I Postvorta si riaffacciano sul mercato ponendo la parola fine ad una trilogia di dischi iniziata ormai cinque anni fa, e lo fanno nella maniera più coraggiosa e intraprendente possibile, consegnando a tutti gli amanti di sonorità ‘post’ un’opera-fiume in cui perdersi letteralmente per mesi. In effetti, con cinque brani per (quasi) novanta minuti di musica, “Porrima” non si configura esattamente come il più semplice e abbordabile degli ascolti, ma è altresì vero che la potenza delle sue lunghe composizioni – unita all’esperienza maturata dal gruppo romagnolo – non dovrebbe essere sottovalutata da chi frequenta abitualmente certi ambienti o vive con i santini di Isis e Cult Of Luna nel portafogli. Abbiamo parlato della genesi del disco, del suo concept e di altri aspetti riguardanti la band con Andrea Fioravanti, chitarrista e principale compositore dei Nostri…
SAPPIAMO CHE IL PROCESSO DI LAVORAZIONE DI “PORRIMA” È STATO MOLTO LUNGO E COMPLICATO. VI ANDREBBE DI RIPERCORRERNE INSIEME LE FASI?
– Ciao ragazzi, chi vi risponde (molto volentieri) è Andrea Fioravanti. Sì, il processo di scrittura è stato molto pesante. Anche se a grandi linee avevamo già il progetto in mente, abbiamo avuto momenti di sconforto generale, dai quali ne siamo venuti fuori solamente grazie al forte lavoro di squadra. Questa volta abbiamo contribuito tutti alla scrittura, cosa che nei dischi precedenti non era stata possibile a causa di certi elementi non proprio in linea con le idee o la concezione di musica. La ciliegina sulla torta è stata però la bizzarra idea del nostro vecchio batterista di mollarci a disco finito, un paio di mesi prima di entrare in studio. Cosa che a pensarci ora, in realtà, è stata una grande fortuna. Con lui questo album sarebbe stato completamente diverso, e non è una cosa che vorremmo. A questo si è aggiunta anche la perdita della nostra sala prove storica, e con essa il fattore aggregazione. Noi cinque rimasti abbiamo rischiato di diventare degli estranei, con un lavoro così importante a metà. Alla batteria fortunatamente si è aggiunto Matteo, già dietro le pelli dei The End Of Six Thousand Years. Ci siamo quindi rimboccati le maniche e abbiamo ripreso in mano il lavoro, ci siamo rimessi a lavorare sulla pre-produzione, mandando il materiale a Matteo in remoto a causa della lunga distanza che ci separa (lui è di Novara, noi di Ravenna). Tutto ciò ha fatto slittare di un po’ di mesi il lavoro, ma ora posso dire che non cambierei una virgola e siamo tutti più che soddisfatti del risultato finale.
COM’È NATA L’IDEA DI DARE A “PORRIMA” UN TAGLIO COSÌ IMPONENTE? VE LO ERAVATE PREPOSTO COME OBIETTIVO O SI È SVILUPPATO SPONTANEAMENTE IN QUESTO MODO?
– È stato un naturale evolversi del nostro stile, mi verrebbe da dire. Come al solito abbiamo cercato di non scendere a compromessi o di seguire i cliché imposti dal genere predominante della nostra musica, che forse è ancora il post-metal. Non abbiamo mai pensato, per esempio, che un pezzo di ventuno minuti potesse annoiare la gente; siamo sempre e comunque noi a dover essere contenti di quello che scriviamo. Se per imponente intendi l’essere un lavoro massiccio, sì: abbiamo tre chitarre accordate in la, sature di distorsioni e di fuzz… è facile essere imponenti così (ride, ndR). Scherzi a parte, il disco è sicuramente il lavoro più dilatato che abbiamo mai scritto.
A QUESTO PUNTO, È LECITO CHIEDERSI DA COSA PARTITE AL MOMENTO DI COMPORRE: UN RIFF, UNA RITMICA, UN’IMMAGINE MENTALE…
– Ti parlo per quel che mi riguarda, e ti dico che il 90% dei pezzi che scrivo prima me li immagino. Li scrivo nella mia testa e poi li porto sulla chitarra. Come ti dicevo prima, questo disco è stato un lavoro a dodici mani. Tutti hanno dato tanto. Abbiamo lavorato sugli arrangiamenti quasi in modo maniacale. Anche le elettroniche hanno richiesto un lavoro enorme. Io e Moh ci siamo divisi il lavoro, e il nostro affiatamento è tangibile. Quindi, per rispondere alla tua domanda, ti dico una serie di immagini e di colori.
SE NON ERRO, “PORRIMA” È L’ULTIMO TASSELLO DI UNA TRILOGIA SUL CICLO DELLA NASCITA INAUGURATA DA “ÆGERIA” E PROSEGUITA DA “CARMENTIS”. SU QUALI ASPETTI VI SIETE CONCENTRATI QUESTA VOLTA NEI TESTI?
– Il concept di “Porrima” (che come giustamente dicevi è l’ultimo tassello di una trilogia) è sulle cinque fasi del lutto: negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione. I testi sono come al solito criptici e introspettivi. Lasciamo all’ascoltatore il duro compito di farli suoi insieme alla musica. Il finale del disco può diventare un lieto fine o il materializzarsi del peggiore incubo, ad esempio. All’interno del disco ci sono decine di riferimenti a date, orari, ecc. ‘Numerologia privata’, la chiamo, perché nessuno la coglierà ma noi sappiamo che c’è. Da un lato, ammetto che non ne potevo più di essere legato a questo argomento; è stato come mantenere aperta una ferita per cinque anni. Ora, a trilogia finita, volteremo finalmente pagina, così da trattare non dico argomenti allegri, ma almeno non così dolorosi. Mi piacerebbe fare un disco ispirato ai mangiatori di Loto.
LA RESA SONORA È COME AL SOLITO DI PRIMO LIVELLO. OLTRE CHE CON RICCARDO PASINI – CON IL QUALE SIETE GIÀ ALLA QUARTA COLLABORAZIONE – COM’È STATO LAVORARE CON MAGNUS LINDBERG DEI CULT OF LUNA?
– Riccardo Pasini è il nostro produttore storico. Quasi il settimo elemento della band. Credo che in questo settore sia difficile trovare un suo pari in Italia, e credo sia solo questione di tempo per parlare di Europa. Musicalmente ci conosce forse più di qualunque altra persona al di fuori della band. Sa cosa vogliamo e sa come farcelo ottenere. Noi in studio siamo abbastanza degli scappati di casa; non che si arrivi impreparati, ma abbiamo spesso bisogno di uno che ci metta in riga. Vuoi perché ci si conosce da una vita, vuoi perché comunque si è tutti lì nella stessa stanza per lo stesso motivo e per cercare lo stesso risultato, quando siamo in studio da lui è sempre un alternarsi di risate e lavoro. Senza nulla togliere ad altri produttori, che comunque a grandi linee piacciono e hanno fatto molte cose buone, io molto spesso mi chiedo perché lui non venga scelto a priori. Orgoglio romagnolo (ride, ndR). Per quel che riguarda Magnus, invece, è stato scelto per diversi fattori. In primis la qualità del lavoro. Eravamo consci che poteva essere il non plus ultra per una produzione con i controcazzi. I suoi lavori ci piacciono tanto, e sentendo poco prima il lavoro fatto con i ragazzi dei Riah mi sono convinto a contattarlo. Un altro motivo è stato sicuramente a livello di curriculum. Un lavoro curato da lui non può che essere un traguardo importante per la band. Tra l’altro, ho avuto modo di conoscerlo di persona e si è rivelato una persona squisita; oltre ad interessarsi molto della nostra opinione ci ha fatto molti complimenti. Una botta di autostima notevole. Detto ciò, non saremmo stati per nulla scontenti se Riccardo avesse curato il master. Anzi, anche nel mastering non ha niente da invidiare a nessuno.
FIN DOVE PENSATE DI POTERVI SPINGERE COME ARTISTI? “PORRIMA” HA ALZATO DI MOLTO L’ASTICELLA DEL VOSTRO SONGWRITING; VI SPAVENTA L’IDEA DI REALIZZARE UN SUCCESSORE ALL’ALTEZZA?
– Ti ringrazio per le parole, che prendo come un complimento. Sarò onesto, almeno per quel che mi riguarda: al momento sono completamente prosciugato in fatto di idee. Da maggio io e Seppia abbiamo composto una mezza canzone. Quindi i tempi saranno lunghi, o almeno così sembra; la paura di fare qualcosa che non ci soddisfi c’era, c’è e ci sarà sempre. Diciamo che avendo terminato la trilogia ci sentiamo più liberi di sperimentare, anche se di base lo abbiamo sempre fatto. Personalmente mi piacerebbe fare un album con voce interamente femminile e magari con molto più spazio per l’elettronica, con meno chitarre insomma, anche se non credo andrà così. Rido comunque all’idea di vedere puristi del genere storcere il naso. L’importante è cercare di non avere limiti, e penso che la padronanza dello strumento che abbiamo acquisito nel corso degli anni ci aiuti a renderlo possibile.
LA MUSICA DEI POSTVORTA HA SEMPRE AVUTO UNA FORTE COMPONENTE CINEMATOGRAFICA. QUALI SONO LE SOUNDTRACK E I COMPOSITORI CHE PIÙ VI HANNO INFLUENZATO?
– Sì, sicuramente la componente cinematografica c’è e si sente. A livello di compositori, mi piacciono molto Clint Mansell, Gioacchino, Reznor, Murphy… per citarne alcuni. Proprio di Murphy, nell’album “Aegeria”, abbiamo ricomposto il celebre brano “In the House, in a Heartbeat” dalla soundtrack di “28 Days Later”. Tramite la sua etichetta ed il suo manager, il brano è arrivato alle sue orecchie e ci ha coperto di complimenti. È stata una soddisfazione enorme. Anche il progetto parallelo di Moh, Pie Are Square, ha parecchi richiami al mondo delle colonne sonore. Personalmente mi sto togliendo un sacco di voglie avendo iniziato a lavorare nel campo delle musiche per spettacoli teatrali, documentari e film. È quello che vorrei fare nella vita. Ho appena iniziato, ma sono convinto di stare lavorando bene e di dover continuare su questa strada. E, come ti dicevo prima, mi piace l’idea che i Postvorta possano dare più spazio a queste contaminazioni in futuro.
CHE DIFFICOLTÀ COMPORTA SUONARE UN GENERE COME IL VOSTRO IN ITALIA?
– Se il metal in Italia è considerato ancora di nicchia, puoi immaginare che il nostro sia una sotto-cultura di questo genere. È ancora praticamente sconosciuto alle ‘masse’. Parliamoci chiaro: la soglia di attenzione è già molto bassa… per sorbirti pezzi da venti minuti ti deve proprio piacere quel genere. Cosa che non sempre si riscontra nel pubblico X. Se prendi uno come me, che va a vedere concerti mirati, cioè mai ‘tanto per’, la line-up è quasi sempre di mio gradimento, quindi sono a posto e so a cosa vado incontro, ma in caso contrario rischi (da musicista) di mangiare tanta merda. Aggiungi che siamo in sei, logisticamente parlando è tutto più impegnativo che per un duo (grande moda degli ultimi anni), con il quale puoi suonare anche nel cesso di casa (cosa che succede). Mettici che gli agganci non abbondano (sì, le conoscenze fanno la differenza) e che i Postvorta in Italia continuano a venire snobbati, trattati come la peggio merda, quelli di serie Z… per fortuna le richieste arrivano da altri posti, che però non sempre sono fattibili per diversi fattori. Detto ciò, le nostre soddisfazioni ce le siamo comunque tolte.
COME SIETE ENTRATI IN CONTATTO CON QUESTO TIPO DI SONORITÀ?
– Abbiamo background simili ma diversi. Nel mio caso mi sono affacciato a questo genere con le sonorità più soft dei Sigur Ros, poi Isis, Callisto, Cult Of Luna e Neurosis.
‘POST’ È UN TERMINE CHE ORMAI SIGNIFICA TUTTO E NIENTE, RAGGRUPPANDO BAND SPESSO DIVERSISSIME TRA LORO PER PROPOSTA E ATTITUDINE. VOI CHE CONNOTAZIONE GLI DATE?
– Bella domanda che contiene già una mezza verità. Lo vedo un po’ come il ripetersi di quello che veniva etichettato come ‘alternative’. In questo calderone saturo di proposte si cerca di stare a galla come si può, e questo credo comporti anche il cercare di avere i piedi in più scarpe possibili. Io personalmente con tutte queste etichette mi sento tagliato fuori. Non sono al passo con i tempi e faccio veramente fatica a distinguere cosa sia cosa, a meno che non si tratti di differenze palesi. Diciamo che, per come lo vedo io, ‘post’ vuol dire pezzi lunghi, articolati, dove si alternano momenti con chitarre in clean e momenti con chitarre distorte, dove i testi e i temi trattati rimangono molto più introspettivi rispetto ad altri generi. Pur non essendo troppo a favore delle etichette, mi vien da dire che quando una band fa del metal-core becero, ci mette un clean da due minuti e si professa post-metal, beh… questa cosa mi fa girare le palle.
CHE PROGRAMMI AVETE PER IL FUTURO? PENSATE DI PROMUOVERE “PORRIMA” DAL VIVO?
– Sì, sicuramente. Cercheremo di fare più date possibili. Speriamo di raggiungere un accordo con qualche booking agency, così da ricevere una mano. Come ti dicevo le richieste dall’estero non mancano mai. Quindi vedremo di fare qualcosa.
IN ULTIMO, CI SONO NOVITÀ SUL FRONTE THE END OF SIX THOUSAND YEARS?
– Non so proprio cosa rispondere, mi spiace.