Quando cinque anni fa, proprio in questo periodo, la favola ‘speed’ dei Motörhead scriveva la sua parola fine nel modo più triste che tutti conosciamo, una domanda, smaltito il più che giustificato shock, nacque spontanea: cosa faranno ora i compagni di viaggio di Lemmy? Continueranno a suonare o si prenderanno una pausa sabbatica? Se da una parte Mikkey Dee si trasferì a casa Scorpions, dall’altra Phil Campbell ritornò alla propria di abitazione, riprendendo in mano un progetto lasciato a metà insieme ai tre figli, e al cantante Neil Starr. E’ qui che avvenne la trasformazione nei Phil Campbell And The Bastard Sons. E quella che inizialmente era più che altro una cover band delle teste di motore, col tempo è riuscita a scrollarsi di dosso il pesante fardello, acquistando sempre più una maggiore indipendenza sonora. Impreziositi dal tocco alle sei corde di papà Phil, i tre i Campbell, Tyla, Dane, Todd, oltre all”intruso’ Neil, hanno impacchettato due full-length in cui il rock più genuino s’incontra con blues e country, senza comunque dimenticare le lezioni impartite da quel gruppo in cui il vecchio della famiglia militò per ben trentadue anni. Dopo l'”Age Of Absurdity” del 2018, lo scorso novembre è arrivato sugli scaffali “We’re The Bastards”: un monito semplice e diretto. Ne abbiamo parlato con il bassista della band gallese, Tyla Campbell. Buona lettura.
CIAO TYLA E BENVENUTO SULLE PAGINE DI METALITALIA.COM. ALLORA, PARTIAMO SUBITO DAL VOSTRO NUOVO ALBUM, “WE’RE THE BASTARDS”, USCITO LO SCORSO 13 NOVEMBRE. CI PUOI SPIEGARE IL PERCHE’ DI QUESTO TITOLO? E’ SOLO UN RIFERIMENTO AL NOME DELLA VOSTRA BAND OPPURE C’E’ QUALCOS’ALTRO?
– Il tutto è nato nel momento in cui ci siamo a messi a scrivere il nuovo album, postando la notizia sui social. E qualcuno su Twitter ha commentato scrivendo che non vedeva l’ora di ascoltarlo, aggiungendo l’hashtag ‘#werebastards’. Era carino pensare che i nostri fan si sentissero ‘bastards’; un po’ come avvenuto anni fa con l’album “We’re Motörhead”: si creava una sorta di unica squadra tra band e fan. Abbiamo quindi pensato di dedicare proprio a loro l’album, intitolandolo “We’re The Bastards”, fregandocene altamente di inserire una parola che potesse avere poco successo dal punto di vista radiofonico.
CHI SI E’ PRESO CURA DELLE MUSICHE E DEI TESTI DEI VARI BRANI?
– Neil ha scritto tutti i testi mentre per le melodie ci ha pensato il resto della band, nessuno escluso. Una volta l’idea è nata da me, un’altra volta da Todd, oppure Dane o Phil: diciamo che ognuno è perfetto per le parti diverse di un brano. Abbiamo scritto l’album tra gennaio e febbraio, poco prima del lockdown: eravamo quindi tutti pronti per registrarlo quando è scoppiata la pandemia. Ci siamo arrangiati cercando di rispettare il più possibile il distanziamento sociale e di non essere mai più di due persone presenti nello stesso tempo: mentre Todd gestiva la produzione dell’album, in una stanza dello studio, nell’altra a turno si registrava. E’ stata quindi una registrazione un po’ diversa, ma credo che alla fine il risultato ottenuto sia stato più che buono.
QUALI SONO LE DIFFERENZE SOSTANZIALI TRA “WE’RE THE BASTARDS” ED IL PRECEDENTE “THE AGE OF ABSURDITY”?
– Innanzitutto credo che questo secondo album sia leggermente più vario rispetto al primo. Vi sono brani blues ed altri più tirati, più diretti come “Destroyed”, che tra l’altro non era nemmeno previsto. Avevamo infatti iniziato a registrare quando Phil se ne è uscito con questo riff e quindi ecco una nuova canzone. Penso inoltre che “The Age Of Absurdity” è stato un album forse ancora troppo ancorato alla figura di Phil, mentre invece questo “We’re The Bastards” rappresenta maggiormente la band, come una macchina perfettamente oliata.
IL PRIMO SINGOLO LANCIATO E’ STATO “SON OF A GUN” CON TANTO DI VIDEOCLIP: VISTI TUTTI I PROBLEMI DOVUTI AL DIVIETO DI ASSEMBRAMENTO, DOVE SI SONO SVOLTE LE REGISTRAZIONI?
– Ci siamo recati presso una fattoria a circa un’ora da dove viviamo: c’era una grande cortile vicino ad un fienile e lì abbiamo deciso di effettuare le registrazioni. Ricordo che quel giorno, sul posto siamo arrivati per ultimi io e mio padre; solo che abbiamo dovuto attendere quasi venti minuti perché un mucchio di mucche bloccava la strada: e così abbiamo atteso l’arrivo del proprietario affinché le spostasse e noi in auto a dire “Su, andate, dobbiamo registrare il video!”. E’ stato piuttosto interessante e soprattutto molto rock’n’roll.
UNA FAMIGLIA ALLARGATA CHE SI E’ TRASFIGURATA ANCHE SULLA COPERTINA DELL’ALBUM: CHI SI E’ OCCUPATO DELL’ARTWORK?
– Come per il precedente “The Age Of Absurdity” l’autore della copertina è stato Matt Riste il quale, anche questa volta, ha fatto un ottimo lavoro. L’idea era quella di tirare fuori dal cassetto un qualcosa che avesse l’aspetto medioevale, e così è stato. Ma non solo: oltre allo scudo con il nostro stemma posto sopra la band, vi sono tutti i nostri ritratti mentre ci divertiamo al bar. La cosa curiosa è che se giri il CD, o il vinile sul retro, noterai che siamo spariti e al nostro posto c’è semplicemente il caos: lo stemma si è rotto, un’ascia è precipitata sul tavolo, i bicchieri sono caduti, così le candele; un vero disordine.
PENSI QUINDI CHE CON IL NUOVO ALBUM, LA VOSTRA BAND ABBIA MATURATO UNA STRUTTURA PIU’ DEFINITA?
– Assolutamente, ed è quello che solitamente avviene in ogni band quando si suona insieme ormai da diverso tempo. E’ vero, siamo una famiglia, ma abbiamo sempre cercato di ragionare come una vera e propria band. Direi che soprattutto negli ultimi due anni abbiamo raggiunto una maggiore maturità artistica e il nuovo album credo rifletta bene questo concetto.
TI RITIENI SODDISFATTO QUINDI DI QUESTO SECONDO ALBUM? QUAL E’ IL BRANO CHE PREFERISCI?
– Sì, sono davvero contento del nostro secondo album. Sai, come spesso accade, il secondo album è più difficile rispetto al primo con il quale avevi rotto il ghiaccio, ma ora ti devi in un certo senso confermare. Quindi, prima di iniziare a scrivere il nuovo full-length, avevo una leggera preoccupazione: “saremo in grado di migliorare “The Age Of Absurdity”?” Dal momento in cui siamo entrati in studio, abbiamo iniziato ad incidere ed ascoltato i brani, ho capito che avremmo fatto un buonissimo disco e così è stato. La mia canzone preferita? Beh, diciamo che sono un po’ di parte, visto che il riff di basso è stata una mia idea: per cui dico la conclusiva “Waves”; un brano particolare, molto riflessivo. Mi piace moltissimo pure “Bite My Tongue” con il suo sound alla Led Zeppelin.
TYLA, A PROPOSITO DI VOI ‘BASTARDS’, FACCIAMO UN PICCOLO PASSO INDIETRO NEL TEMPO: QUANDO E’ NATA L’IDEA DI COSTRUIRE LA BAND? ALL’INIZIO, SE NON SBAGLIO, ERA SOLO UN PROGETTO ESTEMPORANEO?
– Tecnicamente il tutto è partito in occasione della festa per il trentesimo compleanno di Todd. Ci siamo dati appuntamento io, mio padre e Dane ed abbiamo suonato alcuni pezzi coinvolgendo, tra gli altri, proprio Neil Starr il quale si esibì in “Superstition” di Stevie Wonder. La cosa fu molto divertente e decidemmo di formare una cover band, nel mentre che Phil era ancora in attività con i Motörhead: la Phil Campbell’s All Starr Band. Abbiamo fatto qualche data, fino a quando, dopo la scomparsa di Lemmy, abbiamo ripreso in mano il progetto, con l’obiettivo di scrivere pezzi nostri: da qui il cambio del nome, il primissimo EP e con “The Age Of Absurdity” abbiamo definitivamente marchiato a fuoco il monicker dei Bastard Sons.
COME CI SI SENTE A SUONARE CON UN MUSICISTA CHE PER OLTRE TRENT’ANNI HA FATTO PARTE DI UNA BAND A DIR POCO STORICA? RIUSCITE A DISTINGUERE IL PHIL CAMPBELL MUSICISTA DAL PHIL CAMPBELL PADRE?
– Sì, in effetti è una situazione strana, anche perché non conosco un altro gruppo in cui un capo famiglia suoni insieme ai suoi tre figli. Da parte mia, ma credo che sia così anche per i miei fratelli, penso di vedere Phil solamente come nostro padre, e nello stesso tempo mi piace pensare che i fan lo vedano soprattutto come il chitarrista dei Motörhead e impazziscano per lui quando dal vivo riproponiamo qualche canzone della sua vecchia band. Ecco perché credo che anche in futuro suoneremo sempre qualche pezzo dei Motörhead: un grande onore tener vivo certi brani!
A PROPOSITO DI FRATELLI, CE LI PUOI DESCRIVERE? SEI LIBERO DI ESSERE IL MENO POSSIBILE POLITICALLY CORRECT!
– (Ride ndr) Ok! Diciamo che nelle varie discussioni, a Todd piace avere l’ultima parola e allora io cerco di essere in disaccordo con lui! Poi alla fine arriva Phil, il boss, e decide per tutti… Però sai, Todd è in sala di registrazione e allora vuole avere maggior voce in capitolo mentre Dane… E’ un batterista per cui non sai mai cosa dicono i batteristi (ride, ndr), non dirò molto di più a riguardo.
TYLA, OLTRE AI BASTARD SONS SAPPIAMO CHE HAI ANCHE ALTRI PROGETTI. CE NE VUOI PARLARE?
– Sì volentieri: dal 2012 suono anche la chitarra in un’altra band chiamata The People The Poet; o meglio faccio del gruppo 2009 nei primi tre anni avevamo un altro monicker. Facciamo un genere un po’ diverso dai Bastard Sons: alcuni ci affibiano sonorità simili a quelle di Bruce Springsteen. Il nostro cantante Leon Stanford è stato inoltre ospite nel disco solista di mio padre, cantando nel brano d’apertura “Rockin Chair”. Ci siamo esibiti nel 2015 al South by Southwest ad Austin in Texas, i nostri singoli sono passati sulla BBC Radio 1 e BBC Radio 2 ma sfortunatamente non siamo mai riusciti a varcare lo step successivo. Come me, anche lo stesso Lee ha in parallelo un progetto solista per il quale ho suonato sia il basso che la chitarra, cimentandomi in un ambiente più vicino al soul. Insomma, diciamo che spazio abbastanza
PREFERISCI SUONARE IL BASSO O LA CHITARRA?
– (Ci pensa) domanda difficile! Direi il basso: ha meno corde e così posso continuare a suonarlo e bere qualche birra in più (ride, ndr)!
AD UN CERTO PUNTO, DURANTE I VOSTRI SHOW, SCATTA UN RITUALE CHE TI VEDE PROTAGONISTA E CIOE’ L’INVITO, DIRETTO AL PUBBLICO, DI RIPETERE IL MOTTO “FUCK YOU TYLA CAMPBELL”. CI PUOI SPIEGARE DA DOVE NASCE QUESTA CURIOSA TRADIZIONE?
– E’ nato tutto per caso. Se non ricordo male avvenne durante uno show poco prima di fare “Ace Of Spades”: Neil contò fino a tre ma non aveva esattamente un piano e allora disse “Fuck You Tyla Campbell” alzando il dito medio. Nessuno pensava che la risposta del pubblico fosse così buona e allora abbiamo deciso di proseguire su questa strada per un anno o due. Ora lo facciamo meno ma spesso dipende dalla scaletta. Ad essere sincero la cosa era comunque molto divertente, per cui la prossima volta che ci esibiremo potrebbe essere che lo inseriremo nuovamente tra un brano e l’altro.
A PROPOSITO, QUALI SONO I VOSTRI PIANI FUTURI?
– Tutto ciò che è stato pianificato nel 2020 è stato cancellato o posticipato al prossimo anno. In teoria avremmo qualche data a giugno all’interno di alcuni festival. Non ci resta che incrociare le dita e vedere che accade: l’augurio ovviamente è quello di poter tornare a salire su un palco.
DOMANDA EXTRAMUSICALE: SAPPIAMO CHE SEI UN APPASSIONATO DEL FOOTBALL, GIUSTO? LO PRATICHI ANCHE?
– Sì, il calcio mi piace proprio. Tifo il Manchester United, ovviamente il Galles e pure una squadra del vostro paese: l’Inter! Ho alcuni amici italiani coi quali condivido questa passione. Gioco anche, ma sono un colpo fallito ed allora mi piazzano sempre in difesa!
ULTIMA DOMANDA TYLA: CREDO IL MONDO MOTÖRHEAD ABBIA COMUNQUE CARATTERIZZATO LA TUA INFANZIA E LA TUA ADOLESCENZA. PER LA LEGGE DEI GRANDI NUMERI: NON SEI MAI STATO COLPITO DA UNA SORTA DI ASSUEFAZIONE?
– No, assolutamente: io amo i Motörhead. Avevo quattro o cinque anni quando mia mamma mi ha portato a vedere i primi concerti: ora non ricordo se si trattava del tour di “Overnight Sensation” oppure di “Sacrifice”, ma ricordo benissimo dell’energia che già allora mi arrivava, nonostante fossi piccolo. E’ stato stupendo e lo è diventato ancor di più quando sono cresciuto ed ho potuto partecipare agli show nelle prime file insieme agli amici in quel di Cardiff: mia madre ci controllava dal backstage per vedere se tutto filava liscio. Impossibile non amare i Motörhead e se devo scegliere un album che mi ha colpito più di tutti dico “Inferno”, semplicemente mostruoso!