“War Music”, a quattro anni dal rientro discografico compiuto con “Freedom”, non è esattamente il disco che avremmo desiderato ricevere dai Refused. Superato lo scoglio della delusione iniziale e risentito a mentre fredda, fatica lo stesso a colpire nel segno e a dare quelle fumiganti emozioni che la band svedese è stata così fenomenale ad elargire nei suoi momenti migliori. L’ultimo album è piuttosto una copia sbiadita dei migliori stilemi della formazione, cui non basta la verve guerrigliera del suo leader Dennis Lyxzén per colpire nel segno. Il singer nordico rimane un personaggio iconico della musica alternativa internazionale, un fine pensatore, una persona di pensieri lucidi e profondi, con cui vale la pena interloquire a prescindere da quel che si può pensare della sua musica. Ci siamo quindi introdotti nel mondo Refused in sua compagnia, toccando vari tempi che contraddistinguono un gruppo imprescindibile del panorama punk-hardcore.
COME PRIMA DOMANDA NON POSSO CHE CHIEDERTI DI FARE UN CONFRONTO TRA “FREEDOM” E “WAR MUSIC”, COME AVETE SVILUPPATO IL SUONO NEL TEMPO INTERCORSO FRA I DUE DISCHI E QUALI PENSI SIANO LE PRINCIPALI DIFFERENZE FRA I DUE LAVORI.
– “Freedom” era il frutto di musicisti che non suonavano assieme da quindici-sedici anni. Ci siamo quindi presi, appunto, una grossa ‘libertà’ nello sperimentare e nel cercare di capire quale fosse la nostra identità dopo tutto quel tempo. Il disco è venuto fuori bene ma mi rendo conto che non rappresenti perfettamente l’identità dei Refused. All’epoca eravamo anche andati negli Stati Uniti a registrare, ci eravamo avvalsi di un produttore esterno, mentre per “War Music” abbiamo fatto tutto ‘in casa’, ci siamo prodotti da soli, abbiamo registrato negli studi di nostri amici, chiunque abbia dato una mano nella realizzazione dell’album dalla nostra stretta cerchia di conoscenze. Il modo a cui siamo arrivati al risultato finale, la gestazione di “Freedom” e “War Music”, sono state molto diverse le une dalle altre.
L’ASPETTO LIRICO PER VOI È SEMPRE STATO FONDAMENTALE, MI PIACEREBBE QUINDI SAPERE COME I VOSTRI TESTI SIANO STATI INFLUENZATI DA TUTTO QUELLO CHE È ACCADUTO NEL MONDO DI RECENTE, QUANTO L’ATTUALITÀ SIA ENTRATA NEI PENSIERI E NELLE PAROLE DI “WAR MUSIC”.
– Se come noi sei una band molto politicizzata e attenta agli accadimenti politici/sociali, ti verrà abbastanza facile trovare ispirazione da quello che succede nel mondo, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Un album come il nostro, con il nostro approccio, sembra scritto apposta per i tempi che stiamo vivendo, con le rivolte verso le istituzioni del capitalismo e politiche oppressive dei governi che si stanno sollevando in molte parti del mondo.
PER PROMUOVERE “WAR MUSIC” AVETE REALIZZATO UN VIDEOCLIP PER OGNUNA DELLE CANZONI IN TRACKLIST. VOLEVO SAPERE PERCHÉ AVETE PRESO UNA DECISIONE SIMILE E SE PENSI CHE I VIDEO REALIZZATI RENDANO ADEGUATAMENTE L’ATMOSFERA E IL FEELING DELLE SINGOLE CANZONI.
– Diciamo la verità, per ricreare al meglio le atmosfere delle tracce avremmo avuto bisogno di molti più soldi (risate, ndR). Certo, i filmati proposti descrivono il mood delle singole tracce, sono attinenti a quello che trattano, però devi più pensare a questi video come a delle immagini in movimento rappresentative della canzone, qualcosa che serva ad attrarre l’attenzione sui contenuti sonori. Può funzionare bene se ascolti l’album da Youtube, video come questi aiutano ad avere maggior interesse per quanto stai sentendo.
DI QUELL’IDEA DI CAMBIARE LE REGOLE, REINVENTARE IL PUNK. CHE PORTAVATE AVANTI NEL 1998 CON “THE SHAPE OF PUNK TO COME”, OGGI COSA È RIMASTO? È ANCORA POSSIBILE PROVOCARE UNA RIVOLUZIONE SONORA, COME QUELLA CHE PREANNUNCIAVATE OLTRE VENT’ANNI FA?
– No, parlare di una vera ‘rivoluzione sonora’ sarebbe eccessivo, anche se penso che tutto quello che abbiamo scritto in questi anni sia fresco ed eccitante, non azzarderei che andiamo alla ricerca di una rottura così forte e di stravolgere le regole del gioco. Del resto, anche all’epoca di “The Shape Of Punk To Come” il desiderio principale era quello di creare, partendo dalle nostre maggior influenze, una musica che suonasse fantastica, sorprendente. Non avevamo per forza l’intenzione di suonare sperimentali e sconvolgenti, eravamo carichi e motivati nello scrivere musica che esaltasse prima di tutto noi stessi. Così facendo, siamo arrivati a comporre qualcosa che nel suo piccolo ha portato alcuni aspetti musicali su un altro livello, ha fissato certi standard. “The Shape Of Punk To Come” è diventato un disco ricco di importanti esperimenti, senza che si sia partiti con l’idea di realizzare per forza un album simile: ci siamo giunti grazie alla nostra apertura mentale e al non metterci alcun limite preventivo.
RIGUARDO AL TITOLO DEL NUOVO DISCO, QUALI SONO I NEMICI DA COMBATTERE E QUALI INVECE GLI ALLEATI NELLA GUERRA RICHIAMATA DAL TITOLO, COLORO CHE POSSONO AIUTARE A COSTRUIRE UN MONDI MIGLIORE DI QUELLO ATTUALE?
– Sulla seconda parte della domanda, ognuno di noi può servire allo scopo, può impegnarsi in un’ottica anarchica, socialista, per smantellare l’attuale sistema economico-sociale e contribuire a un miglioramento delle condizioni di vita. I nemici sono presto identificati, sono quell’1% delle persone che detiene il 99% delle ricchezze, coloro che tengono le redini del capitalismo, loro dovrebbero essere i bersagli della nostra guerra. I nemici non sono per forza persone con una visione del mondo diversa dalla nostra, con altre idee politiche, piuttosto sono le persone più ricche e potenti che andrebbero osteggiate. Vorremmo un mondo dove le regole non sono dettate dalle grandi corporation, da chi ha più soldi, ma che avesse uguali opportunità per tutti, egualitario appunto, dove l’economia non dovesse dipendere dagli interessi di pochi individui che prevaricano rispetto alle sorti del resto della popolazione mondiale.
LE MIE CANZONI PREFERITE DI “WAR MUSIC” SONO “I WANNA WATCH THE WORLD BURN” E “MALFIRE”. COME SONO NATE E COME SI SONO SVILUPPATE RISPETTO ALLE IDEE INIZIALI?
– Di solito le idee partono da Kristofer (Steen, chitarrista, ndR) e David (Sandström, batterista, ndR), dopo di che ci riuniamo e lavoriamo assieme per arrivare a un primo scheletro del brano. A quel punto scriviamo le liriche e le melodie. “I Wanna Watch The World Burn” deriva da un riff di David, stava lavorando in studio a Los Angeles quando ha avuto l’ispirazione e nel giro di un pomeriggio aveva pronta tutta la musica e i testi. Per “Malfire”, ricordo che siamo partiti da un riff Kristofer, che ha avuto l’idea per il giro melodico principale, mentre io ho pensato all’intro e al chorus. La prima versione della canzone era molto diversa da quella finita sull’album, l’abbiamo modificata a forza di provarla e ora è una delle mie tracce preferite di “War Music”.
NEL PRESENTARE L’USCITA DI “REV001” SUL VOSTRO SITO UFFICIALE, UTILIZZATE UNA CITAZIONE DELL’AUTRICE DI FANTASCIENZA URSULA K LEGUIN: “VIVIAMO NEL CAPITALISMO, IL SUO POTERE SEMBRA INEVITABILE, MA SI PENSAVA LO FOSSE ANCHE IL DIRITTO DIVINO DEI RE. A QUALSIASI POTERE UMANO SI PUÒ RESISTERE E PUÒ ESSERE MODIFICATO DAGLI ESSERI UMANI”. COME SI LEGA L’OPERA DI QUESTA AUTRICE ALLE VOSTRE IDEE POLITICHE E SOCIALI?
– Quella frase non sta a significare che abbiamo messo al centro del disco questa autrice e le sue idee, semplicemente la citazione menzionata introduce a quelle che sono le tematiche di quella canzone, “REV001”. Nel disco entrano in gioco molteplici altri riferimenti, personaggi, idee, situazioni, Ursula K Leguin è solo una di queste. Puoi vedere nella citazione di questa scrittrice un codice per entrare in simbiosi coi testi e capire il significato profondo del pezzo, lo abbiamo fatto io e David anche per le altre tracce, cercare una frase che potesse facilitare la comprensione di quello che intendevamo comunicare.
QUEST’AUTUNNO SIETE STATI IN TOUR ASSIEME AI THRICE, NELLA FORMULA DI CO-HEADLINER. VORREI CHIEDERTI I MOTIVI DI QUESTA SCELTA E COME GIUDICHI L’INTERO PACCHETTO, CHE VEDEVA PRESENTI PETROL GIRLS PER LA PARTE CONTINENTALE DEL TOUR EUROPEO E I GOUGE AWAY PER LE DATE NEL REGNO UNITO.
– Il suggerimento per questo accoppiamento è arrivato dal nostro management. I Thrice sono cresciuti e sono diventati quello che sono oggi nel periodo in cui noi eravamo fermi, quindi non avevamo forti connessioni con loro. Ci siamo informati e ci siamo accorti che le persone che ascoltano i Thrice spesso seguono anche i Refused, quindi abbiamo capito che l’abbinamento poteva funzionare. In fondo condividiamo coi Thrice un background simile e un certo tipo di estetica. Il tour è andato bene, abbiamo viaggiato e suonato assieme ad ottime persone, tutto è filato liscio. Con i Petrol Girls eravamo stati in tour un paio d’anni fa e ci andava di ripetere l’esperienza. Conoscevamo anche i Gouge Away, sapevamo che in quel periodo erano liberi da impegni e così li abbiamo chiamati.
I REFUSED PROVENGONO DA UMEÅ, UNA CITTÀ CHE OGGI È SICURAMENTE PIÙ CONNESSA AL RESTO DEL MONDO DI QUANTO NON LO FOSSE QUANDO AVETE FORMATO LA BAND. NELLE CONDIZIONI ATTUALI, RITIENI SAREBBE ANCORA POSSIBILE FAR NASCERE E PORTARE AVANTI UN GRUPPO COME IL VOSTRO?
– Tutto può succedere in ogni tempo e in ogni luogo, mai escludere alcuna possibilità, tuttavia ritengo che i Refused potessero manifestarsi come è effettivamente successo solo in quelle specifiche circostanze, in quel momento e con quelle condizioni ambientali. Sarebbe fantastico se oggi da Umeå uscissero dei nuovi Refused, ma le circostanze in cui abbiamo iniziato noi a muoverci sono difficilmente replicabili. L’isolamento, lo scenario politico dell’epoca, sono caratteristici di quel periodo storico, oggi mutato completamente. Per farti un esempio, i primi tempi che suonavamo assieme siano andati avanti a suonare in praticamente ogni angolo della città per un anno. Oggi a Umeå è rimasto un solo piccolo club dove potremmo suonare, una volta che avessimo tenuto un concerto lì una volta dovremmo aspettare almeno altri otto mesi per farlo di nuovo. Le cose adesso si muovono diversamente.
SE NON FOSSI STATO UN MUSICISTA, CHE DIREZIONE PENSI AVREBBE PRESTO LA TUA VITA?
– Non lo so. Ho sempre voluto essere un musicista, ho sempre voluto fare questo tipo di vita. Mi sarebbe magari piaciuto insegnare, laurearmi in scienze politiche e quindi inserirmi nel mondo dell’insegnamento. Ma con il crescente impegno richiesto dalla musica la mia vita ha preso presto tutt’altra piega. Non ho mai avuto grosse indecisioni su cosa fare di me stesso, alla fine l’unica vera opzione possibile che ho avuto in testa era di essere un musicista, finora non mi è successo di avere rimpianti in tal senso.
UNO DEGLI ASPETTI CHE COLPISCE DELLE VOSTRE ESIBIZIONI DAL VIVO SONO I TUOI MOVIMENTI SUL PALCO, COSÌ AGILI E SNODATI, CON UN MOONWALK CHE RICORDA MICHAEL JACKSON, BALZI, SCATTI, BALLI. È QUALCOSA CHE TI DERIVA SOLO DALL’ISTINTO, CHE FAI SENZA PENSARCI TROPPO? SEGUI ANCHE UN CERTO TIPO DI ALLENAMENTO PER MANTENERTI COSÌ AGILE E FRIZZANTE?
– Quando ho iniziato a suonare, ero il singer di una punk rock band e mi piaceva impersonare il modo di fare tipico di un cantante punk. Un modello di ispirazione era Henry Rollins, un vero ‘tough guy’. Cercavo ispirazione per essere a mio agio coi movimenti del corpo, a metà anni ’90 ero coinvolto nella soul music, mi piaceva molto James Brown ad esempio. Ho cercato di trasportare quel tipo di movimenti nella musica heavy e sì, ho provato quel modo di far interagire il corpo con la musica per trovare un mio modo di essere sul palco. Mi è sempre piaciuto danzare, ma non è così immediato passare da quello che vedi fare da altri artisti a comportarti allo stesso modo. Ho studiato lo stage acting di Iggy Pop, Mick Jagger, per andare oltre quello che facevano solitamente i cantanti punk.
RESTANDO SUI LIVE, TI CONFESSO CHE UNA DELLE MIE PIÙ GRANDI EMOZIONI DA FREQUENTATORE DI CONCERTI È STATO IL VOSTRO SHOW ALL’HELLFEST 2012. IL CLIMA DI FREMENTE ATTESA RESPIRATO IN QUELL’OCCASIONE E LA SENSAZIONE DI VIVERE QUALCOSA DI UNICO E SPECIALE PROVATA DURANTE IL CONCERTO MI È CAPITATO DI VIVERLE POCHE VOLTE. COSA RICORDI DI QUELL’ESPERIENZA? ANCHE VOI SENTIVATE L’IMPORTANZA DELL’EVENTO COME IL PUBBLICO?
– Ricordo bene quello show, fu grandioso. Ne ho suonati tanti in vita mia, quello è uno di quelli che emerge e ricordo meglio. Tutte le volte che abbiamo suonato all’Hellfest, è successo in tutto in tre occasioni, è stato fantastico. Nel 2012 abbiamo suonato tanti ottimi spettacoli, fu una grande annata, quello dell’Hellfest è uno di quelli che ricordo con maggiore piacere. Il tendone, la folla, la polvere, sì, ricordo bene l’atmosfera di quella sera!
PASSANDO AI TUOI ASCOLTI, C’È UN TIPO DI MUSICA CHE HAI IMPARATO AD APPREZZARE SOLO NEGLI ULTIMI ANNI E HA INFLUENZATO QUELLO CHE I REFUSED SUONANO OGGI?
– No, direi di no. Come Refused sappiamo bene chi siamo e il tipo di musica che dovremmo suonare ed è qualcosa radicato in profondità, non modificabile da ascolti recenti. La musica che influenza i Refused arriva spesso da contesti molto lontani da quelli che sarebbe normale associare a noi, personalmente mi piace molto l’industrial e la synth music. Nulla che abbia una connessione immediata, ma che in qualche maniera entra in quello che facciamo.
CI SONO BAND CHE NELLA MUSICA E NELL’APPROCCIO LIRICO PERCEPISCI COME VICINE AI REFUSED?
– Ci sono tante band che mi piacciono, alcune sia per la musica che per il messaggio che comunicano, altre solo per il suono, alcune soltanto per i contenuti lirici, nessuna però la sento così vicina ai Refused. Non credo abbiamo forti connessioni con altre band, forse anche per il fatto che possiamo essere inclusi in tante scene diverse come in nessuna: suoniamo a festival metal, hardcore, a manifestazioni indie come il Primavera Sound, siamo accostati a innumerevoli band, nessuna che possa avere con noi un legame forte.
RISPETTO AGLI ALTRI TUOI PROGETTI, CE N’È QUALCUNO IN QUESTO MOMENTO ATTIVO E PROSSIMO A FAR USCIRE NUOVA MUSICA?
– Con gli INVSN abbiamo un registrato un album che uscirà in una data ancora da definire nel 2020, mentre arriverà un nostro ep in primavera. È in programma anche un disco di un mio altro progetto, Fake Names, il 2020 sarà un anno intenso per me, pieno di impegni (l’intervista si è svolta a fine novembre, ndR). Sarò in tour coi Refused e dovrò gestire anche l’attività di INVSN e Fake Names.
FUORI DALLA MUSICA, QUALI SONO LE ATTIVITÀ ARTISTICHE PREDILIGI? TI OCCUPI DI ALTRE FORME DI ESPRESSIONE CHE COMUNICHINO LE TUE IDEE SU TEMATICHE POLITICHE E SOCIALI?
– A dire il vero, al di là di quanto esprimo con la musica, non sono impegnato in alcuna forma di attivismo sul fronte politico. Per qualche tempo mi sono un po’ sentito in colpa per questo motivo, poi mi sono accorto che il mio attivismo era semplicemente quello che facevo con la musica. Metto tutte le mie energie come attivista politico nella musica, se mi impegnassi su più fronti da questo punto di vista probabilmente i risultati sarebbero inferiori e allora sono contento di poter buttare tutto me stesso nell’espressione musicale, suonare, parlare con le persone durante i concerti, in quello si incanala il mio impegno.
COME ULTIMA DOMANDA TI CHIEDO VERSO QUALI ORIZZONTI PENSI POTRÀ ANDARE LA MUSICA DEI REFUSED, QUALI IMPEGNI PORTERETE AVANTI A BREVE E SE STATE GIÀ IPOTIZZANDO UN’EVOLUZIONE DI QUANTO CONTENUTO IN “WAR MUSIC”.
– Ah, guarda, proprio non lo so! Penso che andremo avanti evolvendo la musica heavy, aggressiva, contenuta in “War Music”. Intanto proseguiremo ad andare in tour, per almeno un altro saremo impegnati a portare in giro la nostra musica sui palchi. Non ti saprei dire adesso quando accadrà di nuovo che ci siederemo attorno a un tavolo e inizieremo il processo compositivo. Solo a quel punto ci porremo la reale domanda su cosa vogliamo fare e partirà la lunga serie di interrogazioni verso noi stessi per capire come suonerà il prossimo album dei Refused.