RAGE – Tra heavy metal e un pochino d’ansia

Pubblicato il 05/04/2024 da

Quarant’anni di carriera e uno slancio che molte band più giovani si sognano di possedere: i Rage di Peavy Wagner hanno solcato i mari tempestosi dell’heavy metal per quattro lunghe decadi, cambiando pelle più volte, stretti attorno al leader supremo, unico membro rimasto della formazione che incominciò il suo cammino sotto il nome di Avenger.
Da lì, molte cose sono accadute e il gruppo, attraverso una discografia fitta e continua come poche altre, è giunto fino ad oggi attraverso tanti cambi di line-up e stile sonoro, mantenendo comunque un’integrità e un fervore che pochi colleghi hanno saputo eguagliare. Dopo qualche disco buono ma non eclatante, ecco che con “Afterlifelines” i Rage hanno rialzato il tiro, in termini qualitativi e quantitativi, regalandoci un doppio album denso e potente, con un livello medio che forse soltanto i più ottimisti avrebbero potuto ipotizzare.
Mentre il nuovo disco romba nei vostri impianti audio domestici, diffusori dell’automobile, cuffie collegate agli smartphone,  scopriamo qualcosa di più sui Rage attuali dalle parole di Peavy medesimo, visibilmente carico e compiaciuto per questo nuovo capitolo della sua band principale.

TOCCATE IL TRAGUARDO DEI QUARANT’ANNI E PER L’OCCASIONE ECCO CHE RITORNATE ADDIRITTURA CON UN DOPPIO ALBUM, PER QUASI NOVANTA MINUTI DI MUSICA.
DA DOVE DERIVA LA VOLONTÀ DI SCRIVERE UN DISCO SIMILE, COSÌ LUNGO, DENSO E VARIEGATO?

– Dobbiamo far risalire la cosa al 2021, quando poco dopo l’uscita del nostro disco precedente, “Resurrection Day”, stavamo per andare in tour. Invece le circostanze dovute alla pandemia ci hanno fatto cancellare quegli show, in Europa nell’autunno è arrivato un altro lockdown e ci siamo quindi trovati con molto tempo a disposizione.
Abbiamo allora continuato a mettere assieme idee e scrivere nuovi pezzi, e forza di mettere assieme materiale siamo arrivati ad arrivare abbastanza musica per un doppio album! È questa un’idea che volevo realizzare da tempo, la prima volta che ci ho pensato è stato nel 2006, durante il periodo di “Speak Of The Dead”. Solo che all’epoca la nostra casa discografica, la Nuclear Blast, non era dell’idea e così l’avevamo accantonata. Questa volta noi e l’attuale casa discografica, la Steamhammer, eravamo allineati, anche loro vedevano di buon grado che per il quarantennale pubblicassimo un doppio album.
Così abbiamo un primo CD, “Aftertime”, dedicato a sonorità più heavy, tra il power e il thrash, quelle tipicamente Rage; un secondo CD, “Lifeline”, più epico e progressivo, con arrangiamenti sinfonici, contenenti elementi che comunque già avevano fatto parte in passato del nostro stile sonoro. Insomma, abbiamo condensato molte delle caratteristiche per i quali i Rage sono diventati famosi nel corso degli anni.
Pensiamo possa essere un bel regalo questo disco per tutti i nostri fan, per festeggiare i quarant’anni di attività.

L’AMORE PER LA MUSICA CLASSICA ESPLICITATO IN “LIFELINES” È QUALCOSA CHE ARRIVA DA LONTANO, VISTO CHE GIÀ A FINE ANNI ’90 VOI PROVAVATE ACCOSTAMENTI SIMILI. QUESTA VOLTA LA SENSAZIONE È CHE L’INTERAZIONE TRA HEAVY METAL E MUSICA CLASSICA SIA AVVENUTO SU UN PIANO DIFFERENTE.
RISPETTO ALL’ESPERIENZA DEGLI ANNI DELLA LINGUA MORTIS ORCHESTRA, NELLE CANZONI DI “LIFELINES” CI SONO MAGGIORE POTENZA E IMPATTO, MENTRE I DISCHI CON LA LINGUA MORTIS ORCHESTRA ERANO PIÙ MELODICI E DELICATI.
MI PIACEREBBE SAPERE SE È CAMBIATA IN QUESTI ANNI LA VOSTRA IDEA DI COME METAL E MUSICA CLASSICA DEBBANO INTERAGIRE E COME SI SIA SVILUPPATA IN QUEST’ULTIMO CASO L’INTERAZIONE TRA I DUE TIPI DI MUSICA.

– Non penso siano cambiate molto le nostre idee su come la musica sinfonica dovrebbe dialogare con quella dei Rage. “Lifelines” è strutturato per comporre un crescendo epico e magniloquente, conducendo l’ascoltatore in una tracklist che si chiude in modo opulento, un ‘gran finale’, come mi piace pensare che accada alla fine del disco.
Non volevamo che i due CD fossero così distanziati l’uno dall’altro, alla fine è sempre la stessa band che suona, ci piaceva che anche la musica di “Lifelines” restasse potente e compatta, anche se supportata dagli arrangiamenti della musica classica.

NONOSTANTE LA LUNGHEZZA COMPLESSIVA, IN “AFTERLIFELINES” SOLO POCHE TRACCE SUPERANO I CINQUE MINUTI DI DURATA E NELLA SUA INTEREZZA L’ALBUM DÀ L’IDEA DI UNA FORTE COMPATTEZZA. VOLEVO CHIEDERTI QUALE SIA STATO IL PRIMO BRANO CHE AVETE SCRITTO E QUALE CREDI CHE SIA IL FILO CONDUTTORE TRA TUTTE LE TRACCE DEL DISCO?
– Se non ricordo male, la prima canzone che abbiamo scritto è anche quella che apre il primo CD, “End Of Illusions”. Il filo conduttore lo puoi trovare nei testi, che partono esattamente da dove finiva “Resurrection Day”. Nei testi cerco di descrivere quale sia stata l’evoluzione degli esseri umani dal Neolitico ad oggi, l’ultimo disco fa una descrizione distopica/fantascientifica di come potrebbe evolversi ulteriormente la nostra società.
Siamo in una fase dove rischiamo l’estinzione, se non ci impegniamo a cambiare radicalmente i nostri comportamenti. Stiamo bruciando troppe risorse, mettendo a repentaglio la vita stessa del pianeta e quindi la nostra. Personalmente penso che le nuove generazioni saranno in grado di trovare delle soluzioni ai problemi che sono stati creati, nonostante la brutta situazione generale in cui ci troviamo cerco di dare e di darmi un po’ di speranza, utilizzando i testi come una specie di terapia per me stesso, per allentare il pessimismo e l’ansia che spesso mi grava addosso.
Attraverso il racconto di un futuro distopico e negativo cerco di esorcizzare le mie paure e augurarmi che le cose migliorino.

“AFTERLIFE” SI AVVICINA ALLO STILE DI “RESURRECTION DAY”. ERA VOSTRA INTENZIONE MANTENERE UNA FORTE CONTINUITÀ CON L’ULTIMO ALBUM, NEL PRIMO CD?
– Non abbiamo riflettuto granché sulla questione, abbiamo solo iniziato a scrivere altra musica senza stare a farci domande su come desiderassimo che suonasse. Non ci siamo confrontati sulla direzione da intraprendere, su collegamenti che ci sarebbero potuti essere con altri nostri album precedenti.

IN “LIFELINES” CI SONO ALCUNI EPISODI CHE EMERGONO FACILMENTE RISPETTO AGLI ALTRI, CON UNA LORO PERSONALITÀ DISTINTIVA E SOLUZIONI UN PO’ DIVERSE DAL RESTO.
LA PRIMA È “DYING TO LIVE”, UNA SPECIE DI SEMI-BALLAD MOLTO SOFT CHE SI STACCA DALLE ATMOSFERE DOMINANTI NEL DISCO. VOLEVO SAPERE SE CI FOSSE UN SIGNIGICATO PARTICOLARE IN QUESTO BRANO, PROPRIO PER COME SI DISTINGUE NETTAMENTE DAGLI ALTRI.

– All’inizio è partita come qualcosa di molto semplice, solo con una chitarra acustica e la voce, con l’ìdea di realizzare appunto una semi-ballad. Le liriche parlano della guerra, sono ispirate dagli accadimenti in Ucraina, un paese che abbiamo visitato per la prima volta negli anni 2000 e che ha finito per rientrare nelle nostre regolari tournee, come la Russia del resto.
In entrambi i paesi siamo stati seguiti da tecnici e roadie locali, con alcuni di essi siamo entrati in rapporti di amicizia e di molti di loro non siamo più riusciti a sapere nulla, da quando la guerra è iniziata due anni fa. Spero stiano bene, ma non lo posso sapere. Parlo nel testo della condizione di dover combattere, di essere costretto a imbracciare le armi per rimanere libero.
In particolare penso ad un nostro tecnico ucraino, Nikita, e alla sua specifica situazione, mentre il suo paese è in guerra.

UN ALTRO BRANO CHE SPICCA NELLA TRACKLIST È LA TITLE-TRACK, QUASI DIECI MINUTI, UNA SUITE DALLO SVILUPPO PIUTTOSTO COMPLESSO E DAL SUONO MAGNILOQUENTE. COME SI È SVOLTO IL PROCESSO DI SCRITTURA DI QUESTA TRACCIA?
– Volevo che ci fosse una canzone di questo tipo, di ampio respiro, che continuasse ad evolversi e progredire durante la sua durata, fino a sfociare in un finale di grande impatto. In effetti da scrivere e arrangiare ha richiesto un tipo di lavoro differente da tutto il resto dell’album.
Per “Lifelines” abbiamo immesso tante idee, che hanno richiesto un attento lavoro di disposizione al suo interno, in modo che la canzone risultasse alla fine ordinata e scorrevole. Proprio perché trovare l’esatta combinazione di tutti gli ingredienti non era un lavoro facile, abbiamo realizzato diverse versioni di “Lifelines”, nel tentativo di trovare il mix giusto. Siamo andati avanti per tentativi a lungo, prima di trovare la combinazione di tutti i fattori che ci soddisfacesse.

SE TU DOVESSI GIUDICARE “AFTERLIFELINES” DALLA PROSPETTIVA DEL FAN, QUALE SAREBBE A TUO AVVISO LA CANZONE CHE TI COLPISCE MAGGIORMENTE AL PRIMO IMPATTO, QUELLA CHE TI PUÒ CATTURARE PRIMA DI TUTTE LE ALTRE?
– Penso ce ne siano più d’una, che possono catturare facilmente l’attenzione, che sono catchy e facili da seguire. Mi viene in mente “Under A Black Crown”, oppure “Cold Desire”, ma ce ne sarebbero anche altre da citare.

LA COPERTINA HA UN’ARIA PIUTTOSTO CUPA E APOCALITTICA, COLLEGANDOSI APPUNTO AI TESTI DELL’ALBUM, SUI QUALI GIÀ HAI FATTO UN ACCENNO. ANDANDO PIÙ IN PROFONDITÀ, QUALI SONO LE TEMATICHE CHE PIÙ TI HANNO ISPIRATO E SULLE QUALI TI SEI ESPRESSO PIÙ VOLENTIERI?
– Come ho già detto poco fa, ruota tutto attorno alle paure che io e la gran parte delle persone abbiamo per lo stato delle cose nel mondo. Ci sono così tante crisi in evoluzione nel mondo, che se ci si sofferma troppo si viene presi dall’angoscia per il presente e il domani. Visivamente volevamo che anche la copertina introducesse subito a questo scenario e portasse con gli occhi, prima che con le orecchie, all’interno delle atmosfere di “Afterlifelines”.

RIGUARDO ALLE INTERAZIONI CON LA MUSICA CLASSICA, RICORDO CHE IN PASSATO AVETE SUONATO DAL VIVO IN ALCUNE OCCASIONI CON IL SUPPORTO DI UN’ORCHESTRA, COME AD ESEMPIO AL WACKEN OPEN AIR DEL 2007. SONO IN PROGAMMA, PER QUEST’ANNO O IL PROSSIMO, DEI CONCERTI DI QUESTO TIPO?
– Sì, per il 2024 abbiamo già fissati due concerti con la Lingua Mortis Orchestra, confidiamo di poterne organizzare degli altri, in corrispondenza di alcuni festival (per ora i Rage hanno in programma, nel 2024, quattro show assieme alla Lingua Mortis Orchestra, ndR).

RIGUARDO ALL’ATTUALE LINE-UP, TI CHIEDO QUALI SONO A TUO AVVISO LE SUE PRINCIPALI CARATTERISTICHE E COME SI DIFFERENZIA RISPETTO AD ALTRE CHE HANNO SEGNATO LA STORIA DEI RAGE, COME QUELLA IMPEGNATA IN ALBUM COME “THE MISSING LINK” O “BLACK IN MIND”, OPPURE QUELLA CHE VEDEVA IN LINE-UP MIKE TERRANA E VICTOR SMOLSKI.
– Sono molto contento dei ragazzi che suonano con me attualmente. Sono ottimi musicisti, sanno scrivere la musica e le nostre caratteristiche si combinano bene per formare il suono dei Rage.
Le line-up precedenti hanno tutte avuto i loro alti e i loro bassi, diciamo che ognuna di esse ha compiuto un proprio ciclo vitale, andando avanti bene fino a un certo punto e quindi arrivando alle proprie naturali conclusioni. Per farla breve, hanno funzionato per diversi anni e dischi, a un certo punto le cose hanno iniziato ad andare meno bene e le nostre strade si sono separate. Sai, prima o poi nasce qualche problema, più a livello personale ad essere sincero che su quello strettamente musicale, e a quel punto è meglio interrompere la collaborazione.

AVRESTI MAI IMMAGINATO, NEI TUOI ANNI GIOVANILI, CHE L’HEAVY METAL POTESSE DIVENTARE, DA UNA COSA ‘PER GIOVANI’, A QUALCOSA PER PERSONE PIÙ MATURE, SE NON ‘ANZIANE’, COME POI È DIVENTATO OGGIGIORNO, SIA PER CHI LO ASCOLTA, SIA PER CHI LO SUONA? PUR RESTANDO QUALCOSA DI VITALE E CON UN PUBBLICO AMPIO DI TUTTE LE ETÀ.
– Quello che è avvenuto per il metal è quello che è accaduto per la musica rock in generale: negli anni ’50 c’è stato Elvis ed è nato il rock’n’roll, da lì le persone sono cresciute, invecchiando con la musica.
Lo stesso è accaduto per il metal: quando è nato chi lo suonava e l’ascoltava era giovane, poi le persone sono invecchiate assieme alla musica che ascoltavano. Io sono un metallaro della prima ora e sono ancora qua, il medesimo processo c’è stato per il classic rock, il beat e via dicendo. Alcuni musicisti basilari per il rock’n’roll sono ancora in attività, pensiamo ai Rolling Stones, penso abbiano ottant’anni ormai o ci siano vicini! Alcuni dei loro fan hanno quell’età lì.
Per cui penso che il rock e l’heavy metal non debbano essere per forza musica per persone giovani. Le giovani generazioni hanno le loro band, i loro stili musicali, come accaduto per noi diventeranno grandi assieme a loro. È un processo naturale.

PARLANDO ALLORA DI GRUPPI E MUSICISTI GIOVANI, C’È QUALCUNO, METAL O NON METAL, CHE TI HA IMPRESSIONATO E SEGUI CON INTERESSE?
– Sì, ci sono, anche se i primi che mi vengono in mente riguardano più il metalcore che il metal in senso stretto. C’è un gruppo della mia zona che mi piace molto, si chiamano Any Given Day (formazione di Gelsenkirchen formata nel 2012 e con quattro album all’attivo, ndr). Il nostro chitarrista Jean ha suonato per loro in passato, come chitarrista e bassista.
Loro suonano un tipo di musica differente dal nostro ma mi piacciono, guardano al metal da un’angolazione ben diversa dalla mia e lo fanno proprio bene. Ecco, le nuove generazioni hanno forse un approccio e dei gusti diversi dai miei su come dovrebbe suonare il metal, però tante cose che sento mi piacciono, e comunque è musica per le nuove generazioni e deve piacere soprattutto a loro.

VORREI ORA DARE UNO SGUARDO ALLA VOSTRA PROLIFICA DISCOGRAFIA, PER PARLARE DI QUALCHE CANZONE CHE AMI MA CHE, PER UN MOTIVO O PER L’ALTRO, NON SONO PRESENTI DA TEMPO NELLE SETLIST DEI VOSTRI LIVE. C’È QUALCHE CANZONE CHE AVRESTI VOGLIA DI RIPROPORRE NEI CONCERTI E CHE NON SUONATE DAL VIVO DA TEMPO?
– Recentemente stavamo parlando di rimettere in scaletta “Serial Killer”, da “21” del 2012. Negli ultimi due anni ci siamo rimessi a suonare live canzoni di “Trapped!” e “The Missing Link” che non proponevamo da una vita, abbiamo pure ri-registrato una versione di “The Pit And The Pendulum” per un’edizione speciale, un CD allegato all’edizione tedesca di Rock Hard.

RIMANENDO SULLA VOSTRA DISCOGRAFIA PASSATA, IN QUESTI GIORNI STAVO RIASCOLTANDO ALCUNI DISCHI CHE AL MOMENTO DELLA LORO USCITA EBBERO UN’ACCOGLIENZA NON PER FORZA ENTUSIASTA, MA CHE RITENGO ESSERE INVECCHIATI BENE. TI CITEREI AD ESEMPIO “GHOSTS”, UNO DEGLI ALBUM PIÙ SOFFUSI E MELODICI DEI RAGE, ANCHE UNO DEI PIÙ SPERIMENTALI. COSA PROVI OGGI ASCOLTANDOLO? CHE GIUDIZIO NE DAI ADESSO?
– Anch’io penso che rimanga un disco molto buono, nonostante la line-up si sciolse proprio durante il lavoro in studio e fu difficoltoso terminare il lavoro. Una volta registrato il disco dovetti trovare nuovi musicisti con cui portare avanti i Rage, anche la produzione alla fine non fu esattamente come la desideravo.
Il suono rimane in effetti un po’ leggero per i nostri standard, alcuni parti di chitarra dovettero essere riviste da Victor Smolski, che per esempio finì per risuonare alcuni assoli a mix già ultimato. Ripensandoci adesso, vorrei più chitarre in “Ghosts”, più potenza. Ma all’epoca non si riuscì a fare molto di più, la formazione andò in frantumi e cercai in qualche maniera di finire quanto avevamo cominciato.

UN ALTRO ALBUM CHE SO NON ESSERE CONSIDERATO, SOLITAMENTE, UNO DEI VOSTRI MIGLIORI DISCHI, MA POSSIEDE UN SUONO PECULIARE ANCORA OGGI ATTUALE E ACCATTIVANTE, È “REFLECTIONS OF A SHADOW”. SECONDO TE PERCHÉ È PASSATO UN PO’ IN SORDINA E HA RICEVUTO GIUDIZI MOLTO CONTRASTANTI?
– Per fortuna oggigiorno in molti l’hanno rivalutato e alcuni lo considerano addirittura uno dei loro preferiti della nostra discografia. È un grande album, probabilmente non è stato ben compreso al momento della sua uscita. Un po’ è stata anche colpa nostra, abbiamo commesso alcuni stupidi errori su quel disco.
Mi riferisco all’ordine delle canzoni, scegliere come opener “That’s Human Bondage” non è la maniera migliore per aprire, all’interno di “Reflections Of A Shadow” ci sono sicuramente canzoni migliori e più d’impatto che avrebbero meritato di stare in apertura. Già quella successiva, “True Face In Everyone”, sarebbe stata più efficace e adatta allo scopo.
All’epoca avevamo il desiderio di sperimentare, quelle eccezioni al nostro suono che avevamo piazzato nel disco oggi sarebbero probabilmente meglio accettate dai fan, ai tempi non andò così. Con gli anni, per fortuna, l’opinione su “Reflections Of A Shadow” è cambiata in meglio.

MENTRE UN PERIODO GIUSTAMENTE MITIZZATO E MAI MESSO IN DISCUSSIONE È QUELLO DEI PRIMI ALBUM, CHE IN ANNI RECENTI HAI DECISO DI OMAGGIARE FORMANDO I REFUGE, ASSIEME A CHRIS EFTHIMIADIS E MANNI SCHMIDT, PRESENTI IN ALCUNI DEGLI ALBUM DEI RAGE DI MAGGIOR SUCCESSO DEI RAGE TRA ANNI ’80 E ’90.
HAI IN PROGRAMMA QUALCOSA DI NUOVO CON QUESTA BAND, OPPURE AL MOMENTO SIETE COMPLETAMENTE FERMI CON I REFUGE?

– Attualmente i Refuge sono ‘in ghiaccio’, sono troppo impegnato con i Rage. Avremo Manni e Chris sul palco con noi per alcuni concerti speciali, durante il 2024, principalmente festival. Mentre con i Refuge per ora non ci sono piani di alcun tipo, né dal punto discografico, né per suonare dal vivo. Ma non è detto che ciò non possa succedere più avanti, mentre adesso i Rage si prendono tutto il tempo e le energie che gli posso dedicare.

HO UN’ULTIMA DOMANDA, E TE LA FACCIO SU QUELLA CHE È UNA DELLE MIE CANZONI PREFERITE DEI RAGE E PIÙ IN GENERALE DEL METAL TEDESCO, OVVERO “LIGHT INTO THE DARKNESS”. HAI QUALCOSA DA RACCONTARCI SU QUEL BRANO E COME VENNE CREATO?
– Sì, ho in effetti un aneddoto particolare su “Light Into The Darkness”. Poco dopo l’uscita di “Secrets In A Weird World” andammo in tour in Giappone e incontrai un fan che mi confidò come quella canzone gli avesse salvato la vita: stava addirittura pensando al suicidio, poi lesse i testi di quel pezzo, ascoltò la musica e gli infuse della nuova speranza.
Quindi quando mi incontrò mi ringraziò per “Light Into The Darkness”, per come gli avesse impedito di commettere un atto così stupido. Come puoi capire, è una storia che mi è rimasta impressa e difficilmente mi scoderò mai.

 

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