RED HARVEST – La Rivoluzione Industriale incompresa

Pubblicato il 26/03/2017 da

Chiunque abbia seguito la carriera dei Red Harvest negli anni di maggiore esposizione del gruppo norvegese, vale a dire a partire dal passaggio in Relapse in occasione della pubblicazione di “Sick Transit Gloria Mundi”, sa bene che la qualità enorme della discografia non è mai stata bilanciata da un successo di pubblico adeguato. L’identità camaleontica di questi industrial metaller ha fatto quasi sempre spellare le mani alla critica, che difficilmente non ha riconosciuto alla band la perfetta riuscita di dischi anticonformisti, indescrivibili e sbigottenti in molti passaggi, densi di dettagli, richiedenti ogni volta tempo e attenzione per essere capiti appieno. Nonostante il grande impatto di molti brani della seconda parte di carriera, appunto quella che va da ‘Sick Transit Gloria Mundi’ fino allo scioglimento nel 2010, e un’attività live che li ha visti in giro pure con un nome di forte appeal come gli Arcturus, l’agognato salto di qualità in termini di numeri di vendita e interesse generale non c’è mai stato. La ripresa dell’attività dell’anno passato, con una sfolgorante riapparizione in quel del Blastfest che abbiamo avuto il piacere di ammirare in presa diretta, ha dato il là alla resurrezione completa del quintetto di Oslo. La bella ristampa di “Hybreed”, masterpiece dimenticato di cui vi abbiamo recentemente parlato nella rubrica “I Bellissimi” (qui la recensione), ci ha dato l’opportunità di parlare con il chitarrista Kjetil Eggum, deciso come i suoi compagni a dare nuova linfa vitale alla band tramite la realizzazione di un nuovo album e un’attività live non sporadica. Insomma, sia che li amiate ala follia e ci siate rimasti male per lo split, sia che ne sappiate poco e desideriate recuperare il tempo perduto, i Red Harvest sono qui per voi e per popolare di incubi industriali i vostri giorni e le vostre notti.

COSÌ È ARRIVATO IL TEMPO DI RIESUMARE I RED HARVEST E RIMETTERE LA LORO MUSICA A DISPOSIZIONE DI TUTTO IL MONDO. COME È MATURATA L’IDEA DI RIPARTIRE CON QUEST’AVVENTURA? CHI È STATO IL PRIMO FRA DI VOI AD AVERE L’IDEA DELLA REUNION?
“È stata l’offerta pervenuta dal Blastfest per suonare all’edizione 2016 a farci decidere di ricominciare a suonare assieme. Quando ci siamo fermati, ciò è avvenuto perché eravamo stanchi e sfibrati un po’ di tutto quello che stava attorno a noi. Non perché ci fossero degli attriti personali o non fossimo più amici. Con il passare degli anni, molte cose sono accadute. I problemi più grossi da risolvere una volta deciso di tornare a suonare assieme erano legati alle distanze geografiche, perché ora viviamo tutti lontani gli uni dagli altri”.

NEL 2016 AVETE SUONATO UN NUMERO SELEZIONATO DI SHOW. IL PRIMO È STATO APPUNTO QUELLO A BERGEN IN OCCASIONE DEL BLASTFEST. C’ERO E CREDO SIA STATO UNO DEI MIGLIORI SHOW DEL FESTIVAL. VI ASPETTAVATE DI SUONARE UN CONCERTO COSÌ BUONO? QUALI ERANO LE VOSTRE SENSAZIONI DURANTE L’ESIBIZIONE E COME VI HA INFLUENZATO SULLA DECISIONE DI SUONARE ANCORA DAL VIVO DURANTE L’ANNO E DI PROSEGUIRE L’ATTIVITÀ?
“Ti ringrazio delle belle parole per il nostro concerto al Blastfest! È stata un’esperienza forte e speciale. Già durante le prove ci eravamo resi conto che andava tutto alla perfezione fra noi. Non ci sentivamo come se fossero passati sei-sette anni dall’ultima volta che avevamo suonato tutti assieme. Quindi abbiamo preso fiducia da quel concerto e deciso che avremmo suonato ancora, se le offerte fossero state all’altezza. Ci siamo accorti che l’atmosfera nella band è molto più rilassata di un tempo, il che ci ha portato anche all’idea di registrare qualcosa di nuovo nel corso del 2017”.

AVETE APPENA RISTAMPATO “HYBREED” IN CD E FORMATO DIGITALE, MENTRE NEL 2016 AVEVATE RIPUBBLICATO IL DISCO SU CASSETTA. RITENGO “HYBREED” UN VERO MASTERPIECE, MOLTO SOTTOVALUTATO ALL’EPOCA DELLA SUA USCITA E ANCHE SUCCESSIVAMENTE, ANCHE A CAUSA DELLA SUA DIFFICILE REPERIBILITÀ. QUAL È IL TUO GIUDIZIO SU QUEL DISCO? COME HA INFLUENZATO LE VOSTRE FUTURE EVOLUZIONI?
“Guardando indietro ad ‘Hybreed’, ne colgo sia la forza che la debolezza. È stato un atto di coraggio, da un certo punto di vista, realizzare qualcosa di simile, quasi come se avessimo chiesto a noi stessi di produrre musica difficile da concepire e destinata all’insuccesso. Ma è stata un’uscita importante, ci ha permesso di rompere delle barriere, di suonare quello che avevamo dentro e di catturare alcune chance importanti, che hanno portato all’evoluzione successiva del nostro sound. Penso abbia avuto un impatto superiore nella scena alternative del periodo che non su quella metal. Mi piace molto anche la versione rimasterizzata, suona più nitida e definita dell’originale”.

IN “HYBREED” POSSIAMO TROVARE MOMENTI MUSICALI MOLTO DIFFERENTI FRA LORO, DA ASSALTI INDUSTRIAL AL DOOM ‘TECNOLOGICO’ DI UNA “ON SACRED GROUND”. COME AVETE SVILUPPATO IL DISCO AL TEMPO, SPERIMENTANDO CON TUTTI QUESTI STILI, EFFETTI, SOUNDSCAPE COSÌ ETEROGENEI?
“’Hybreed’ È un prodotto dei tempi che stavamo vivendo, degli ascolti che avevamo in quel momento e da cui eravamo influenzati. Come dici tu, l’album è diviso in canzoni dal taglio molto diverso. Ad aprirci gli occhi e offrirci un’interpretazione nuova di quello che potevamo suonare, oltre all’inizio della collaborazione con Lrz (Lars Sørensen), è stato Deathprod (Helge Sten), che ci ha fatto prendere confidenza su come utilizzare loop, suoni, stratificazioni, feedback. Cose che non avevamo mai tentato prima e sono diventate sempre più diffuse nel nostro sound”.

PER LA RISTAMPA AVETE OPTATO PER UN NUOVO ARTWORK, CHE NON HA ALCUN COLLEGAMENTO CON QUELLO ORIGINARIO. PERCHÉ QUESTA SCELTA? NON SIETE MAI STATI VERAMENTE SODDISFATTI DI QUEL LAVORO GRAFICO, OPPURE VOLEVATE SEGNARE UNA DISCONTINUITÀ COL PASSATO?
“Ci è stato offerto dalla casa discografica di ridisegnare l’intero package e ci siamo detti che sarebbe stata una buona idea, che andava d’accordo con alcune nuove influenze emerse successivamente. L’artista che se n’è occupato, Dehn Sora, ha compiuto un lavoro molto valido. Un’altra ragione per cambiare l’artwork è che i file originari sono andati persi da tempo”.

ANCHE I VOSTRI PRIMI DUE ALBUM, “NOMINDSLAND” E “THERE’S BEAUTY IN THE PURITY OF SADNESS”, SONO FUORI CATALOGO DA ANNI. STATE LAVORANDO ANCHE ALLA LORO RISTAMPA?
“No, non penso che succederà, almeno non a breve termine”.

I RED HARVEST SONO SEMPRE RIMASTI UN GRUPPO AMATO DALLA CRITICA E DA UNA PICCOLA FETTA DI FAN, MA NON HANNO MAI FATTO BRECCIA IN LARGHI STRATI DEL PUBBLICO METAL. ANCHE DOPO IL VOSTRO ARRIVO IN RELAPSE PER “COLD DARK MATTER” SIETE RIMASTI IN UNA NICCHIA. QUALI SONO LE RAGIONI CHE NON VI HANNO CONDOTTO A DIVENTARE UNA REALTÀ PIÙ MAINSTREAM COME FEAR FACTORY, MINISTRY O STRAPPING YOUNG LAD, CHE HANNO ALCUNI PUNTI IN COMUNE CON VOI?
“Abbiamo sempre scritto musica difficile, non proprio diretta o facile da comprendere. Onestamente, saremmo anche in grado di scrivere un disco di solo industrial metal possente e diretto, o comporre qualcosa ‘alla Neurosis’, seguendo certi trend di adesso. Ma a noi piace mischiare le carte. E questo metodo non incontra esattamente i gusti delle masse. Prendere o lasciare, nuota o affonda!”.

SIETE SEMPRE STATI UN CASO A PARTE DELLA SCENA NORVEGESE, MA ANCHE GUARDANDO FUORI DALLA VOSTRA NAZIONE È DIFFICILE RINTRACCIARE, SIA NEGLI ANNI NOVANTA CHE OGGIGIORNO, ALTRE BAND SIMILI ALLA VOSTRA. RIUSCIRESTI A FARMI IL NOME DI QUALCHE GRUPPO CHE HA AVUTO UN’EVOLUZIONE SIMILE  A QUELLA DEI RED HARVEST?
“Non saprei proprio! I Red Harvest sono il prodotto di cinque persone con background molto differenti, ed è questo incrocio di gusti e conoscenze che produce la nostra musica. Altre band magari sono più metal, più elettroniche, più o meno melodiche, non me ne viene in mente una che assomigli a noi!”.

I SOUNDSCAPE APOCALITTICI CHE TINTEGGIATE CON CHITARRE E TASTIERE RAPPRESENTANO IL PUNTO FOCALE DELLA VOSTRA IDENTITÀ SONORA, ASSIEME ALLA VOCE BARITONALE DI JIMMY BERGSTEN. COME SIETE ARRIVATI A COSTRUIRE QUESTI ASPETTI PECULIARI DEL VOSTRO SOUND E DA DOVE SIETE PARTITI PER OTTENERE IL VOSTRO TIPICO STILE?
“La band ha intrapreso un grosso cambiamento fra il primo e il secondo album, e anche fra il secondo e il terzo. I fondamenti del nostro particolare assemblato di elementi industrial e le derive alternative/sperimentali le possiamo riscontrare soprattutto nel periodo 1994-95”.

QUALI SONO LE PRINCIPALI BAND NON METAL E I GENERI CHE HANNO PERMESSO DI FORGIARE L’IDENTITÀ ARTISTICA DEI RED HARVEST?
“Fields Of Nephilim e Dead Can Dance sono stati le maggiori influenze non metal che abbiamo ricevuto. E aggiungerei anche Ozric Tentacles e Hawkwind”.

QUAL È L’ALBUM CHE PREFERISCI ALL’INTERNO DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA E PER QUALE MOTIVO? E QUAL È INVECE QUELLO CHE TI CONVINCE DI MENO?
“Ritengo ‘A Greater Darkness’ il nostro album più completo, con ‘Sick Transit Gloria Mundi’ al secondo posto. Ma questi due dischi non ci sarebbero mai stati senza ‘Hybreed’. Il nostro primo full-length proprio non mi piace. Anche il secondo non è granché, ma ha al suo interno almeno un paio di ottimi pezzi”.

C’È UNA CANZONE CHE PER CONTENUTI MUSICALI E LIRICI POTREBBE ESSERE CONSIDERATA IL SIMBOLO DELL’INTERA CARRIERA DEI RED HARVEST?
“Potrebbe essere ‘Hole In Me’ da ‘A Greater Darkness’”.

NEL 2004 E NEL 2005 ANDASTE IN TOUR CON GLI ARCTURUES. FU UN PACKAGE MOLTO INTERESSANTE, COMPRENDENTE DUE COMPAGINI DALL’APPROCCIO AL METAL POCO CONVENZIONALE. COME SIETE ARRIVATI AD ORGANIZZARE UN TOUR CON UNA BAND COSÌ DISTANTE DA VOI, CHE STAVA GUARDANDO A UN AVANT-GARDE DAL TAGLIO PROGRESSIVO CHE POCO C’ENTRAVA CON QUANTO PROPONEVATE?
“Avevamo lo stesso management e la stessa label all’epoca, siamo andati in tour insieme per quei motivi. A essere onesti, non sono sicuro che fosse la band ideale con cui accompagnarsi per i Red Harvest. Ricordi o aneddoti? Niente di che, date andarono bene, ma non accadde nulla di significativo né in positivo né in negativo”.

SUL VOSTRO PROFILO FACEBOOK AVETE SCRITTO ALLA FINE DI OTTOBRE CHE STAVATE PROVANDO ALCUNE IDEE PER UN NUOVO ALBUM. QUALE DIREZIONE ANDRÀ A PRENDERE IL NUOVO MATERIALE?
“Sì, ti confermo che realizzeremo nuova musica e speriamo di entrare in studio di registrazione già in primavera. Siamo sempre dalle parti del nostro tipico industrial metal, solo un po’ più tecnico che in passato”.

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