Per molti i Pelican sono sul viale del tramonto, intenti a esplorare uno stile che non pare offrire sbocchi e che, anzi, risulta di anno in anno sempre più involuto. Una triste fine, per una band che ha anticipato e poi contribuito all’esplosione del cosiddetto “post” metal e del metal strumentale in generale. Per i diretti interessati, è ovviamente tutt’altra storia: i Pelican si trovano esattamente nella loro dimensione ideale, lontani da pressioni di alcun tipo, liberi di creare musica e di viverla come meglio credono. una dimensione in cui concetti come popolarità, aspettative e successo hanno ben poca importanza. In effetti, basta scambiare quattro chiacchiere con il bassista Bryan Herweg, incontrato pochi mesi fa al Roadburn Festival in Olanda, per rendersi conto di avere davanti una persona assolutamente serena, che non pare ossessionata da alcunchè e che anzi è grata per quello che ha ottenuto e sta ottenendo con la propria arte. Difficile pronosticare quanto di significativo i Pelican riusciranno ancora a produrre in carriera, ma l’onestà alla base del progetto probabilmente non sarà mai motivo di discussione tra fan e addetti ai lavori.
NON SIETE UNA BAND CHE VENDE MILIONI DI COPIE: CREDO CHE DENARO E SUCCESSO NON SIANO CIÒ CHE VI SPINGE A SUONARE. QUAL È LO SPRONE DIETRO AI PELICAN, QUINDI?
“Le belle sensazioni che proviamo nel creare musica insieme. Il divertimento. Abbiamo smesso di suonare live molto spesso da qualche anno, non siamo ossessionati dal vendere copie o dal richiamare più persone possibile ai nostri concerti. Attorno al 2006 eravamo un nome di una certa importanza e non ti nascondo che abbiamo visto anche un certo ritorno economico allora, ma poi la situazione è cambiata. Certo, per alcuni aspetti sarebbe bello tornare a rivivere quei tempi, ma oggi suoniamo musica diversa e abbiamo altre priorità nella vita. Va bene così. Siamo qui soprattutto perchè vi è una grande amicizia alla base del progetto e perchè amiamo comporre e scambiarci idee. Quando smetteremo di trovare poco piacevole tutto questo processo, non credo che esiteremo a porre fine all’avventura Pelican”.
BUONA PARTE DEI FAN CONTINUA A VEDERE NEI VOSTRI PRIMI ALBUM ED EP IL MATERIALE MIGLIORE DEL REPERTORIO DEI PELICAN. TROVATE LA COSA FRUSTRANTE? È DIFFICILE ANDARE AVANTI QUANDO OGNI NUOVO CAPITOLO DISCOGRAFICO VIENE ACCOLTO DA UN RESPONSO MISTO?
“No, non direi. Ognuno ha i propri gusti e non ci si può fare nulla a riguardo. So bene che un lavoro come ‘Australasia’ ha un posto speciale nel cuore di chi ci segue dagli inizi, ma sono altrettanto sicuro del fatto che c’è gente che ha apprezzato notevolmente i nostri ultimi lavori. Se qualcuno è tanto innamorato di ‘Australasia’, può sempre prenderlo, ascoltarlo ogni giorno ed essere felice. Noi come musicisti abbiamo sempre sentito la necessità di provare cose nuove e, pur non volendo tradire le nostre origini, siamo ancora qui perchè in un modo o nell’altro ci siamo sempre messi in gioco. In pochi apprezzano i nostri sforzi? Può darsi, ma, riallacciandomi al discorso di prima, l’obiettivo primario dei Pelican è quello di stare bene tra noi e di divertirci. Se avessimo voluto flirtare con il grande pubblico e vendere di più avremmo suonato un altro genere di musica”.
SIETE IN ATTIVITÀ DA CIRCA UNA DOZZINA D’ANNI. COME SIETE CRESCIUTI COME BAND E COME PERSONE? COME VEDI TE STESSO OGGI RISPETTO AL 2000?
“La cosa buona dei Pelican è che non abbiamo mai perso contatto con la realtà, a mio modo di vedere. Siamo sempre stati molto concentrati sulla nostra musica, ma abbiamo anche avuto la forza e l’intelligenza di rimanere legati alle nostre origini, di non perdere di vista le vecchie amicizie e i vecchi valori. Sarà forse per il fatto che quando abbiamo iniziato a suonare la nostra sola aspirazione era quella di intrattenere le persone che ci circondavano. Non abbiamo mai avuto una mentalità da rock star o da grande band, quindi quando ci siamo ritrovati a pubblicare album per delle vere etichette discografiche e a suonare in giro per il mondo, ciò che abbiamo provato – e proviamo oggigiorno – è soltanto un profondo senso di gratitudine. Non diamo e non abbiamo mai dato nulla per scontato, non siamo mai stati persone ciniche e questo credo che sia la nostra forza. Non siamo cambiati nella mentalità, solo nel sound e ovviamente nell’aspetto. Il nostro nuovo EP è concettualmente basato proprio su questa riflessione”.
I PELICAN SI SONO FORMATI A CHICAGO, MA ORA PARTE DEL GRUPPO RISIEDE A LOS ANGELES. QUESTO CAMBIAMENTO STA INFLUENZANDO IL VOSTRO MODO DI COMPORRE E IL VOSTRO STILE?
“A livello stilistico, non direi. Le nuove influenze e il modo di suonare che puoi sentire negli ultimi lavori è semplicemente frutto della nostra crescita come persone e come musicisti. Con gli anni le persone cambiano e si approcciano alla musica in maniera diversa. Anche i loro gusti cambiano. A livello di composizione, sicuramente le cose sono cambiate un po’: oggi il processo è più lento e meno organico, anche perchè ognuno ha i suoi impegni e le proprie priorità nella vita. Ci ritroviamo di rado tutti insieme in sala prove: oggi componiamo scambiandoci file su internet. A volte impieghiamo del tempo prima di iniziare con una nuova canzone, perchè magari a nessuno viene in mente di avviare il processo, visto che non abbiamo più la routine di trovarci a suonare ogni settimana. Ma devo dire che, una volta che iniziamo, il tutto avviene in maniera rapida, perchè oggigiorno sappiamo esattamente cosa aspettarci gli uni dagli altri e sappiamo dove andare a mettere le mani per far sì che un brano funzioni e soddisfi tutti i membri della band”.
VI È UNA COSA CHE CERCATE ASSOLUTAMENTE DI EVITARE QUANDO COMPONETE NUOVA MUSICA OGGI?
“Direi che cerchiamo di evitare quei classici saliscendi ritmici ed emozionali che oggi rientrano tra i clichè della tipica band strumentale. In passato ne abbiamo fatto largo uso, ma oggi è una cosa talmente abusata che ci dà noia solo a pensarci. Sicuramente continuiamo a giocare con diversi tipi di trame, di volumi e con diversi livelli di distorsione, ma cerchiamo di affidarci a strutture più sciolte, meno legate a questi crescendo che, tutto sommato, oggi suonano un po’ scontati. Trovo che con il passare degli anni il nostro background metal e hardcore stia venendo sempre più fuori quando si tratta di assemblare i pezzi: strutturiamo i brani in maniera più diretta e semplice, senza perderci in troppi giri di parole”.
TROVI I PELICAN UNA METAL BAND?
“Per me i Pelican sono una rock band strumentale, che abbraccia varie influenze. Siamo una band che suona con sponteneità e che, in un modo o nell’altro, prova a omaggiare o a flirtare con la musica che ci ha ispirato durante un determinato processo creativo. Questa cambia ovviamente di volta in volta. In ogni caso, non ho nulla in contrario a essere definiti una metal band. L’unica descrizione che mi è sempre stata stretta è quella di ‘post’ band. Post cosa? Il rock, il metal o l’hardcore sono sempre qui, non si è andati oltre e non vi è alcuna necessità di farlo. Non ho mai capito questo termine”.
PRESENTACI ORA IL VOSTRO NUOVO EP…
“Il nostro nuovo EP si intitola ‘Ataraxia/Taraxis’. È stato registrato in diversi studi e con vari produttori. È frutto del processo di composizione di cui parlavo prima, il quale ora avviene prevalentemente tra Los Angeles e Chicago. Sanford Parker (Buried At Sea, Nachtmystium, Minsk, ndR) si è occupato del mixaggio e ci ha dato anche alcuni input su come sviluppare un paio di brani, anche se la maggior parte della visione creativa alla base dell’opera è frutto delle nostre menti. È un lavoro più aggressivo e cupo di ‘What We All Come To Need’, ma è diverso da qaulsiasi altra cosa pubblicata in precedenza”.
SANFORD PARKER È UN MUSICISTA E PRODUTTORE PIUTTOSTO RICHIESTO ULTIMAMENTE. PENSATE DI CONTINUARE A LAVORARE CON LUI?
“Lo conosciamo da tanti anni. Era già vicino alla band ai tempi di ‘Australasia’ e fu sul punto di unirsi a noi varie volte, prima come tastierista e poi come chitarrista. Alla fine però la cosa non si è mai concretizzata, perchè all’epoca avevamo visioni musicali completamente differenti. Non so dirti se collaboreremo con lui anche in futuro: è molto impegnato e noi non sappiamo ancora dove andremo a parare musicalmente…”.
VI È UN NUOVO FULL-LENGTH IN LAVORAZIONE?
“Sì, l’idea è di completare le bozze che abbiamo a casa e di scrivere altri brani una volta tornati da questo tour. Come ti dicevo, il processo di songwriting oggi è un po’ macchinoso, quindi è difficile avere un’idea precisa di quando i lavori verranno portati a termine. La nostra intenzione è quella di avere un nuovo album fuori nel 2013, ma chissà… magari impiegheremo più tempo del previsto”.
PROBABILMENTE QUANDO IL LAVORO SARÀ PRONTO DOVRETE DECIDERE COME RILASCIARLO. VEDI ANCORA UN FUTURO PER IL CD?
“Sì, almeno in quantità limitate, con un artwork e una confezione molto curati. Non vedo un futuro per il CD come qualcosa prodotta su larga scala. La gente non vuole più investire soldi in un semplice dischetto ottico: a quelle condizioni, si accontenta del digitale. È anche per questo motivo che il vinile sta tornando popolare: ascoltarlo è sempre un’esperienza speciale, anche solo per il fatto che se si vuole arrivare alla fine bisogna alzarsi e cambiare lato. Poi tenerlo in mano è sempre gratificante: pesa, ha l’artwork in bella evidenza… noi Pelican siamo grandi fan del vinile e del supporto fisico in generale, quindi di certo spingeremo per avere delle tirature in più formati possibile. Il digitale è utilissimo: noi lo usiamo appunto per comporre e scambiarci idee, ma il prodotto finito è un’altra cosa. Esige tutt’altra cornice”.