PRIMORDIAL – Gli infiniti errori dell’umanità

Pubblicato il 21/01/2015 da

Attingendo a piene mani dai fatti più disperati della storia irlandese, e a quelli della società occidentale in generale, i Primordial hanno forgiato nel sangue e nel dolore una sequela di album di tragica e irresistibile bellezza. “Where Greater Men Have Fallen”, l’ultimo della serie, ha ingigantito la cupezza da sempre strisciante nel suono della formazione dublinese, regalando un lotto di canzoni drammatiche e gonfie di pathos, disseminate dei normali stilemi della band ma rivestite di un alone di disperazione mai così tangibile. Con la serietà e la ponderatezza nei pensieri che gli vengono da sempre riconosciute, oltre che con una determinazione inattaccabile, il leader della band Alan “Nemtheanga” Averill si è concesso alle nostre domande, soddisfacendo le nostre curiosità sull’ultimo lavoro e non perdendo occasione di affermare le sue convinzioni sugli argomenti che gli stanno a cuore. Senza troppi giri di parole, andando sempre dritto al punto, ecco quello che il fierissimo singer ci ha confidato.

Primordial - Alan Averill intervista 2015 - 2015

“WHERE GREATER MEN HAVE FALLEN” SUONA ALLE MIE ORECCHIE COME UN MEMORIALE, LA CELEBRAZIONE DI PERSONE MORTE PER DIFENDERE LE LORO IDEE. COMUNICA ANCHE UN’IMMENSA TRISTEZZA, UN’EMOZIONE BEN RADICATA ANCHE NEI DISCHI PRECEDENTI, SOLTANTO CHE STAVOLTA LE AVETE DATO MOLTO PIÙ SPAZIO, MOLTA PIÙ EVIDENZA. CIÒ VA A UNIRSI A UNA SENSAZIONE DI IMPOTENZA, LA PERCEZIONE DI TROVARSI DAVANTI ALLA DISTRUZIONE DI OGNI COSA E DI NON POTERVI PORRE RIMEDIO. HAI PERCEPITO ANCHE TU QUESTO TIPO DI FEELING DURANTE LA COMPOSIZIONE E RIASCOLTANDO IL PRODOTTO FINITO?
“Vedo anch’io il nuovo album sotto una luce più tetra, suona più cupo e arrabbiato del solito e filtra una grande amarezza di fondo. Nei testi si parla di speranze offuscate, promesse non mantenute, il titolo stesso lo dice chiaramente: “dove i grandi uomini hanno fallito”, vuol dire che chiunque tu sia, dovunque ti trovi, le persone che devono porsi come guida degli altri non hanno raggiunto gli obiettivi che tutti noi avremmo desiderato, di tipo politico, sociale, economico. Da qualunque prospettiva tu veda la questione, chi doveva occuparsi dei problemi più importanti, degli argomenti di maggior rilievo, ha drammaticamente fallito. Alla forma definitiva del disco ci siamo arrivati un po’ per volta, come per ogni album composto in passato siamo partiti da alcuni punti chiari nella nostra testa e poi ci abbiamo lavorato sopra. Come spesso accade, il discorso si è sviluppato diversamente da quanto ci aspettavamo in un primo momento. Non c’è alcun segreto nella nostra metodologia di lavoro”.

PENSO CHE L’ARTWORK SIA MOLTO ORIGINALE, RAPPRESENTA LA SOLITUDINE PROVATA PER LA PERDITA DI UNA PERSONA CARA, E ALLO STESSO TEMPO LA TRAGEDIA DI DOVERLE SOPRAVVIVERE NON AVENDOLA PIÙ AL FIANCO. QUAL È IL NOME DELLA STATUA RAPPRESENTATA E LA STORIA CHE VI È ALLE SPALLE? PERCHÉ LA SCELTA DELLA COVER È RICADUTA SU QUESTA IMMAGINE?
“L’artwork interno è di Costin Chioreanu (artista rumeno in fortissima ascesa negli ambienti metal, autore negli ultimi anni, tra gli altri, dell’artwork di ‘At War With Reality’ degli At The Gates e ‘Valonielu’ degli Oranssi Pazuzu, ndR) e un suo amico (il fotografo rumeno Miluta Flueras, ndR) ci ha fornito la fotografia posta in copertina. Si tratta di una statua presente in un cimitero poco fuori Bucarest (trattasi del cimitero di Bellu, dove è presente questo monumento, creato dall’artista italiano Raffaello Romanelli nel 1902, dedicato alla memoria dell’uomo d’affari Constantin Poroineanu, ndR). Abbiamo scelto questa immagine perché si adattava benissimo al concept di ‘Where Greater Men Have Fallen’; sentivo il bisogno avere delle belle foto all’interno del libretto e sulla cover, invece che dei dipinti, perché credevo fossero più adatte a ricordare il passato, a guardare indietro nella vita di persone scomparse da tempo”.

IL NUOVO ALBUM SEMBRA MENO DIRETTO DEI SUOI IMMEDIATI PREDECESSORI, E VA ANCHE A RECUPERARE ALCUNI ELEMENTI DEI VOSTRI PRIMI ALBUM. AVETE PENSATO A QUESTO CAMBIAMENTO PRIMA DI COMPORRE, OPPURE “WHERE THE GREATER MEN HAVE FALLEN” HA UNA VESTE UN PO’ DIVERSA DAL SOLITO PERCHÉ, BANALMENTE, QUESTO È QUELLO CHE VI È USCITO MENTRE SUONAVATE ASSIEME IN SALA PROVE?
“Noi non pianifichiamo niente. Quel che deve accadere, accade. Pensa al nostro primo album, ‘Imrama’, o meglio ancora a ‘A Journey’s Hand’; contengono delle black metal song, ma non sono dischi black metal, alcuni spunti sono semplicemente rock, e questo non è avvenuto perché abbiamo architettato a tavolino quale sarebbe dovuta essere la direzione stilistica! Mi dici che ricordiamo nel nuovo album i nostri esordi: non sono granché d’accordo, perché ‘Where Greater Men Have Fallen’ è più cupo e pessimista sia di ‘Imrama’ che di ‘A Journey’s End’, possiamo essere considerati più black metal ora di quanto non lo fossimo a metà anni ’90. E poi, ripeto, le canzoni sono quello che sono senza che nessuno abbia deciso, a mente fredda, che sarebbero suonate secondo certi canoni”.

C’È UNA CANZONE IN “WHERE THE GREATER MEN HAVE FALLEN” MOLTO SPERIMENTALE PER I VOSTRI STANDARD: SI TRATTA DI “THE ALCHEMIST’S HEAD”. HA UNO STRANO MOOD, COME SE I PRIMORDIAL SI FOSSERO DEDICATI ALL’OCCULT METAL TANTO IN VOGA IN QUESTO PERIODO. E ANCHE LA TUA VOCE, ALAN, È PIÙ MALVAGIA DEL SOLITO. DOVE VOLEVATE ANDARE A PARARE CON QUESTA CANZONE? QUALI TEMATICHE AFFRONTATE NEL TESTO?
“In questo pezzo io ci sento i Voivod e i vecchi Neurosis, oltre ad un forte tocco black metal. Concordo che comunichi sensazioni diverse da quelle normalmente associate alla nostra musica. Dal punto di vista lirico,‘The Alchemist’s Head ’parla di William Blake, il famoso pittore, poeta, scrittore, e del processo alchemico, quel misto di scienza, magia, misticismo praticato per trasformare gli oggetti in qualcos’altro e arrivare a un più alto grado di conoscenza. Sì, è vero, questa è una canzone che esula un po’ dai nostri standard, si differenzia abbastanza da ciò che siamo soliti offrire a chi ci ascolta”.

NEL NUOVO ALBUM VI È ANCHE UNA DELLE TRACCE PIÙ DURE DELLA VOSTRA CARRIERA, “THE SEED OF TYRANTS”: SPICCA ALL’INTERNO DEL VOSTRO RECENTE CATALOGO PER QUANTO È BRUTALE, VELOCE E AFFINE AL PURO BLACK METAL. PUOI SPIEGARCI COME È NATA?
“’The Seed Of Tyrants’ è molto esplosiva, maligna, con tante parti in blast-beat, porta con sé un grande carico di violenza. Il testo è ispirato a “Green Arrow” (Freccia Verde nella versione italiana, fumetto DC Comics creato nel ’41 da Morton Weisinger, ndR), riflette il mio pensiero sugli abusi della cosiddetta democrazia occidentale. Parlo della difficoltà di estirpare i tiranni dal nostro mondo; tutte le volte che ne elimini uno,tagli la testa al ‘serpente’, ed ecco che al suo posto ne vedi crescere almeno un’altra dozzina come colui che hai tolto di mezzo. ‘The Seed of Tyrants’, oltre ad essere una critica a come ragionano gli uomini politici, vuole essere una fonte di speranza e di ispirazione, affinché un giorno possa avvenire una rivoluzione senza spargimenti di sangue che ribalti i ruoli e sani le storture del pianeta”.

IL DISCO SUONA PIÙ RUVIDO DI “REDEMPTION AT PURITAN’S HAND”, “TO THE NAMELESS DEAD” E “THE GATHERING WILDERNESS”. COME AVETE OTTENUTO QUESTO RISULTATO? QUALI FATTORI HANNO HANNO PORTATO A UN SUONO COSÌ COLOSSALE E INSIEME ANTICO?
“È cambiato tutto: studio diverso, un nuovo ingegnere del suono, più soldi e più tempo a disposizione. La registrazione dipende anche dall’anno in cui avviene, dalla passione che ci metti. Contribuiscono ad avere un certo sound tutti gli elementi citati, non saprei dire quale sia il più importante. La nostra attitudine, stavolta, ci ha portato a volere un suono più Seventies, lo puoi sentire in particolare per la batteria. Inoltre, ci premeva avere un feeling live, nulla che potesse assomigliare a queste produzioni moderne tutte compresse: non ci interessano”.

CREDO CHE TU, ALAN, ABBIA COMPIUTO UN METICOLOSO LAVORO DI ESPLORAZIONE DEL TUO RANGE VOCALE PER QUESTO DISCO: CI SONO LINEE VOCALI MOLTO MELODICHE, MA ANCHE PARTI DECISAMENTE ESTREME. COSA HAI FATTO PER SUPERARE TE STESSO? SU COSA TI SEI FOCALIZZATO MAGGIORMENTE? TI SEI SOTTOPOSTO A QUALCHE PARTICOLARE ESERCIZIO PER RAGGIUNGERE TONALITÀ MENO USATE IN PASSATO?
“Non ho usufruito di tecniche o trucchi per cambiare qualche aspetto della mia voce, però mi ha aiutato molto l’esperienza coi Twilight Of The Gods, nella quale mi sono reso conto di alcune possibilità espressiva che avevo sempre trascurato. Con gli anni ho anche imparato a porre più attenzione a come si sviluppa la musica, alle strutture delle canzoni e a calarmi nel brano in maniera più funzionale, abbinando all’istinto uno studio più attento di come interagiscono gli strumenti con la mia voce. Sono migliorato nel cantato nella misura in cui mi sono immerso più profondamente nella musica, ne ho capito certi dettagli e ho compreso meglio come approcciarmi ad essa”.

AVETE REALIZZATO UN VIDEO PER “THE BABEL’S TOWER”. VOLEVO SAPERE PERCHÉ LA SCELTA È CADUTA SU QUESTO PEZZO E QUALI SONO LE IDEE COMUNICATE CHE VOLEVATE COMUNICARE CON LE SUE IMMAGINI.
“Il filmato parla del viaggio, inteso come esperienza fisica e spirituale dell’individuo ed è stato girato da un mio cugino, che si è occupato anche di scrivere il copione. “The Babel’sTower” ci è sembrata la traccia più appropriata per essere rappresentata visivamente, ha un testo e un’atmosfera molto visuali, che si prestano benissimo a essere rappresentati in un flusso di immagini”.

DOPO LA PUBBLICAZIONE DI “REDEMPTION AT PURITAN’S HAND” SIETE STATI ASSIDUAMENTE IMPEGNATI SUL FRONTE CONCERTISTICO, VOLEVO QUINDI CHIEDERTI CHE GIUDIZIO COMPLESSIVO PUOI DARE SULLE DATE CHE AVETE TENUTO, E IN PARTICOLARE SUL TOUR DA HEADLINER DI INIZIO 2014.
“Siamo stati fortunati, abbiamo quasi sempre trovato un’audience molto partecipe, i ragazzi che venivano a vederci hanno reagito praticamente dovunque in modo intenso, dandoci l’impressione, anche per il numero di presenze, che la band sia cresciuta tanto in termini di popolarità e rappresenti qualcosa di importante per molti ascoltatori. Non possiamo che esserne felici”.

Primordial - foto intervista 2 - 2015
DURANTE GLI SHOW, ALAN, SEMBRI UNA PERSONA IN PREDA A UNA PROFONDA SOFFERENZA, CHE SOMATIZZA VIOLENTEMENTE TUTTE LE ANGOSCE E LE PENE NARRATE NELLA MUSICA. QUESTO È QUELLO CHE VEDIAMO NOI DA FUORI, MENTRE TU COME VIVI IL CONCERTO E I MOMENTI CHE LO PRECEDONO E LO SEGUONO?
“La musica che facciamo è cupa, non è intrattenimento. Se suonassimo in uno stile più leggero, mi comporterei in maniera diversa, ma sono convinto che se credi veramente in quello che proponi, non puoi non avere una reazione molto forte tu stesso durante una performance live. Voglio dire: i Primordial parlano di certi temi, conoscono perfettamente il loro significato e lo vivono intensamente, quindi è impossibile non vivere in prima persona certe emozioni. Non puoi essere distaccato rispetto ad esse. Quando suoni dal vivo tu instauri una connessione con chi è venuto a sentirti, deve esserci un flusso emozionale coi tuoi fan, sei tu musicista in prima persona che devi provare qualcosa per i significati insiti nella tua musica. Un comportamento diverso non avrebbe senso per quello che facciamo, io mi immedesimo al 100% in quanto è narrato nelle nostre lyrics. Nel mio modo di stare sul palco ci sono anche elementi legati al tipico modo di fare teatrale del frontman heavy metal e alla necessità di scuotere chi hai davanti; un po’ di spettacolo è fondamentale, però il mio stage acting si basa innanzitutto su una viscerale aderenza ai sentimenti evocati dalle canzoni”.

DAL 2006 IN AVANTI AVETE VISITATO REGOLARMENTE GLI STATI UNITI NEI VOSTRI TOUR. QUALI SONO LE PRINCIPALI DIFFERENZE FRA IL PUBBLICO E I LOCALI AMERICANI E QUELLI EUROPEI? QUAL È IL POSTO PIÙ SPERDUTO DOVE VI SIETE TROVATI A SUONARE?
“Mi piace l’America, ci siamo trovati benissimo quando ci siamo stati: ottime tournée, ottime persone, buoni locali. Non abbiamo sofferto problemi organizzativi insormontabili, possiamo considerare un successo le nostre apparizioni da quelle parti e abbiamo visitato dei luoghi strani e interessanti. Le mie perplessità riguardano il tipo di scena di queste zone, perché c’è un dominio, nei numeri, di MTV e della musica che propone, piena di new metal e altre cose orribili, che finisce per devastare il vero heavy metal, metterlo in un angolo e non concedergli di essere apprezzato su larga scala. Nelle piccole città è dura trovare persone che vengano a vedere i concerti, c’è troppa ignoranza e disinteresse per ciò che non passa per i canali comunicativi principali. Un’altra noia non da poco sono tutte le restrizioni per le band che vengono dall’estero, e anche muoversi all’interno degli States non è affatto semplice. A livello logistico un tour americano è difficile da gestire ed è anche molto costoso, per cui tutte le volte che ti trovi ad avere la possibilità di andare oltreoceano ti trovi, da una parte, ad essere tentato di partire perché sai che ti troverai bene e ti divertirai, e dall’altra parte devi sempre tenere in considerazione il fattore economico, perché solo per il biglietto aereo partono molti soldi e non puoi avere la certezza che riuscirai a monetizzare adeguatamente la trasferta per non finire in perdita. Per certi versi, un tour nordamericano si può definire una ‘heavy metal holiday’, perché le spese sono spesso maggiori dei guadagni, ed è meglio allora prenderlo come un viaggio di piacere, che non un’occasione per ottenere un ritorno economico dai propri sforzi”.

VOI SIETE MOLTO LEGATI ALLA VOSTRA TERRA, L’IRLANDA: QUAL È L’ASPETTO DEL VOSTRO SOUND PIÙ VICINO ALLA TRADIZIONE IRLANDESE? CHE COSA TI RENDE PARTICOLARMENTE ORGOGLIOSO DELLE TUE ORIGINI?
“Non abbiamo molto a che spartire con la tradizione irlandese, se per essa intendiamo il suo folclore, la sua mitologia oppure la musica folk celtica, i suoi strumenti, le sue voci e le sue melodie. Ce ne teniamo ben lontani. Alcune volte i giornalisti travisano il nostro messaggio, ci accostano alla musica tradizionale tipica dei nostri luoghi e alle storie fantasy raccontate nei testi di molti gruppi che vi si dedicano. Noi invece parliamo di fatti storici, di drammi, di guerre, carestie. Pensa a ‘The Coffin Ships’: non è fiction, è una pagina drammatica del passato irlandese. A noi non interessa l’Irlanda da cartolina che piace tanto ai media, attingiamo a quanto vi è di triste e malinconico nel vissuto della nostra terra. Noi non rappresentiamo l’Irlanda delle feste e dei sorrisi, ma quella dell’angoscia e dell’afflizione. Sono sempre stato contro lo stato, la chiesa, le persone, in passato, e oggi non ho cambiato le mie idee, per cui sono tutt’ora contro lo stato, la chiesa, le persone. Se guardi alla storia del ventesimo secolo, potrai vedere quanti influssi nefasti sulla cultura e il tessuto sociale abbiano avuto i comportamenti della chiesa e la corruzione degli uomini politici. Questi fattori hanno condizionato, in negativo, tutto quanto avvenuto nel recente passato. E’ un discorso lungo, lo so, e non sono in grado di affrontarlo in maniera esaustiva in questa sede, ma ci tengo a sostenere che io sono contro queste cose e cerco di denunciarle e combatterle per quanto possibile. Mi scaglio anche contro le persone che credono a quanto gli viene propinato da preti e politicanti, perché contribuiscono a creare questa difficile situazione, a tenerci sotto questa cappa di oscurità. Queste persone non le sopporto proprio. Ci sono anche qualità della nostro popolo che mi piacciono, intendiamoci, e riescono a contrastare le cattive sensazioni che vivo ogni giorno”.

L’IRLANDA È RICCA DI LUOGHI E PAESAGGI BELLISSIMI, RIESCI A ELENCARMENE TRE CHE TI DANNO VIBRANTI EMOZIONI E HANNO INFLUENZATO LA MUSICA DEI PRIMORDIAL?
“Non riesco a rispondere alla tua domanda in modo puntuale e preciso, quello che mi suscita l’Irlanda con le sue bellezze naturali è un feeling che non posso associare a un posto preciso, ma riguarda un po’ tutto il nostro territorio. Mi piace che L’Irlanda sia battuta con forza da tutti gli elementi atmosferici, a me piace molto anche la pioggia e quelle lunghe e frequenti giornate uggiose dove continua a cadere acqua dal cielo. Anch’io però sento molto il fascino di alcune location, quando vado alle scogliere di Dover, o a Newgrange mi vengono i brividi, però l’influenza che riceviamo è qualcosa di molto arduo da definire e non è limitata a zone ben definite del nostro paese”.

TRE MEMBRI DEI PRIMORDIAL SU CINQUE, OVVERO TU, PÓL MACAMLAIGH E CIÁRAN MACUILIAM SIETE INSIEME ORAMAI DAL 1991. DI COSA C’È BISOGNO PER LAVORARE ASSIEME IN ARMONIA PER COSÌ TANTO TEMPO?
“Siamo tre fottuti bastardi (ride, ndR)! Parlando seriamente: siamo tre persone determinate, che combattono duramente le proprie battaglie, stanno bene insieme, non hanno manie da rockstar, non sono particolarmente espansive od estroverse. Siamo diversi uno dall’altro, ma abbiamo anche parecchi punti in comune. Un fattore fondamentale per mantenere vivi e produttivi i rapporti tra noi tre è che siamo molto aperti alle critiche, non ci chiudiamo in noi stessi quando ci viene fatto notare qualcosa da parte di uno degli altri due. Abbiamo uno scambio di opinioni molto libero, è questa la nostra forza. Ci supportiamo e ci aiutiamo a vicenda, sempre”.

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