Dopo avere sorpreso il circuito doom-death metal underground con un promo di ottima fattura nel 2013, i Raspail, alcune settimane fa, sono finalmente riusciti a dare alle stampe il loro primo vero album, “Dirge”. Il progetto con base a Roma, nato da un’idea di musicisti con un passato e/o un fulgido presente in formazioni come Klimt 1918, Room With A View e Novembre, ha già smesso i panni di tributo a vecchie sonorità anni Novanta, per mostrare invece un’anima più originale e ricercata. I Raspail di “Dirge” si affermano infatti come una realtà ibrida, abilissima nell’unire versatilità e coerenza stilistica; ogni volta che viene aggiunto un nuovo elemento, le caratteristiche della band risultano rielaborate, non snaturate. Per certi ascoltatori particolarmente tradizionalisti, la presenza di formule drone, ambient e post rock nella base metal sarà forse difficile da digerire al primo ascolto, ma ne basteranno pochi ulteriori per cogliere l’indubbia qualità dei brani, e a quel punto, il ‘viaggio’ dei Raspail sarà vissuto con la giusta intensità. Ascoltando le nuove composizioni, non solo sembrano lontani l’introspezione contemplativa di matrice Katatonia e October Tide e gli omaggi agli eroi di un tempo, ma si ha anche l’impressione che il gruppo sia capace di donare al filone doom-death nuove vie di espressione, grazie a soluzioni particolarmente personali che meritano di essere ‘sentite’ in tutti i significati del verbo, non solo quello di ascoltare. Abbiamo indagato sulla natura e i piani dei ragazzi con il chitarrista Israfil e il cantante Ianus.
I RASPAIL NASCONO COME SORTA DI PROGETTO PARALLELO/TRIBUTO PER DARE SFOGO ALLA PROPRIA PASSIONE PER LE VECCHIE SONORITA’ DEATH E DOOM METAL. “DIRGE” TUTTAVIA DICE ANCHE ALTRO. QUANTO E COME E’ CAMBIATO IL VOSTRO APPROCCIO DAGLI ‘ESORDI’ AD OGGI?
Israfil: “E’ avvenuto tutto in maniera naturale. Siamo partiti con l’idea di lavorare a dei brani che omaggiassero un certo tipo di doom death metal Anni ’90. Mi riferisco soprattutto ai Katatonia di ‘Dance of December Souls’ e ‘For Funeral To Come’, agli October Tide di ‘Rain without End’ e ai Paradise Lost di ‘Gothic’. Ma poi, con il passare del tempo, abbiamo incluso nelle nostre sonorità elementi provenienti dai nostri ascolti attuali. Questo ci ha permesso di rendere il sound della band ancora più rarefatto e gelido. Il risultato ci soddisfa molto. Ascoltare ‘Dirge’ è come ascoltare un album di vent’anni fa suonato da una band di post-rocker che si cimenta con il death metal per la prima volta. Come se Gregor Mackintosh e Anders Nystrom avessero jammato con Neil Halstead e Munaf Rayani”.
“DIRGE”, IL VOSTRO DEBUT ALBUM, E’ IN EFFETTI TUTTO FUORCHE’ UN DISCO TRADIZIONALISTA. SI SENTE CERTAMENTE UN’IMPRONTA DOOM-DEATH METAL, MA LE COMPOSIZIONI SONO INTRISE DI ELEMENTI POST ROCK, DRONE E AMBIENT, I QUALI DANNO AL TUTTO UN CARATTERE MOLTO PERSONALE. ALCUNE DI QUESTE SOLUZIONI SONO IN ORIGINE STATE PENSATE PER I KLIMT 1918 PER POI ESSERE ‘DIROTTATE’ SUI RASPAIL, UNA VOLTA RITENUTE POCO ADATTE AL SUDDETTO GRUPPO?
Israfil: “C’è una canzone del disco, intitolata ‘Et in Arcadia Ego’, che all’inizio doveva essere contenuta in ‘Undressed Momento’ dei Klimt 1918. All’epoca si chiamava ‘Supreme Dead Poets’ e ovviamente non conteneva growl vocals. Ma il suo stile non c’entrava nulla con quello di ‘UM’, così decidemmo di non utilizzarla più. La voglia di fondare una band che approfondisse il percorso stilistico primordiale dei Klimt 1918, è sempre rimasta. Così, partendo proprio da ‘Et in Arcadia Ego’, ho cominciato a comporre materiale molto old school accentuando il più possibile le asperità death metal. Quindi recuperando growl & scream vocals, chitarra downtuned e batteria doppia cassa. In ogni caso, come ho avuto modo di scrivere tempo fa sulla pagina dei Klimt 1918, c’è molto di ‘Sentimentale Jugend’ in ‘Dirge’. Molte delle suggestioni super ambient di quell’album hanno influenzato anche gli arrangiamenti dei Raspail. E’ stato abbastanza normale sperimentare certe sonorità nu-gaze fondendole con il doom death metal. In fin dei conti ci sono in giro progetti pazzeschi come i Nadja di Aidan Backer che propongono un drone-doom pesantissimo quasi completamente sconosciuto al pubblico metal. Mi vengono in mente anche i vecchissimi Winter: musica lenta, viscerale, brutale ma sempre dannatamente cosmica ed atmosferica”.
QUANDO COMPONETE UN BRANO INIZIATE DA UN’IDEA SUL CONCEPT, DA UN RIFF UNA MELODIA O COS’ALTRO?
Israfil: “Sì, solitamente lavoro su un tema centrale. Un movimento drammatico ed epico. Poi intorno ad esso costruisco melodie ed armonizzazioni. Il risultato è un’atmosfera corale che accentuo molto usando rumori, droni di plettrate, ebow, slide guitar e vere e proprie esplosioni ricavate percuotendo la chitarra. In certi passaggi ho usato anche un archetto e un pennello per carezzare le corde in maniera lieve ed ottenere atmosfere molto rarefatte ed indistinte. Tutte tecniche shoegaze e post rock. Ci tengo a sottolineare che sul disco non c’è una sola traccia di tastiere. Io odio il progressive e i musicisti che si fanno le pippe con gli strumenti. Il post rock ha insegnato che è possibile approcciare atmosfericità, lirismo e rarefazione in maniera molto punk: poche note, riverberi e delay invece di sintetizzatori e keys. Insomma, un suono analogico, sporco e vero. Come dovrebbe essere il death metal”.
QUAL E’ L’ASPETTO DEL COMPORRE CHE PIU’ VI ENTUSIASMA? E QUAL E’ QUELLO CHE PIU’ VI SCORAGGIA?
Israfil: “La ricerca sonora è l’aspetto più interessante. Ho perso tantissimo tempo nel trovare i suoni giusti di chitarra lavorando con diversi pedali, diversi delay analogici e digitali, un numero enorme di riverberi. La produzione di Francesco Conte è stata determinante in questo senso. Ha messo a disposizione tutta la sua esperienza audiologica, soprattutto per quanto riguarda le parti del disco più dilatate e psichedeliche. Non c’è un aspetto del comporre che mi scoraggia. Io vivrei sempre in studio e passerei intere giornate a comporre nuovo materiale. Semmai quello che mi deprime è che questo lavoro venga ignorato o peggio ancora completamente frainteso”.
Ianus: “Aggiungo solo una piccola postilla: sono pienamente d’accordo con quanto Israfil scrive, sullo scoramento provocato da coloro i quali non riescono ad andare al di là di certe etichette, vanificando a volte tutta la mole di lavoro intrapresa. Nel nostro booklet, nelle nostre bio e nelle nostre dichiarazioni è chiaramente evidenziato il nostro rifiutare l’uso di tastiere e sintetizzatori. Eppure in molte recensioni, anche molto positive, qualcuno sembra ancora non accorgersene”.
NELL’ALBUM COMPAIONO ANCHE I TRE PEZZI DELL’EP, LIEVEMENTE RIVISTI. QUAL E’ STATO IL PRIMO BRANO CHE AVETE COMPOSTO PENSANDO AL FULL-LENGTH? E QUAL E’ L’ULTIMO IN ORDINE DI TEMPO? PENSATE CHE L’ULTIMO POSSA INDICARE LA VIA PER LE FUTURE COMPOSIZIONI DEI RASPAIL?
Israfil: “Il primo brano che ho composto dopo la pubblicazione del promo è stato ‘The Nymph‘s Wood Hymn to the Rising Sun’. In effetti mantiene una certa continuità con il primo materiale: chitarre armonizzate, doppia cassa, arpeggi. Le ultime canzoni, in ordine di tempo, ad essere state composte sono ‘Vesevo’ e ‘The Wanderer’. Il suono futuro dei Raspail è ben rappresentato da questi brani: splettrate black metal, linee massicce di bass VI super riverberato e batteria minimale. Zero doppia cassa, tempi lentissimi. Un grande impatto epico reso ancora più devastante dal growl e dallo scream di Ianus”.
IL DISCO E’ RICCO DI ELEMENTI, EPPURE RIESCE A SUONARE CRUDO E SPONTANEO. COME AVETE LAVORATO ALLA PRODUZIONE DEL LAVORO? SEMBRA CHE ABBIATE VOLUTO CERCARE UN APPROCCIO LONTANO DALLE COSIDDETTE MEGA-PRODUZIONI DI OGGI.
Israfil: “Su ‘Dirge’ abbiamo usato suoni di chitarra non particolarmente distorti ma che risultassero allo stesso modo corrosivi e, come dici tu, ‘crudi’. Spesso facendo il percorso al contrario, eliminando cioè un po’ di gain, usando fuzz invece che distorsioni, è possibile essere death metal, senza ammorbare il mixing di frequenze difficili da gestire. Poi ho usato un bass VI per registrare tutte le chitarre ritmiche. Questo ha donato possanza e vigore in modo semplice e naturale. Noi siamo un po’ nemici del metal odierno. Pensiamo tutto il male possibile di quei produttori che lo hanno trasformato nel corso degli anni in una sorta di sport ginnico-compulsivo. Capisco l’uso dell’hard disk recording come strumento per ammortare drasticamente i costi di registrazione. Anche noi ne sappiamo qualcosa, essendo ‘Dirge’ un prodotto assemblato quasi interamente ‘In the box’. Ma spingere al parossismo l’uso delle macchine comporta neoplasie sonore sempre più gravi che si estendono di strumento in strumento come una sorta di metastasi musicale. Tutto è iniziato qualche anno fa con i trigger della batteria e le quantizzazioni. Poi è stata la volta delle chitarre, del basso e della voce. Tutto messo in riga, tutto senza sbavature, senza rumori e senza feedback compiendo lavori sempre più estesi di editing e copia incolla. L’innalzamento progressivo del livello medio di volume dei dischi, quel fenomeno che oggi viene chiamato ‘loudness war’, ha rappresentato una sorta di colpo di grazia per il death metal, un genere nato proprio per celebrare il rumore e tutte le sue innumerevoli sfumature. Da questo punto di vista il black metal ha dimostrato maggiore refrattarietà nei confronti di certe aberrazioni produttive. Nonostante tutto, il futuro fa ben sperare. Ci sono sempre più band death che stanno riscoprendo produzioni analogiche e suoni veri. Mi viene da pensare a Grave Miasma, Blood Incantation, Chthe’ilist. Tutte validissime band con un sound finalmente liberato da certe esagerazioni”.
A LIVELLO LIRICO DOVE GUARDANO E DA COSA TRAGGONO ISPIRAZIONE I RASPAIL? DI COSA PARLA “DIRGE”? NELLA PRESENTAZIONE DEL DISCO AVETE SOTTOLINEATO L’INFLUENZA CHE ROMA E DINTORNI HANNO ESERCITATO SULLA VOSTRA PROPOSTA…
Ianus: “Sì, senz’altro Roma e i suoi dintorni sono stati fondamentali per la stesura dei testi, e non solo. Come potrai immaginare la musica è venuta prima della parole, che sono nate di conseguenza. La cosa sorprendente è che quando io ed Israfil ci siamo confrontati sull’immaginario dietro le note e le parole, sorprendentemente è venuta fuori una fonte comune. Però forse è un po’ limitante e quasi naif dire che Roma ed i suoi dintorni siano la fonte unica: il nostro disco non è certo una guida turistica. E’ certo che comunque la sua storia abbia lasciato un solco profondo nel nostro background culturale. La Roma e le sue campagne a cui facciamo riferimento è una città che non esiste più, è un ideale più che un qualcosa di concreto. E’ quel mondo vagheggiato dai poeti romantici, con le sue rovine ancora torreggianti ricoperte dai rampicanti e divenute rifugio per animali e briganti, che i grandi artisti ammiravano al chiaro della luna o durante le feste patronali; è l’Italia e la Roma del grand tour, con i suoi pascoli che dall’area urbana raggiungevano la costa e l’entroterra senza soluzione di continuità; è la Roma bucolica di Virgilio. Di tutto ciò rimane solo qualche lembo, qualche vago ricordo. Sono artisti come Turner, Friederich, Wright of Derby, Dahl, Lord Byron, Keats, Shelley che mi hanno ispirato a livello lirico. ‘Dirge’ parla un po’ di tutte queste cose. ‘The Nymph’s Wood Hymn to the Rising Sun’ ne è un chiaro esempio: è il titolo, leggermente alterato, di un fantastico dipinto di Francis Danby. Parla dell’alternarsi delle stagioni, con un chiaro riferimento alle fasi della nostra esistenza, ed è ‘disegnato’ pensando a quei paesaggi a noi così cari e familiari. E potrei dirti di ‘Ver Sacrum’, con i suoi riferimenti alle ritualità campestri con un estratto da ‘Inno a Pan’ di Crowley, e ‘Et in Arcadia Ego’, che è un omaggio a tutti quei grandi nomi che ho già citato”.
SONO TRASCORSI BEN TRE ANNI FRA LA PUBBLICAZIONE DEL VOSTRO EP D’ESORDIO E QUELLA DELL’ALBUM. OGGIGIORNO LE BAND HANNO RITMI MOLTO SERRATI NELLE USCITE. PENSATE CHE – ORA CHE LO ‘SCOGLIO’ DEL DEBUT ALBUM E’ STATO SUPERATO E CHE IL GRUPPO STA INIZIANDO A FARSI UN NOME – RIUSCIRETE A FARVI VIVI CON UNA CERTA REGOLARITA’? OPPURE SEGUIRETE IL MODELLO KLIMT 1918, CON DISCHI SEMPRE MOLTO PENSATI E ATTESI?
Israfil: “La ricerca della qualità è sempre importante. Mai cimentarsi nelle registrazioni di un album solo per il gusto di dare un seguito al suo predecessore. Troppe band si sono rovinate forzando i tempi. Ed è esattamente quello che non vogliamo fare noi. Io sto già lavorando ai pezzi nuovi. Ma lavoro con lentezza perché credo nella validità di questo modus operandi. Nonostante tutto, spero che i tempi di produzione del prossimo disco non siano lunghi come quelli dei Klimt 1918. Otto anni sono davvero troppi”.
I RASPAIL PREVEDONO DI SUONARE DAL VIVO? O LA CONDIZIONE IDEALE PER VOI E’ IL PROGETTO DA STUDIO?
Ianus: “Sicuramente, considerando ‘Dirge’ e vista la sua immane stratificazione sonora la dimensione da studio è sicuramente la più consona. Tuttavia vorremmo fortemente portare la nostra musica su un palco. E’ chiaro che, considerando la complessità del materiale, i nostri impegni, le distanze che ci separano (Zeno, il nostro bassista, vive a Praga) non sarà una cosa che potrà avverarsi nell’immediato. Ma credo che entro il 2017 ci potrebbero essere delle novità in tal senso”.
IL 2016 SI E’ APPENA CONCLUSO. QUALI SONO I DISCHI DI QUEST’ANNO CHE AVETE ASCOLTATO CON PIU’ PIACERE?
Israfil: “Io non sono un grande ascoltatore di metal, ormai. Ma ci sono dei dischi che ho trovato molto interessanti quest’anno, come ad esempio ‘Empty Space Meditation’ degli Urfaust, molto lirico e pieno di stecche di batteria. Come dovrebbe suonare cioè un vero disco di black metal atmosferico. ‘Autumn’ dei Coldworld, ambientale e dinamico; ‘Starspawn’ dei Blood Incantation, che mi ha fatto viaggiare indietro nel tempo fino agli indimenticabili Anni ’90, e soprattutto ‘Four Phantoms’ dei Bell Witch. Anche se si tratta di un album uscito nel del 2015, è in assoluto il disco metal che ho ascoltato di più quest’anno. Un’esperienza quasi trascendentale”.
Ianus: “Sai, per me è difficile risponderti, in quanto spesso mi perdo tra le uscite e dimentico quando un disco sia stato pubblicato o meno. Detto questo in ambito metal nel 2016 mi hanno fortemente impressionato i Grave Miasma con il loro bellissimo singolo ‘Endless Pilgrimage’, i Chthe’ilist e i Coldworld. Notevoli anche i Dead Congregation, con il loro monolitico death metal, e poi, anche se non usciti quest’anno, i Bell Witch ed i Tribulation. Diciamo che, ed in questo mi associo ad Israfil: queste band che sembrano ricercare un ritorno al passato, da un punto di vista produttivo e compositivo, sono quelle che maggiormente hanno attirato la mia attenzione”.
MOLTISSIME BAND DEI PRIMI ANNI NOVANTA SONO RECENTEMENTE TORNATE IN ATTIVITA’ E, IN GENERALE, SI RESPIRA UNA CERTA VOGLIA DI REVIVAL FRA LE PERSONE CHE, DA MUSICISTI O ASCOLTATORI, FACEVANO PARTE DELLA SCENA ALL’EPOCA. VOI VI SENTITE COINVOLTI DA TALE ‘NOSTALGIA’? VI CAPITA DI ASCOLTARE PIU’ SPESSO ALBUM DI QUEL PERIODO O DI SENTIRVI ATTRATTI DA NUOVI GRUPPI O SONORITA’ CHE HANNO LE RADICI IN QUEL PERIODO?
Ianus: Più che coinvolti, io direi che non ne siamo mai usciti. Scherzi a parte… Come avrai desunto dalle nostre risposte quel periodo per noi rimane di fondamentale importanza, sebbene a mio avviso ‘Dirge’ sia tutto tranne che un disco nostalgico. Chiaro, vi sono dei riferimenti, probabilmente sempre ci saranno, anche se non voluti visto quanto quel periodo musicale per noi sia stato importante. Apprezzo molto, come già rispondevo nella precedente domanda, quelle band che in qualche modo si vanno ribellando alle produzioni iper muscolari degli ultimi anni, predicando un ritorno alle origini. Prendi i Blood Incantation, i Chthe’ilist, i Dead Congregation: era dai tempi dei primi Morbid Angel che non ascoltavo qualcosa del genere. La cosa interessante è che questo suono e questo modo di comporre ‘vintage’ non risulta forzato, una moda. E’ un qualcosa che viene dal profondo, una necessità. Per quanto riguarda le reunion che posso dirti? Sicuramente da fan mi ha fatto piacere rivedere in carreggiata i vari Carcass, At The Gates, etc. E’ chiaro che dietro vi sia anche un tornaconto economico, ma pazienza. Il mondo della musica estrema è cambiato. Ascolto metal molto meno ora, ma quando metto su un disco difficilmente si esce da quel periodo. Se butto un occhio al mio stereo vedo che ci sono i Bolt Thrower e ‘Gothic’ dei Paradise Lost confusi nella pila di dischi dei miei ultimi ascolti”.
PER CONCLUDERE, VORRESTE SPIEGARCI L’ORIGINE DEL NOME RASPAIL?
Ianus: “Grazie per la domanda, in molti se lo sono chiesto e mi fa piacere darti una spiegazione. Hai presente la copertina di ‘Within the Realm of a Dying Sun’ dei Dead Can Dance? Ebbene, quello che per me ed Israfil è una della pietre miliari della storia della musica, un grandissimo disco senza tempo, è anche il ‘responsabile’ del nome della nostra band. La foto in copertina mostra una delle più affascinanti tombe del cimitero parigino Pere Lachaise, appartenente appunto alla famiglia Raspail. Il più illustre membro di questa famiglia, Francois Vincent, è stato un rivoluzionario, politico e scienziato francese, ma credimi non c’è nessun riferimento a lui nel nostro nome, come non vi sono riferimenti ai suoi ideali politici. E’ un omaggio ad un grande disco. La silhouette della figura velata piangente scolpita su un fianco della tomba è stata integrata con grande maestria dall’artista francese che ha realizzato il nostro artwork, cioè Pierre Perichaud, per gli amici Business for Satan. Tutto qui”.