PAUL DI’ANNO – Vecchio, marcio ma ancora cattivo!

Pubblicato il 05/10/2023 da

Al centro di mille polemiche, vecchio, malandato, con un carattere tutto suo: non è un mistero che Paul Di’Anno non abbia mai fatto troppo per farsi volere bene e per volersi bene, dagli eccessi degli anni Ottanta a quelli degli ultimi anni, fino al ricovero per via della gravità del suo diabete e delle condizioni in cui versano le sue ginocchia.
Eppure, il vecchio rocker britannico è incredibilmente ancora fra noi e con decine di date dal vivo programmate. Nonostante sia in sedia a rotelle e fatichi a stare dietro alla riabilitazione, Paul è stato protagonista al Metalitalia.com Festival di uno show ovviamente incentrato sui primi due dischi della Vergine di Ferro, e – potremmo dire incredibilmente – portato a casa con grande energia; l’occasione era troppo ghiotta per non approfittarne e fargli qualche domanda sui numerosi progetti (e sulla sua condizione di salute) in cui, da dopo l’operazione alle gambe, è stato coinvolto e che porta avanti con stoica determinazione, nonostante tutto.
Qualcuno dirà che Paul è l’ultimo vero grande rocker, capace di fare un concerto nonostante i suoi stravizi; qualcun altro dirà che sarebbe ora che si ritirasse e non andasse in giro nelle sue condizioni: in ogni caso, una delle voci più iconiche della New Wave Of British Heavy Metal è ancora fra noi e non sembra proprio intenzionata a lasciare le scene.

Artista: Paul Di’Anno | Fotografo: Enrico Dal Boni | Data: 16 settembre 2023 | Evento: Metalitalia.com Festival Venue: Live Clun | Città: Trezzo sull’Adda (MI)

CIAO PAUL E BENVENUTO SULLE PAGINE DI METALITALIA. PER PRIMA COSA VORREMMO FARTI UNA DOMANDA ABBASTANZA SEMPLICE: COME STAI?
– Ciao! Beh dai, sto abbastanza bene rispetto a qualche tempo fa. Ho ancora tre mesi di riabilitazione da fare e dopo dovrei poter ricominciare a camminare. Mi hanno completamente ricostruito il ginocchio e parte della gamba dopo che sono andato in sepsi nel 2015: se mi avessero portato in ospedale, quando sono stato male, con più di quarantacinque minuti di ritardo, probabilmente sarei morto!
A salvarmi sono state le cliniche in Croazia, che mi hanno fatto saltare quello che in Inghilterra sarebbe stata un’attesa infinita: le liste si protraggono per anni, e oltretutto spesso ti rimandano per la convinzione che tu non sia ‘pulito’ (da alcool e droghe, ndr). Quando ero in ospedale in Oxfordshire non avevano potuto farmi tutto l’intervento: avevano messo solo un distanziatore in cemento osseo all’altezza del ginocchio, poi mi sono ammalato di MRSA prendendo lo stafilococco e, quando io e mia moglie chiamavamo, continuavano a dirci che c’era da aspettare due anni. Non ce l’avrei fatta a sopportare tutto quel tempo: in Inghilterra ormai ti dicono di aspettare e crepare sulla sedia a rotelle!

COSA TI HA AIUTATO DI PIÙ A SUPERARE QUESTI ANNI DIFFICILISSIMI?
– Sicuramente i fan, mia moglie e i miei figli. Sin da quando sono stato ricoverato hanno cominciato ad arrivarmi messaggi da tutto il mondo scrivendomi di non mollare. A volte ero così depresso per la situazione che avrei voluto ingozzarmi di pastiglie, addormentarmi e basta, e più di cinque volte ho pensato seriamente di farla finita, poi qualcuno o qualcosa mi scriveva da qualche fottuta parte remota del mondo e mi diceva di rialzarmi, di non perdere la speranza, che ce l’avrei fatta!
Addirittura alcuni mi hanno raccontato di esperienze simili con malattie terminali che poi hanno superato. Così mi sono detto che, se ce l’avevano fatta altri, ce l’avrei fatta anche io: senza tutte le persone che mi hanno supportato, specialmente i fan, non sarei qui a raccontare questa cosa!

NONOSTANTE TUTTO NON HAI MAI SMESSO DI FARE MUSICA: HAI UN NUOVO PROGETTO CON I WARHORSE, CE NE VUOI PARLARE?
– Più che ‘fare’  o ‘comporre’ ho semplicemente cantato, infatti nessuno dei testi dei Warhorse è mio! In realtà Madiraca (Hrvoje ndr) e Ante (Pupačić ndr) sono miei amici da tanto tempo e sono famosi in Croazia per la loro bravura come chitarristi. Sta di fatto che mentre ero lì per curarmi ci siamo sentiti e mi hanno chiesto se volevo fare un pezzo con loro, visto che stavano già collaborando con la bassista Becky Baldwin.
Quando ho sentito la versione non definitiva di “Stop The War” mi sono detto “Perché no?” e ho deciso di cantare nei singoli usciti finora e in quelli che scriveranno poi. In realtà sto scrivendo i testi per un nuovo disco che dovrei far uscire quest’estate con un mio amico compositore messicano, che sinceramente è anche più heavy rispetto ai Warhorse!

SEMPRE A PROPOSITO DEI WARHORSE, CI VUOI RACCONTARE QUALCOSA DEL SINGOLO “STOP THE WAR”?
– Beh, ho scelto di cantarci perché da trent’anni sono in contatto con un mio amico che è ucraino. Praticamente gli stavo scrivendo gli auguri per il compleanno del figlio quando è arrivata la notizia dell’invasione russa e mi si è spezzato il cuore. Sarei tanto voluto andare di persona a dare una mano agli sfollati, poi mi sono tenuto in contatto con un altro mio amico che è partito dalla Spagna con un camion di aiuti.
Quindi ho scelto di cantare il pezzo perché non potevo sopportare il fatto di non poter fare nulla: è stato un modo comunque di fare qualcosa per le vittime della guerra, infatti non prendo un soldo da quel progetto.

OLTRE A NUOVE CANZONI C’È ANCHE IN BALLO LA QUESTIONE DEL DOCUMENTARIO DI WES ORSHOSKI…
– Oh si, il documentario! È un peccato che io sia ancora qua in sedia a rotelle, perché altrimenti sarei volato a New York a vederne l’editing. Orshoski è un mio vecchio amico e questa storia è andata avanti per anni… Soprattutto dopo che mi hanno ricoverato.
Fortunatamente Wes è riuscito a venirmi a trovare in ospedale durante la degenza e poi a filmare professionalmente alcuni degli show che ho fatto dopo essere uscito dall’operazione. Anzi, voleva addirittura riprendere l’operazione coi chirurghi in sala operatoria (ride ndr)! Ovviamente gli ho detto di no, ma siamo in ottimi rapporti.
Il documentario comunque parlerà non solo della mia storia come musicista, ma anche di tutto il periodo della mia malattia fisica e mentale, a cominciare dalla depressione. Rivedendo alcune scene mi sono reso conto, ad esempio, di soffrire praticamente un disturbo post-traumatico senza neanche essere stato in guerra! Alcune parti del documentario racconteranno dei periodi dove magari urlavo a chiunque e poi mi chiudevo in me stesso a riccio, cosa non molto bella se poi devi uscire a suonare.
In realtà la musica è stata poi la cosa che mi ha permesso di continuare a far andare la testa senza diventare pazzo! Meno male che non mi sono ammazzato, ci sono ancora troppe persone che voglio far incazzare (ride, ndr)!

ULTIMAMENTE LA TUA VITA È RUOTATA MOLTO ATTORNO ALLA CROAZIA: AL DI LÀ DELL’OPERAZIONE, COME MAI QUESTA CONNESSIONE CONTINUA?
– Beh, anzitutto devo ringraziare Stjepan Juras, che ha curato molti libri sugli Iron Maiden, per essersi fatto in quattro per supportare il mio intervento e mettere insieme il crowdfunding insieme a Kastro Pergjoni.
Il sistema sanitario in Inghilterra è completamente fottuto: fare l’operazione lì sarebbe costato cinque volte che farla in Croazia. Stjepan si è sparato intere nottate a chiedere a polizia e governo di prorogarmi il visto che mi avevano fatto, che inizialmente sarebbe stato solo di tre mesi!
Poi vabbè, ci sono i chitarristi dei Warhorse che già conoscevo e con cui ho avuto modo di approfondire l’amicizia che già ci legava… Insomma, i croati sono un grande popolo e iniziano a mancarmi sia loro che i paesaggi, visto che ormai è qualche mese che sono tornato a girare per concerti. Nel periodo in cui sono rimasto a Zagabria ho scoperto inoltre delle cose che non sapevo, ad esempio questa cosa che fanno che si chiama “The Race for Life”, praticamente una specie di corsa per persone con difficoltà motorie che si fa alla stessa ora in tutto il mondo: ecco, mi piacerebbe prima o poi riuscire a partecipare, almeno camminando per l’ultimo chilometro!

DOPO TRENT’ANNI SEI TORNATO A UN CONCERTO DEGLI IRON MAIDEN E HAI INCONTRATO STEVE HARRIS: COME VANNO LE COSE FRA VOI?
– Sai che non voglio mai rispondere a questa domanda perché ognuno interpreta quello che vuole (ride ndr)?

BEH DAI, NON PUOI ASPETTARTI CHE NON TE LA FACCIA…
– Ok, basta che non facciate come i politici che poi raccontano quello che vogliono! Comunque la verità è che io e Steve siamo sempre stati in contatto in qualche modo grazie al West Ham, e quindi il nostro legame non si è mai sciolto del tutto, soprattutto negli ultimi tempi grazie a Whatsapp.
E poi sono stato a vedere gli Iron Maiden ed è stato veramente un bello show. Oltretutto mentre ero nel pubblico sono stato preso d’assalto dai fan e dai bambini! C’erano un mucchio di mocciosi che si volevano fare le foto con me! All’inizio volevo scappare e mi stavo anche incazzando, ma poi è stato troppo bello sentire il calore e l’affetto dei fan presenti e ho finito per commuovermi! Alla fine mi hanno fatto entrare nel backstage e sono stato un bel po’ a chiacchierare con Steve. Adesso spero di rivederlo il prima possibile, magari per il tour dei British Lion in Inghilterra, dove dovremmo incrociarci dopo che io sarò tornato dai miei concerti.

PASSIAMO AD ALTRO: RECENTEMENTE C’È STATA UNA POLEMICA PER LE TUE DICHIARAZIONI SULLA COVER DI “PHANTOM OF THE OPERA” FATTA DAI GHOST…
– Come al solito la stampa si inventa le peggio cose per fare qualche click in più! Lo ripeto, esattamente come l’avevo già ripetuto: non è che mi ha fatto schifo la cover, è che secondo me Tobias doveva cantare in un modo un po’ più aggressivo rispetto al solito stile della sua band.
Di cover dei primi due album degli Iron Maiden non ne ho sentite molte, ma poche comunque avevano l’attitudine giusta! E comunque Tobias è un grande e mi ha sempre supportato, poi non apprezzo molto i Ghost perché non sono il mio tipo di musica, ma so che la cover l’hanno fatta perché ci tenevano.

ORMAI HAI ALL’ATTIVO UNA QUANTITÀ STERMINATA DI PROGETTI MUSICALI DI VARIO TIPO, QUALI SONO QUELLI CHE RICORDI CON PIÙ AFFETTO?
– Ah beh sicuramente i Battlezone! Abbiamo anche provato più volte a riformarci nel corso degli anni ma, come si suol dire, “shit happened“. Mi sento ancora molto spesso con Graham Bath e anche con Cliff Evans, che nel 2024 dovrebbe fare un tour in America con i ‘suoi’ Tank (la band è al centro di beghe legali fra i due fondatori sull’utilizzo del nome ndr) che spero tanto di riuscire a vedere!
Un altro progetto che ricordo con affetto sono gli Slam, che erano sostanzialmente un gruppetto dell’East London che suonava solo nei pub e con i quali ho cantato qualche volta.

COSA NE PENSI DI QUESTA ONDATA DI NOSTALGIA PER GLI ANNI OTTANTA CHE C’È STATA NEGLI ULTIMI ANNI E CHE VA DALL’ELETTRONICA AL METAL FINO AI FILM?
– Beh, tutte le cose belle prima o poi ritornano sottoforma di nostalgia! Quando iniziai a scrivere musica non mi sarei mai immaginato che le cose che avrei composto avrebbero prima influenzato tutto il resto, e che poi sarebbero tornare sulla cresta dell’onda. Secondo me la differenza tra la musica degli anni Ottanta e quella che è venuta dopo è che avevamo tutto da inventare, potevamo andare veloci, pieni di adrenalina ed energia…
Le persone stanno un po’ riscoprendo questo lato animalesco della musica che c’era nella prima ondata della New Wave Of British Heavy Metal, basti pensare agli Angel Witch che sono tornati… E anche domani sarà una bella festa (alla prima giornata del Metalitalia.com Festival, con Venom e Unleashed tra gli altri).
Ma anche nell’elettronica: io sono un grande fan dei Depeche Mode e li considero la più grande band del mondo, ho sempre apprezzato Vince Clarke e il suo lavoro e li reputo dei visionari, infatti anche la loro musica è tornata sulla cresta dell’onda. Mi è spiaciuto molto non essere riuscito ad andare al loro concerto in Croazia.

ULTIMA DOMANDA: DOMANI SALIRAI SUL PALCO DEL NOSTRO FESTIVAL CON UNO SHOW DEDICATO AD “IRON MAIDEN” E “KILLERS”, PENSI CHE QUESTO REVIVAL DI CUI ABBIAMO PARLATO POSSA SERVIRE PER FAR RISCOPRIRE AI GIOVANI L’HEAVY METAL ANNI OTTANTA?
– Beh, spero proprio di si! Senza “Iron Maiden” non sarebbero esistiti i Metallica e così via… Penso che portare ancora in giro queste canzoni sia utile per ricordare anche ai giovani come tutto è iniziato, anche perché a volte sento dire da loro che il primo album degli Iron Maiden è “The Number Of The Beast” o “Powerslave”, e io mi infurio! Questa cosa non è rispettosa né per me né per Bruce Dickinson, a volte sbotto e mi metto a dire “Ma che cazzo stai dicendo?” (ride ndr).
Sono anche contento che in giro ci siano ancora i Judas Priest, e a tal proposito è stato bello aprire per il primo concerto dei KK’s Priest a Wolverhampton. Non parlavo con KK da credo almeno trent’anni! Per cui credo sia bello portare ancora in giro queste canzoni e questo modo di suonare, fare ancora tour dove noi che abbiamo dato vita a tutto riusciamo a incontrarci!

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