L’ottavo lavoro in studio dei teutonici Powerwolf “Call Of The Wild” è ormai in dirittura d’arrivo sul mercato, e le folte schiere di fedeli sono già da tempo in attesa di prendere parte alla cosiddetta messa metal, seppur solo dagli impianti audio casalinghi e/o portatili, per il momento. Vi è infatti una più che discreta fame di musica live in giro, e considerando la peculiare ferocia e popolarità dei lupi clericali per antonomasia, non vi è dubbio che il loro sia uno dei ritorni più attesi in assoluto. Nel frattempo che, si spera, la situazione mondiale legata alla pandemia ancora in corso devi in territori decisamente più vivibili e meno vincolanti, noi vogliamo approfittare delle aspettative generali per metterci in contatto proprio con l’ormai inarrestabile formazione di Saarbrucken, e in particolare col simpatico tastierista Falk Maria Schlegel, con cui abbiamo già avuto modo di intrattenere piacevoli conversazioni in passato. Dal momento che, come recita il proverbio, ‘squadra che vince non si cambia’, ci auguriamo che questa chiacchierata possa risultare ricca di spunti interessanti per ogni lettore affezionato o anche solo attratto da una delle formazioni power metal più popolari del momento, in un periodo in cui inevitabilmente quest’ultima sarà sulla bocca di molti grazie alla nuova produzione in uscita. Buona lettura!
CARO FALK MARIA, IL SOUND DEI POWERWOLF È ORMAI QUALCOSA DI INCOFONDIBILE ED ISTITUZIONALE. MA NEL CASO DEL NUOVO ALBUM, QUALI SONO I MOMENTI CHE TI SENTIRESTI PERSONALMENTE DI ELEVARE?
– Ciao a tutti! Allora, direi di partire naturalmente con la opener “Faster Than The Flame”, nella quale avevamo intenzione di mettere sin da subito in mostra dei Powerwolf aggressivi, veloci e carichi, come ben si addice alla prima traccia di un album in studio, nonché opener di quello che sarà il nostro prossimo tour mondiale, coi vari effetti scenici abbinati per fomentare il pubblico sin dai primi minuti. Chiaramente si tratta di un pezzo nel pieno della nostra tradizione, mentre invece tra quelli più particolari sono particolarmente affezionato a “Blood For Blood (Faoladh)”, sia per una questione legata al sound, che qui appare contaminato con influenze di musica celtica, sia per la storia che vuole raccontare: i lupi mannari di Ossory non sono infatti un mito noto a tutti, ma quelli che ne parlano spesso li associano a figure puramente malvagie, quando sarebbe più corretto vederli come delle creature al servizio del loro re, soprattutto per quanto riguarda il protagonista Laignech Faelad. Per quanto si tratti di un brano piuttosto differente rispetto a quanto generalmente riscontrabile nella nostra categoria, ci tengo a precisare che all’album abbiamo voluto approcciarci senza l’idea di snaturare troppo il nostro sound: come tu stesso hai riconosciuto, oramai i Powerwolf sono piuttosto immediati da riconoscere, e per noi questo è un traguardo di cui andare fieri e non da andare a modificare ad ogni costo. Ci piace giocare e sperimentare qua e là con la nostra musica, ma è ovvio che da noi non sentirai mai un pezzo progressive o death metal; dopotutto, se pensiamo ai grandi come Iron Maiden, Metallica e quant’altro, uno dei loro meriti è proprio quello di aver trovato un modo di suonare che fosse personale.
UN DETTAGLIO INTERESSANTE DELL’ALBUM CONSISTE NEL FATTO CHE LO AVETE REGISTRATO IN DUE VERSIONI, DI CUI UNA UNICAMENTE ORCHESTRALE. COME TI SENTIRESTI TI DESCRIVERE LA DIFFERENZA NELL’APPROCCIO TRA LE DUE?
– La nostra fortuna è che, almeno in parte, siamo abituati a lavorare su parti musicali di matrice orchestrale, in quanto compongono da sempre buona parte delle nostro produzioni. In questo caso, trattandosi di brani ri-arrangiati totalmente con delle caratteristiche prive di distorsione, è logico che l’approccio adottato risulti essere molto più soft rispetto a quanto udibile nella versione base del prodotto. Tuttavia, essendo una band power metal, quindi con molti tratti in comune con ciò che da sempre rende peculiare ed epica la musica classica, è paradossale come il tutto si sia sviluppato con una naturalezza che potrei definire inaspettata, e per giunta sacrificando l’effetto grinta e pesantezza sonora molto meno del previsto. E questo la dice molto lunga sulle forti somiglianze che sussistono tra due tronconi musicali apparentemente così distanti, eppure dannatamente vicini.
MEMORE DELLE ESPERIENZE FATTE IN TEMPI RECENTI ANCHE DA ALTRE FORMAZIONI, COME AD ESEMPIO BLIND GUARDIAN O SAVATAGE, RITIENI CHE LA MUSICA CLASSICA E IL METAL ABBIANO DAVVERO TANTO DA SPARTIRE?
– Beh, pensa ad esempio ai grandi concerti classici messi in piedi da maestri come Wagner: non sono soltanto epici ed evocativi, ma anche grintosi e a loro modo pesanti, soprattutto sul versante dell’impatto sonoro, proprio come dovrebbe essere uno show di genere metal. A livello strumentale, e basta poco per accorgersene, le ritmiche di chitarra si sposano alla perfezione col muro sonoro sorretto dagli strumenti classici, e anche le fasi soliste possono essere gestite similmente a come fanno ad esempio i violinisti. Risulta quindi facile comprendere perché così tante band si siano avvicinate, negli ultimi anni, alla volontà di arricchire i loro show grazie all’ausilio di un’orchestra: questa non solo dona un gusto ancora più variegato, ma rende il tutto ancora più possente. Similmente, dedicarsi alla stesura o anche solo al riadattamento di parti in chiave orchestrale può risultare stimolante e interessante.
IN MANIERA SIMILE AI LAVORI PRECEDENTI, ANCHE NEL CASO DI “CALL OF THE WILD” POSSIAMO TROVARE UNA SCALETTA BONUS CON COINVOLTI ARTISTI DEDITE A GENERI ANCHE RELATIVAMENTE DISTANTI DAL VOSTRO. COME AVETE SELEZIONATO GLI OSPITI?
– Ci è sempre piaciuto reinterpretare dei brani iconici, così come rifarne alcuni nostri in compagnia di altri artisti, o addirittura lasciare loro carta bianca su come riproporli. In questo caso, molti di loro sono persone con cui abbiamo stretto amicizia nel corso degli anni in occasione di tour, festival e quant’altro; ad esempio, con Johan Hegg degli Amon Amarth siamo stati insieme tanti giorni in Sud America un po’ di tempo fa, e pur essendo lui o anche Alissa White-Gluz dei vocalist di stampo differenti rispetto a quello che ci si aspetterebbe di sentire in un pezzo power metal, riteniamo che una delle caratteristiche più belle della musica metal sia proprio la sua capacità di unire persone e artisti. Nel contempo, non abbiamo voluto sacrificare degli esempi molto più vicini a noi: ad esempio, io mi sono divertito tantissimo a lavorare con Ralf Scheepers dei Primal Fear, che potete udire nella nuova versione di “Sanctified With Dynamite”. O anche Doro Pesch, che oltre a essere un vero e proprio mito per tutti noi amanti di questo genere musicale, è anche una delle persone più squisite che si possano incontrare.
UN ALTRO ELEMENTO RICORRENTE NELLE PRODUZIONI DEI POWERWOLF CONSISTE NELLA SCELTA DI COLLOCARE IN SCALETTA UN PEZZO IN TEDESCO, IN QUESTO CASO “GLAUBENSKRAFT”. COSA PUOI DIRCI IN MERITO?
– Comporre un brano in tedesco richiede di partire col presupposto che si tratta di una lingua dalla pronuncia molto marcata e con termini pronunciabili con molta enfasi, il che potenzialmente si sposa benissimo con la musica dei Powerwolf, che pur essendo una proposta di stampo melodico vuole comunque fare sfoggio di un certo grado di ferocia. Pensa anche a “Stossgebet” o ancora di più a “Kreuzfeuer”, in cui l’incisività tipica di determinate terminologie in lingua tedesca emerge ancora di più: il suono che ne deriva risulta aggressivo, accattivante e nel contempo orecchiabile. Questo per noi rimane un dettaglio fondamentale indipendentemente dalla lingua utilizzata, anche perché non bisogna dimenticare che il nostro scopo come band è sempre quello di fornire degli spunti per intrattenere, senza cadere troppo nella seriosità o in una difficoltà di fondo nel assimilare le soluzioni musicali. Nel caso di “Glaubenskraft”, ma anche di altri brani come “Undress To Confess”, siamo in presenza dell’accostamento di un tono fortemente ironico ad un contesto potenzialmente serio e/o inquietante, fortemente incentrato su tematiche a sfondo religioso, con in più una musicalità orecchiabile che di fatto permette a chiunque nel pubblico di cantare e saltare con noi. Ciò è indice della doppia direzione verso cui si muove la musica dei Powerwolf, con la quale si può interagire in maniera seria e concentrata sul testo e le atmosfere evocate, oppure semplicemente fare festa tutti insieme.
QUESTO MI STIMOLA UNA DOMANDA DA PORTI: COME VIVI IL FATTO DI PARLARE DI TEMATICHE RELIGIOSE IN UN ALBUM METAL NEL 2021, PER GIUNTA ALLA VOSTRA MANIERA?
– Come certamente saprai, in passato è sempre stato un accostamento abbastanza delicato per numerosi motivi, il più delle volte approcciato alla maniera dei Black Sabbath o del black metal più avanti, con conseguenti proteste da parte dei fanatici cristiani e quant’altro. Ora come ora, credo che il nostro modo di trattare l’argomento sia rappresentativo di una grande libertà di espressione artistica, che di fatto ci permette di affrontare in maniera ironica e con contaminazioni horror un tema all’apparenza poco indicato per questo tipo di goliardia. Non a caso, ci teniamo a ribadire sempre che chi cerca dei testi effettivamente religiosi dovrebbe rivolgere le sue attenzioni altrove, poiché per noi si tratta di un elemento cardine per un prodotto che deve innanzitutto fornire intrattenimento. Chiaramente nel corso degli anni ci è capitato qualche volta di imbatterci in qualche invasato sui social, tra gente che ha visto in noi una blasfemia esagerata, e chi semplicemente respinge le nostre soluzioni, pretendendo che si debba per forza essere oscuri e seriosi nel momento in cui ci si avvicina a determinate tematiche.
CREDI CHE L’ABITUDINE A PRENDERSI TROPPO SUL SERIO RAPPRESENTI UN PROBLEMA PER GLI AMANTI DEL METAL ANCORA OGGI?
– Diciamo che nel momento in cui si vuole essere almeno in parte slegati dal conformismo, bisogna anche essere disposti a trattare determinati elementi e concetti diversamente da quanto fatto in precedenza. Oltre al discorso legato all’ironia, ti faccio un esempio pratico: a inizio carriera, siamo stati invasi di domande più o meno moleste riguardo il nostro personale utilizzo di costumi e facepainting, in quanto pareva non essere ammissibile che una power metal band facesse sfoggio di qualcosa generalmente ‘riservato’ alle formazioni più vicine al black metal o, piuttosto, ai Kiss. Tutto ciò ci ha sempre invogliati a ribadire ancora di più il nostro motto che recita ‘Metal Is Religion’, in quanto questa musica rappresenta effettivamente uno stile di vita per coloro che la amano davvero, ma oltre a ciò è anche espressione della volontà di credere in se stessi e nel proprio percorso, più che in un’entità esterna, e questo a parer mio va in contrasto con quella fatica ad accogliere particolari variazioni all’interno degli stilemi tipici del genere. Se ripenso ai miei eroi di infanzia, come ad esempio gli Iron Maiden, penso ad artisti che seguivano il proprio percorso e la propria ispirazione, divenendo così anche delle fonti di forza per tutti quei giovani che trovavano un’identità in questa musica.
PER CONCLUDERE, ESSENDO PASSATI ESATTAMENTE DIECI ANNI, COME OSSERVI IL MOMENTO DELL’USCITA DEL VOSTRO ICONICO ALBUM “BLOOD OF THE SAINTS” OGGI?
– Oltre al fatto che in quell’album ha fatto il suo ingresso in formazione il nostro attuale batterista Roel Van Helden, devo ammettere che “Blood Of The Saints” non rappresenta solo uno dei nostri migliori successi, ma anche il nostro più grande punto di partenza: n0n solo è da lì che lo stile definitivo dei Powerwolf ha preso effettivamente forma ed è divenuto ciò che conoscete ora, ma rappresenta anche una delle occasioni in cui abbiamo avuto modo di metterci maggiormente in gioco, quando siamo stati in tour coi Sabaton. Inoltre, è in quell’anno che molte band che ora spopolano tra gli amanti del metal melodico hanno iniziato davvero a ingranare, e tra queste mi vengono in mente i finlandesi Battle Beast, che più avanti avrebbero anch’essi accompagnato i Sabaton in tour.