La seconda giovinezza dei Queensrÿche sembra non voler dare segni di cedimento. Il passo falso di “Tribe” è ormai solo un ricordo sbiadito, cancellato da due dischi di valore come il secondo capitolo di “Operation Mindcrime” e il nuovo “American Soldier”. Ancora una volta la band di Seattle sceglie la strada più difficile per portare avanti la propria musica, tematiche forti e molto sentite, specialmente in questi anni in cui l’America è impegnata sul fronte di guerra. “American Soldier” nasce dai racconti di guerra di veterani che hanno combattuto sul fronte, nasce dalla voglia di dare visibilità a persone apparentemente anonime, senza un nome conosciuto, che hanno messo a repentaglio la loro vita per la patria. A contrasto con la forza aspra e impietosa delle tematiche trattate, fa quasi tenerezza sapere che tutto il concept del disco nasce da una chiacchierata in armonia tra padre e figlio, seduti insieme fianco a fianco intenti a raccontarsi l’uno con l’altro. Il padre è un ex militare che ha combattuto in Vietnam, il figlio è un cantante che nel corso degli ultimi vent’anni è divenuto un’icona del rock duro a livello mondiale. Stiamo parlando di Geoff Tate, colonna portante dei Queenrÿche che, ai nostri microfoni, si lascia andare a una rilassata confessione.
GEOFF, SE NON ERRO “AMERICAN SOLDIER” PARTE DA UN INCONTRO CON UNA PERSONA A TE MOLTO CARA…
“‘American Soldier’ è nato da una chiacchierata con mio padre. Devi sapere che lui è stato un soldato, ha combattuto durante la guerra in Vietnam e in Corea. Tempo fa sono andato a trovarlo a casa sua, ci siamo seduti insieme e lui ha cominciato a raccontarmi le sue storie di guerra. In quel momento ho avuto l’istinto di registrarlo e, una volta tornato a casa, mia moglie mi ha dato l’idea di scrivere una canzone sul suo racconto. L’idea mi è piaciuta sin da subito e si è concretizzata con quello che oggi è l’ultimo brano del disco, ‘The Voice’. Da qui si è sviluppato tutto il disco ed il concept, da quel momento ho deciso di intervistare altri soldati, una quindicina in tutto, provenienti da corpi diversi e da esperienze di guerra diverse. Tutte le loro esperienze, i loro racconti abbiamo deciso di tradurli in musica, in canzoni e di dedicare ogni brano di ‘American Soldier’ ad una storia diversa di questi eroi di guerra. Per quanto mi riguarda è stato un viaggio straordinario all’interno di un tragico tema come la guerra, visto e narrato da persone che l’hanno vissuta in prima linea. Non si è trattato di dar vita al classico concept di fantasia, ‘American Soldier’ tratta tematiche dure ed estremamente reali”.
QUINDI IL NUOVO DISCO E’ PRATICAMENTE NATO PER IL RISPETTO VERSO TUO PADRE E PER TRIBUTARE I DOVUTI ONORI ALLE SUE GESTA?
“All’inizio in un certo senso la mia intenzione era proprio questa, rendere omaggio a mio padre e a quanto ha fatto per il nostro Paese mentre era in guerra. Poi il concept si è allargato, ‘The Voice’ è l’unico brano dedicato proprio a mio padre, però è molto forte, tanto che ho anche utilizzato la sua voce registrata”.
GEOFF, COME PERSONA COSA TI HA PIU’ COLPITO DELLE CONVERSAZIONI CHE HAI TENUTO CON I SOLDATI?
“Tutte le storie presenti in ‘American Soldier’ mi hanno molto colpito a livello personale. Uno degli aspetti più forti dei racconti dei soldati è la loro tremenda attualità anche se gli interlocutori sono di diverse generazioni. Vietnam o conflitti più recenti, i sentimenti sono gli stessi. I temi più ricorrenti sono state le sensazioni dell’arruolarsi, del lasciare a casa amici, famiglie e persone care per andare dall’altra parte del mondo a combattere e rischiare la vita. Una vita che sul fronte ha un significato molto più amplificato perché è a rischio, si deve cercare di stare vivi ogni giorno. Dai racconti traspariva tutta l’importanza dell’amicizia e della solidarietà, sul fronte spesso la tua vita è in mano ai compagni vicini, bisogna essere forti l’uno per l’altro. Tutti questi soldati mi hanno colpito per il grande rispetto ed onore verso lo Stato, sono scesi sul campo per onorare il loro Paese, e il loro patriottismo è lodevole. Ho ascoltato storie forti e commuoventi, mi sono arrivate nel profondo!”.
IN QUESTI ANNI L’AMERICA (MA NON SOLO) STA VIVENDO IN PRIMA PERSONA LA GUERRA. UN DISCO COME “AMERICAN SOLDIER” IN QUALE OTTICA CI MOSTRA IL DRAMMA DELLA GUERRA?
“Ho voluto sin dall’inizio scrivere un disco assolutamente non politico. La mia intenzione era di raccontare nel modo più sincero e trasparente le esperienze e le storie dei soldati con cui ho parlato. Non ho rielaborato o riletto in chiave personale quanto ho appreso dai racconti, ma ho preferito riportarli nel modo più fedele possibile. Questo è un disco per i soldati, nel senso che è fatto grazie alle loro esperienze ed a tutto ciò che hanno dovuto vivere. ‘American Soldier’ è un disco che spero porti a molte persone le storie di questi guerrieri, il mio lavoro è stato soltanto ascoltare queste persone e cercare di capirle”.
DAL PUNTO DI VISTA MUSICALE, “AMERICAN SOLDIER” SEGNA UN ULTERIORE PASSO AVANTI NEL VOSTRO PROCESSO DI EVOLUZIONE CHE IN VENT’ANNI DI CARRIERA NON SI E’ MAI INTERROTTO. COSA CERCATE, QUAL E’ IL VOSTRO TRAGUARDO?
“Credo che l’evoluzione sia un fattore molto importante per un musicista, ma anche per un artista in generale. L’evoluzione, la novità ci mantengono in vita. Personalmente cerco sempre qualcosa di nuovo nella musica, mi piace scoprire nuove prospettive, nuovi modi di proporre la mia arte. Il cambiamento, l’evoluzione rispecchiano in un certo senso la mia persona, con gli anni sono cresciuto e molte cose oggi le vedo in modo diverso rispetto a vent’anni fa. Nella musica io porto le mie passioni, che con il passare del tempo sono cambiate, non riuscirei a rimanere statico o immobile troppo a lungo. Tornando alla tua domanda, non esiste un traguardo da cercare, disco dopo disco c’è sempre un obiettivo nuovo da scoprire, un diverso punto di vista che rende unica ed originale la musica dei Queensryche”.
DOPO IL GRANDE SUCCESSO COMMERCIALE DI “EMPIRE”, AVETE VISSUTO PERIODI PIU’ E MENO FORTUNATI. CREDI CHE I VOSTRI FAN POSSANO NON AVER CAPITO LA VOSTRA EVOLUZIONE, LA VOSTRA CRESCITA?
“Credo che un artista debba vivere la propria crescita soprattutto in prima persona, in modo onesto, senza dipendere in toto dal giudizio altrui. Poi ovviamente parte dei fan si trovano in sintonia con il percorso di un musicista, mentre altri non approvano certi cambiamenti, credo sia una cosa naturale. Personalmente come artista ho sempre seguito ciò che mi diceva il cuore, cercando di non percorrere strade lastricate e di non riproporre soluzioni più sicure come dischi fotocopia. Siamo maturati, disco dopo disco i Queensrÿche hanno sempre portato qualcosa di nuovo, nel bene o nel male. La musica è passione e noi abbiano sempre seguito la nostra passione, i nostri sentimenti. E’ chiaro che più fan ci seguono più siamo contenti, ma non ci disperiamo se qualcuno non capisce o più semplicemente non apprezza i cambiamenti”.
PARLIAMO ORA DELLA DIPARTITA DEL VOSTRO CHITARRISTA MIKE STONE, CHE HA SCELTO DI NON PARTECIPARE AL VOSTRO PROSSIMO TOUR.
“Innanzitutto Mike non è mai stato un membro effettivo dei Queensrÿche, è un bravo chitarrista che pagavamo affinché suonasse con noi in tour. Mike semplicemente ha scelto di darsi alla sua musica, ha un progetto a cui si sta dedicando e per questo ha preferito concentrarsi su se stesso piuttosto che venire con noi in tour. Mi sembra che tutto si sia svolto in modo molto naturale, noi non siamo risentiti. Mike è un musicista straordinario ed una persona con cui abbiamo passato molti bei momenti, gli auguriamo tutto il meglio per il suo futuro”.
COSA TI HA COLPITO DI PARKER LUNDGREN DA SCEGLIERLO COME NUOVO LIVE GUITAR PLAYER?
“Parker lo conosco da un po’ di tempo in quanto ha già suonato sul mio disco solista. Abbiamo scelto lui perché, pur essendo molto giovane, ha dimostrato un grande talento e soprattutto un grande senso del gruppo. Sa perfettamente come lavorare all’interno di una band. Quando è venuto in tour con me per suonare i miei brani da solista, mi ha molto impressionato per la sua serietà e professionalità. Quando Mike ci ha comunicato la sua intenzione di non venire in tour con noi, ho subito pensato a Parker, anche perché tutta la band lo conosce. Provando insieme i pezzi ci siamo resi conto che stavamo cercando proprio una persona come lui”.
COSA DOVREMO ASPETTARCI DAL VOSTRO PROSSIMO TOUR?
“E’ chiaro che ci concentreremo sulle canzoni di ‘American Soldier’, per cui ci saranno diversi estratti dal disco nuovo. Inoltre stiamo provando molti pezzi da ‘Empire’ e ‘Rage For Order’, i fan si potranno aspettare un bel po’ di canzoni da questi due album!”.
DURANTE LO SCORSO TOUR IN CUI AVETE INTERAMENTE SUONATO I DUE “OPERATION: MINDCRIME”, HAI INSCENATO UNA VERA E PROPRIA RAPPRESENTAZIONE TEATRALE CON TANTI DI ATTORI ON STAGE E SCENOGRAFIE. COME TI SEI TROVATO DA CANTANTE A VESTIRE ANCHE I PANNI DELL’ATTORE CHE, CON MOVIMENTI ED ESPRESSIONI, SI AMALGAMA ALLA MUSICA?
“Più che uno show per me si è trattato di una vera sfida da mettere in piedi. Per un cantante che si trova a cantare un concept, una storia, è molto importante saper trasmettere emozioni anche con il corpo, con l’interazione insieme agli attori. Si è trattato di un’estensione della classica performance, qualcosa in più che saper suonar bene uno strumento. In un concerto normale parte dei fan si concentra sul batterista, altri guardano come suona il chitarrista e così via. In questo modo abbiamo cercato di creare un’attenzione globale verso tutte le persone sul palco”.
CHE MUSICA ASCOLTA GEOFF TATE TUTTI I GIORNI?
“In questo periodo sto ascoltando molto jazz. E’ un genere straordinario, sto macinando dischi su dischi…mi piace molto Miles Davis”.
SO CHE DA QUALCHE TEMPO DI OCCUPI ANCHE DI VINO, GIUSTO?
“Sì, ho scoperto questa mia grande passione per il vino. Ci ho lavorato per un bel po’ di tempo, ma ultimamento ho prodotto un vino rosso che mi ha proprio soddisfatto. Anche se voi italiani siete fortissimi con i vostri vini, sono contento perché ritengo di aver fatto un buon lavoro! Spero che un giorno arrivi da voi e che possiate assaggiarlo”.