POSTVORTA – Morte e rinascita

Pubblicato il 15/03/2016 da

Dopo averne elogiato le capacità in sede di recensione, Metalitalia.com è lieta di ospitare nuovamente sulle sue pagine, questa volta per un breve scambio di battute via mail, i Postvorta, band-simbolo della rinascita del genere “post” metal nella nostra penisola. Muovendosi tra ISIS, Cult of Luna e Buried Inside, la formazione guidata dal chitarrista Andrea Fioravanti ha dato prova di un talento eccezionale nell’imbastire trame tumultuose e drammatiche, sfidando a colpi di visionarietà e puro e semplice songwriting nomi stranieri ben più blasonati, al punto da spingerci a contattarla per saperne di più sulla sua storia, sulla sua musica e sui suoi piani per il futuro… 

Postvorta - Aegeria - 2015

CIAO RAGAZZI, BENVENUTI SU METALITALIA.COM. DATO CHE QUESTA E’ LA VOSTRA PRIMA INTERVISTA PER IL NOSTRO SITO, VI ANDREBBE DI PRESENTARE LA BAND AI LETTORI? COME, QUANDO E PERCHE’ NASCONO I POSTVORTA?
“I Postvorta nascono nel 2009 dalle ceneri dei Black Sound Empire, band con due dischi all’attivo di cui uno prodotto da Andrew Schneider (Rosetta,Callisto, Unsane, ecc.). Dopo vari cambi siamo rimasti stabili fino a luglio 2015, dal quel momento la line-up (compresa quella di ‘Aegeria’) è totalmente cambiata. Il rispetto tra di noi era venuto a mancare, sassolini erano diventati macigni, come musicisti non eravamo allo stesso passo, sulla stessa lunghezza d’onda già da troppo tempo. Mi ero stufato e vivevo male la cosa: loro mi davano del despota, quando io vivevo (e vivo) 24 ore al giorno in funzione dei Postvorta… il clima e il rispetto reciproco è andato a puttane e lo scontro è stato inevitabile. Per Nicola (voce e chitarra) è stato diverso, lui è sempre stato presente, cercando di farmi ragionare fino alla fine, anche quando il danno era fatto. E’ l’unico che mi manca sul palco e fuori, la sua entrata è stata una manna, e il suo contributo è stato vitale ed enorme e non smetterò mai di ringraziarlo, gli devo un bel 50% della riuscita di questi due dischi. Purtroppo tutto questo sangue amaro lo ha portato a voler abbandonare il progetto, e per questo ho attraversato un momento difficile, perché è realmente l’unico rimpianto che ho. Spero un giorno cambi idea, spero di averlo di nuovo con me nel prossimo disco, per lui la porta è sempre aperta, d’altro canto sono contentissimo se con i The End Of Sixthousand Years ritroverà la sua felicità e voglia di suonare, e non vedo l’ora che quei ragazzacci sfornino un nuovo capolavoro”.

“BECKONING LIGHT WE WILL SET OURSELVES ON FIRE” – IL VOSTRO DEBUT ALBUM USCITO ORMAI UN PAIO DI ANNI FA – E’ STATO IL CLASSICO FULMINE A CIEL SERENO, ACCOLTO BENISSIMO SIA DAL PUBBLICO CHE DALLA CRITICA. VI ASPETTAVATE UN SIMILE RESPONSO?
“Sarò onesto, sapevo che ‘Beckoning…’ era un bel disco. Non immaginavo però riscontrasse tutto questo ‘successo’: ha venduto e sta vendendo bene, e se fosse uscito in vinile… ciao! Le recensioni sono state a dir poco incredibili ed è stato inserito in molte liste come uno tra i migliori album del 2014 e tra i migliori debut album per quel che riguarda il post-metal. Ho ricevuto anche complimenti da nomi illustri come Aaron Harris e Michael Gallagher degli Isis e puoi immaginare quanto mi abbia gasato questa cosa. E’ stato un album difficile in fase di scrittura e registrazione, più di quello che possa sembrare, e il duro lavoro ha portato frutti. Anche ‘Aegeria’ sta ricevendo ottimi consensi. Col senno di poi, però, tutto questo buzz mediatico non ha portato a niente dal lato pratico delle cose, nel senso che i Postvorta continuano ad essere praticamente ignorati dai promoters italiani, e facciamo una fatica boia a trovare scenari adatti a noi, complice il fatto di non avere amicizie a cui chiedere ‘favori’ importanti. Onestamente, non reputo la mia musica di minore spessore a confronto delle band blasonate che girano oggi, ma la vita è una giungla ed evidentemente io la vivo da preda, non da cacciatore. Ho dovuto rifiutare molte richieste dall’estero in passato per colpa di quelle zavorre che mi portavo dietro, ora per fortuna quelle richieste ci sono ancora e le cose sono diverse, con gli attuali elementi siamo propensi a viaggiare di più”.

LA VOSTRA ULTIMA PUBBLICAZIONE E’ INVECE UN EP, “ÆGERIA”. SAPPIAMO CHE IL DISCO E’ IL PRIMO TASSELLO DI UNA TRILOGIA DEDICATA AL CICLO DELLA NASCITA, DA DOVE HA ORIGINE QUESTO CONCEPT? APPROFONDIAMO MEGLIO L’ARGOMENTO…
“Senza entrare nei dettagli, ti dico solo che il rapporto che ho avuto negli ultimi tempi con il discorso vita/nascita è stato doloroso e ho capito sulla mia pelle quanto una nascita possa essere qualcosa di devastante, prima ancora che meravigliosa. Uno pensa sempre al bene, non pensa mai che qualcosa possa andare storto. Alcuni dolori sono introvabili in altri aspetti della vita, sono unici e distruttivi. Ti possono portare ad una lenta pazzia, e se non hai punti saldi a cui aggrapparti è buio, buio completo, ed ecco che la vita, la nascita, si trasforma in morte e il voler condividere la felicità si tramuta in una richiesta d’aiuto. Con questa trilogia si cerca di ripercorrere questo cammino, senza venirne a capo, senza sapere come sarà la fine. Forse, alla fine del terzo capitolo, ognuno la penserà come gli pare in base alla emozioni che la musica gli avrà dato, ma solo io saprò la verità”.

IN “BECKONING…” L’EFFETTISTICA ELETTRONICA GIOCAVA UN RUOLO FONDAMENTALE, MENTRE IN “ÆGERIA” IL SUO APPORTO E’ STATO NOTEVOLMENTE RIDIMENSIONATO. IL VOSTRO SUONO E’ ORA PIU’ CRUDO, ORGANICO E VISCERALE, SIETE D’ACCORDO? E’ STATA UNA SCELTA DETTATA DA ESIGENZE DI CONCEPT?
“No, in realtà è stata una scelta spontanea dettata dalla naturale composizione dei pezzi. Non ho sentito la necessità di mettere niente di più che un Fender Rhodes. Complice anche il tempo a disposizione in studio, a questo giro non abbiamo potuto sperimentare come su ‘Beckoning…’. Ti posso anticipare però che in ‘Carmentis’ ci saranno dei violini, delle campane tibetane, una tromba, un synth modulare e altri strumenti meno convenzionali. E forse, nel terzo capitolo della trilogia, le chitarre saranno addirittura sostituite dai synth”.

IN “UTERUS” FANNO LA LORO COMPARSA DEI BLAST-BEAT E UNO SCREAMING DI CHIARA DERIVAZIONE BLACK METAL, PENSATE CHE IN FUTURO “ANNERIRETE” ANCORA LA VOSTRA PROPOSTA CON SOLUZIONI SIMILI?
“Le parti in blast sono venute fuori per caso, quasi per scherzo. Sono stato indeciso se metterle fino a poco prima di entrare in studio. Alla fine non sono parte integrante di quella canzone, nel senso che sono facilmente estrapolabili durante l’ascolto: non sono quelle parti che ti rimangono in testa, quella canzone è tutta nell’interpretazione vocale. Il modo di cantare di Nicola raggiunge l’apice e mi fa sognare: l’ho visto vivere quel pezzo in modo incredibile, passionale, poi – parlando onestamente – Nicola ha cantato, e canta, post-black metal da una vita con i The End Of Sixthousand Years (migliore band italiana nel genere, a mio parere) ed il risultato si sente. Questo pezzo si deve ricordare per questo, per la sua magistrale interpretazione, non per due sfuriate blast-beat. Detto questo, no, non sentirete più parti di questo tipo nei pezzi dei Postvorta”.

COME VI E’ VENUTA L’IDEA DI REINTERPRETARE IL BRANO “IN THE HOUSE, IN A HEARTBEAT” DI JOHN MURPHY, ORIGINARIAMENTE INCLUSO NELLA COLONNA SONORA DEL FILM “28 GIORNI DOPO”?
“Io amo alla follia quella OST e reputo John tra i migliori compositori di colonne sonore in circolazione assieme a Reznor e Mansell. Ho pensato che la canzone calzasse a pennello e ho cercato di non stravolgerla troppo, come già fatto con ‘Angel’ dei Massive Attack nel disco precedente. Pensa che ho ricevuto i complimenti dallo stesso Murphy tramite il suo manager, dicendo che la nostra versione era bellissima, con arrangiamenti incredibili; puoi immaginare quanto sia stato contento! Ho voluto metterla sotto forma di brano post-rock anche per scelta ‘commerciale’. Sì, insomma… un brano cosi può essere capito anche da chi non è avvezzo a sonorità come le nostre. Ormai una cosa che ho riscontrato nel tempo è che la musica dei Postvorta risulta troppo leggera per chi ascolta metal e troppo pesante per chi non lo ascolta”.

IL DISCO ESCE PER L’ITALIANA DROWN WITHIN, SCOPRITRICE DI DIVERSI TALENTI NEGLI ULTIMI ANNI. COME SIETE ARRIVATI AD UN ACCORDO CON LORO? SODDISFATTI DELLA VOSTRA SCELTA?
“Con Chris e Gaetano ho rapporti da anni e sono persone che rispetto molto sia musicalmente con i loro progetti, che personalmente per tutto l’impegno che mettono in quello che fanno. E sì, sono soddisfatto. Avere una label indipendente al giorno d’oggi è uno sbattimento incredibile, e molto spesso la passione e l’unica cosa che ti fa andare avanti. Loro, con pazienza, stanno facendo uscire ottimi lavori, diventando una realtà importante nel panorama. Anch’io ho messo su una sorta di etichetta, la 22 Dicembre Records, ma con essa farò uscire solo cose che riguardano me e le mie attività, come i CD e i vinili dei Postvorta e dei La Cenere”.

CHE OPINIONE AVETE DELL’ATTUALE SCENA “POST” METAL? INCLUDERE TRA LE PROPRIE INFLUENZE ISIS E NEUROSIS SEMBRA ORMAI DIVENTATA UNA MODA…
“Eh, in un certo senso hai ragione, ma come si fa a non includere questi due capostipiti? Chiunque suoni questo genere penso abbia ‘mangiato un po’ nei loro piatti’, anche se, ovviamente, loro rimangono anni luci distanti da chiunque. Personalmente preferisco gli Isis (e credo si senta anche): penso che Aaron Turner sia una sorta di re Mida, un faro da seguire nel percorso musicale. Se ti devo dire la mia, anche se odio le etichette, vedo (e sento) gente molto confusa in giro, gente che usa la dicitura ‘post’ con troppa facilità. Fare ‘post’ non significa fare un arpeggio con il suono clean in un pezzo da tre minuti, per farti un esempio. Cioè, che continuino a fare la loro merda di metalcore e che non rompano i coglioni (ride, ndR)! Personalmente, canzoni da meno di 10 minuti non le riesco più né a memorizzare, né ad assimilare. Soprattutto quando scrivo, mi è naturale pensare ai pezzi come ad un labirinto sonoro, dove devi sudare per arrivare alla fine. Dimmi, se tu vedessi e trovassi subito l’uscita, che gusto ci sarebbe?”.

CON IL SENNO DI POI, QUAL E’ IL GRUPPO CHE PIU’ DI OGNI ALTRO VI HA INFLUENZATO E SPINTO A SUONARE QUESTO GENERE DI MUSICA?
“Bella domanda… mi verrebbe da dire i primi Pink Floyd, mentre in tempi recenti sicuramente gli Isis, anche se ascolto veramente di tutto e ho un mucchio di influenze. Fortunatamente, ho un bagaglio culturale enorme per quanto concerne la musica e sono conscio di essere cresciuto forse nell’ultimo periodo dove era possibile ascoltare musica buona e vera. Adesso mi fa quasi tutto schifo”.

QUALI SONO I VOSTRI PIANI PER IL FUTURO?
“Sono in fase conclusiva per la stampa in CD e vinile di ‘Aegeria’. Farò una tiratura abbastanza limitata con copie colorate e custom packaging. Poi sono in piena fase creativa e sto scrivendo assieme ai ragazzi il prossimo disco, che si intitolerà ‘Carmentis’: conto di entrare in studio a dicembre 2016, sotto la guida di Lorenzo Stecconi (Lento, Amenra, ecc.). Sarà un disco molto strano, molto distorto, con grandi spazi per la sperimentazione. E poi spero di suonare live il più possibile”.

L’INTERVISTA E’ FINITA, UN ULTIMO MESSAGGIO?
“Grazie per il tuo tempo, e per il tempo di chi leggerà. Spero di vederci presto”.

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