci (ride, ndR). Magari nel frattempo hanno messo su famiglia e ora i figli sono abbastanza grandi per stare a casa da soli mentre loro escono per andare ad un concerto. Facci caso: gruppi come i Saxon oggi attirano più persone che mai. Trovi ragazzini, genitori e nonni ai loro show. Anch’io voglio suonare davanti a quel pubblico (ride, ndR).