RIAH – Malinconia e dolore quanto basta

Pubblicato il 02/03/2023 da

Nel multiforme calderone del post-rock il nome dei Riah (o Ropes Inside A Hole, nella versione estesa) è venuto a galla con il promettente esordio “Autumnalia”, uscito verso la fine del 2018. Attraverso un EP con i Postvorta e ora il secondo album “A Man And His Nature”, la formazione, divenuta ora un sestetto con diverse collaborazioni esterne a ravvivarne il suono, ha espanso la sua orbita, toccando suggestioni solo abbozzate in passato. La riflessione e la forzata lentezza d’azione dovuta alla pandemia pare abbia giovato alla creatività del gruppo, che ritrovandosi a lavorare a distanza ha esplorato un modo di dialogare diverso da quello al quale era abituato, scoprendo parti di sé rimaste fino a quel momento celate. E allora a “A Man And His Nature” sale in cattedra per tutta una serie di piccoli e importanti dettagli, un modo di evolvere le canzoni tutto suo e divagazioni eleganti, mutevoli nelle atmosfere evocate, sospese in una riflessività di tenute malinconia. Di questa evoluzione e di come sia stato plasmato il secondo disco ci hanno parlato il bassista Diego Ruggeri (che si occupa anche dei sintetizzatori) e il chitarrista Andrea Binetti.

BENVENUTI SULLE PAGINE DI METALITALIA.COM, INNANZITUTTO. DA DOVE PRENDE LE MOSSE IL PROGETTO ROPES INSIDE A HOLE E QUALE SIGNIFICATO POTREMMO ATTRIBUIRE AL VOSTRO NOME? NELLA MIA INTERPRETAZIONE, IL MONIKER POTREBBE SUGGERIRE IL VOLER DARE UN AIUTO A CHI SI TROVI UNA UNA SITUAZIONE DI DIFFICOLTÀ, PER POTERNE IN QUALCHE MODO USCIRE.
Diego Ruggeri: – La band ha avuto una graduale evoluzione e numerosità di componenti: i primi vagiti erano di un duo piuttosto primordiale e molto lontano dalle sonorità attuali. L’entrata mia nella band come bassista ha gettato le basi per quello che siamo ora. Per quello che riguarda il moniker hai fatto centro: uno dei miei album preferiti di sempre è “Rope For No Hopers” dei Pirate Ship Quintet e all’epoca mi fece impazzire la dualità della corda che potrebbe di fatto servire per tirarti su oppure per farla finita. Questa stessa dualità è nel nome della band e credo che calzi piuttosto bene con la musica che facciamo.

IL VOSTRO SECONDO ALBUM “A MAN AND HIS NATURE” RIPARTE DAI CONCETTI ESPRESSI NEL PRIMO DISCO “AUTUMNALIA” E NELL’EP ASSIEME AI POSTVORTA, MA VA AD AMPLIARE LE VOSTRE POSSIBILITÀ ESPRESSIVE, CON L’INSERIMENTO DI UNA VOCE PRINCIPALE E ALCUNI OSPITI ESTERNI CHE, SE NON STRAVOLGONO LA VOSTRA IDENTITÀ, SICURAMENTE AGGIUNGONO ASPETTI INEDITI. COME È AVVENUTA QUINDI LA GESTAZIONE DEL VOSTRO SECONDO ALBUM?
Diego Ruggeri: – A marzo 2020 il mondo si era fermato. Ci siamo ritrovati tutti chiusi in casa con moltissimo tempo a disposizione e un profondo senso di angoscia che non faceva altro che aumentare. Ricordo che iniziai a suonare sempre più spesso il basso per provare a scrivere qualcosa di nuovo. La prima linea che ho scritto è l’inizio del brano “Distance”. Da lì in avanti abbiamo iniziato a comporre ‘a distanza’ e devo dire che il cambio di prospettiva ha dato i suoi frutti: le parti hanno avuto il tempo di crescere ed evolversi ascolto dopo ascolto senza la frenesia di trovarsi in sala prove ed avere risultati tangibili in poco tempo. Ciò ci ha permesso di capire se contributi esterni potessero valorizzare alcuni momenti, come per il violoncello, o addirittura diventare spina dorsale di un brano, come accaduto per il sax in “Feet In The Swamp, Gaze To The Sky”.

DA FORMAZIONE INTERAMENTE STRUMENTALE QUALE ERAVATE, ORA SIETE, ALMENO IN PARTE, UNA BAND CON UN’OTTIMA VOCE PRINCIPALE, QUELLA DI DANIEL LOEFGREN DEI SUFFOCATE FOR FUCK SAKE. PERCHÉ SIETE ARRIVATI A QUESTA SCELTA E PERCHÉ PROPRIO DANIEL?
Diego Ruggeri: – Nel 2019 siamo andati in tour in Germania con degli ex compagni di etichetta, i Bruecken. Durante quelle giornate passate assieme avevo legato particolarmente con il loro bassista e così ho scoperto che Jens suonava oltre che nei Bruecken anche in una delle mie band preferite di sempre: i Suffocate For Fuck Sake! Tornati a casa siamo rimasti in contatto e ci sentivamo piuttosto frequentemente, complice lo stato di apprensione che si stava creando a inizio 2020. A fine stesura di “Distance”, essendo il brano più a forma canzone per i nostri standard, gli chiesi se secondo lui potesse avere senso aggiungere una parte di cantato. Mi disse che era una buona idea e mi chiese: “Scream or clean?“. Voleva proporre ai due cantanti dei Suffocate For Fuck Sake se volevano partecipare al brano! Per quanto sia un amante dello scream, ho subito pensato che una voce melodica con il tipico swedish touch come quella di Daniel sarebbe stata perfetta. Penso sia stata la scelta migliore possibile. Dopo il suo contributo su “Distance”, in maniera piuttosto naturale, le sue idee vocali hanno avuto spazio in sempre più brani.

RESTANDO IN TEMA, UNA VOLTA ASSIMILATO PER BENE L’ALBUM, NON MI SI È TOLTA DI DOSSO LA SENSAZIONE CHE QUALCHE INTERVENTO VOCALE AGGIUNTIVO SAREBBE STATO ANCORA MEGLIO. LA VOCE DI LOEFGREN SI SPOSA BENISSIMO CON LA MUSICA DEI RIAH. POTREBBE DARSI CHE IN FUTURO LA VOSTRA MUSICA DIVENTI PIÙ CANTATA E MUTI UN POCO LA SUA IDENTITÀ, CHE AL MOMENTO NON È IN FONDO CHISSÀ QUANTO VARIATA PER DARE SPAZIO ALLE LINEE VOCALI DI DANIEL?
Andrea Binetti: – Condivido pienamente. Abbiamo la fortuna di poter collaborare in maniera costante con un professionista come Daniel e l’idea è senz’altro quella di coinvolgerlo sempre più nella stesura di nuovi brani, ai quali stiamo già lavorando, in fase di composizione e arrangiamento e dargli più spazio per il cantato.

NELL’ALBUM SI ALTERNANO COMPOSIZIONI PIUTTOSTO VARIEGATE, ACCOMUNATE DAL PARTIRE QUASI TUTTE DA CONCETTI ABBASTANZA SEMPLICI, CHE VANNO POI A ISPESSIRSI, A COMPLICARSI E AD ASSUMERE AUTOREVOLEZZA CON LO SCORRERE DEI MINUTI. COME NASCE UNA VOSTRA TRACCIA E QUALI ELEMENTI RITENETE DEBBA CONTENERE, PERCHÉ INFINE LA GIUDICHIATE DEGNA DI ESSERE PUBBLICATA?
Andrea Binetti: – Avendoci lavorato prevalentemente in pandemia, l’album è stato quasi costruito a tavolino. Molti brani sono nati grazie a delle bozze iniziali, intuizioni registrate a casa con la strumentazione a disposizione, portate poi all’esame degli altri per miglioramenti e contributi. Abbiamo cercato di dare tutti il massimo per avere un prodotto finale che rispecchiasse non solo la nostra idea di musica, ma anche ciò che in quel periodo stavamo vivendo tutti quanti sulla nostra pelle. Personalmente ritengo che le uniche cose che non possono mancare in una nostra traccia siano una ossatura ritmico/armonica il più possibile scorrevole e coesa, una melodia ove presente coerente al contesto, dinamicità nella stratificazione dei singoli elementi e capacità di trasmettere pathos e emozioni, anche diverse e contrastanti.

NELLA PRESENTAZIONE DEL DISCO LEGGO CHE LA PANDEMIA HA IN QUALCHE MODO ORIENTATO ALCUNE RIFLESSIONI SULLA VOSTRA MUSICA E VI HA SPINTO ALLE COLLABORAZIONI CHE POI ANDIAMO EFFETTIVAMENTE A SENTIRE SUL DISCO. PENSATE CHE SARESTE ARRIVATI LO STESSO, MAGARI PIÙ AVANTI, A QUESTO TIPO DI EVOLUZIONE, OPPURE SENZA QUANTO AVVENUTO NEL 2020 ALCUNI NUOVI INPUT SONORI NON SI SAREBBERO CONCRETIZZATI?
Andrea Binetti: – È indubbio che la situazione pandemica abbia influenzato non poco il nostro percorso creativo per quest’album. Comporre musica a distanza e non più insieme in una sala prove è stato difficile, ma allo stesso tempo ci ha portato nuove consapevolezze e opportunità a cui magari non avremmo pensato altrimenti. Penso alle fantastiche collaborazioni che costellano il disco e alla possibilità di lavorare di cesello sulle singole parti in remoto, cosa che ci ha anche permesso di avere una maggiore visione d’insieme per ogni brano.

UN COSTANTE SENSO DI MALINCONIA E UN’IDEA DI FORTE SOLITUDINE SONO I SENTIMENTI PREVALENTI ALL’INTERNO DI “A MAN AND HIS NATURE”. SONO SENSAZIONI CHE VIVETE, O AVETE VISSUTO, PIÙ O MENO ALLA STESSA MANIERA TRA VOI MUSICISTI DEI ROPES INSIDE A HOLE, OPPURE SONO STATI D’ANIMO CHE PROVATE IN MODI MOLTO DIVERSI TRA DI VOI?
Diego Ruggeri: – Un filo conduttore sicuramente ci lega a livello di attitudine, ognuno di noi ha le proprie croci da portarsi dietro in un modo o nell’altro e cerchiamo di buttare tutto il malessere nella musica che facciamo. Non credo però che la nostra sia una band di ‘presi male dalla vita’.

A VOLTE NEL POST-ROCK/METAL SI HA LA SENSAZIONE CHE SIA STATO DETTO UN PO’ TUTTO E, A MENO DI TROVARE QUALCHE ELEMENTO ECCENTRICO DA AGGIUNGERE, SI POSSA RISCHIARE DI RIMESCOLARE LE CARTE SENZA RIUSCIRE, INFINE, A ESPRIMERE QUALCOSA DI MERITEVOLE. DAL VOSTRO PUNTO DI VISTA, COME SI RIESCE A SCRIVERE MUSICA INTERESSANTE PUR RIMANENDO NEL SOLCO DEL GENERE E NON ECCEDENDO IN SPERIMENTAZIONI?
Andrea Binetti: – Vero, sicuramente non è facile destreggiarsi nel genere e riuscire a spiccare fuori dalla massa senza sembrare la brutta copia di qualcun altro. Ma ritengo che la cosa buona del post rock sia tutto sommato quella di non avere dei veri e propri limiti espressivi. Ti concede molta libertà – cosa che considero fondamentale – circoscritta chiaramente nel rispetto di quei due/tre elementi chiave appartenenti al genere. Fondamentale da questo punto di vista è anche la commistione di influenze musicali in parte diverse tra di noi, che è a mio avviso ciò che crea la nostra identità in qualità di band e in qualche modo rende la nostra musica unica. Se ‘interessante’ o meno questo spetta agli altri dirlo.

NELLA RECENSIONE DI “A MAN AND HIS NATURE” VI HO PARAGONATO AGLI AUSTRALIANI WE LOST THE SEA, CON I QUALI MI PARE ABBIATE ASSONANZE NEL METODO DI COSTRUZIONI DELLE SINGOLE TRACCE E NEL CLIMA GENERALE EVOCATO. PENSATE SIA UN PARAGONE CREDIBILE? QUALI SONO LE BAND VERSO LE QUALI RITENETE DI AVERE LE MAGGIORI AFFINITÀ?
Diego Ruggeri: – Per quello che riguarda certe soluzioni sospese, con valanghe di layer di chitarra, hai perfettamente centrato il paragone. Se ti dovessi dire cosa vedo affine a noi, tu direi la band *shels per l’approccio melodico, e per le atmosfere plumbee i già citati Suffocate For Fuck Sake e gli A Swarm Of The Sun.

2020 E 2021 SONO STATI ANNI DIFFICILI PER LA MUSICA DAL VIVO, CON IL BLOCCO QUASI TOTALE DEI CONCERTI. UNO STALLO GRAVE PER IL SETTORE, MENTRE SUL PIANO CREATIVO LA RISPOSTA DEI MUSICISTI È STATA NEL SEGNO DI UNA FORTE CREATIVITÀ E UNA SPINTA AD ANDARE OLTRE LA SITUAZIONE CONTINGENTE. DAL VOSTRO PUNTO DI VISTA, CHE SEGNI HA LASCIATO IL PERIODO PANDEMICO E QUALI LEZIONI È POSSIBILE TRARRE DA QUANTO AVVENUTO?
Andrea Binetti: – Penso che la pandemia ci abbia portato ad essere più introspettivi, intimisti, a riconoscere le nostre stesse paure dettate dalla solitudine e al doverle affrontare, volenti o no. Chi da solo, chi con l’aiuto di qualcuno, chi come noi utilizzando la musica e l’arte in generale come strumento di esorcizzazione del proprio malessere: da qui secondo me la spinta creativa di cui parli. Ora abbiamo imparato ad apprezzare maggiormente quelle libertà che prima davamo per scontate e la speranza è che, per quanto non siamo ancora del tutto usciti dall’allarme, si riesca gradualmente a tornare ad una normalità e ad una ripresa sempre più forte di eventi dal vivo.

0 commenti
I commenti esprimono il punto di vista e le opinioni del proprio autore e non quelle dei membri dello staff di Metalitalia.com e dei moderatori eccetto i commenti inseriti dagli stessi. L'utente concorda di non inviare messaggi abusivi, osceni, diffamatori, di odio, minatori, sessuali o che possano in altro modo violare qualunque legge applicabile. Inserendo messaggi di questo tipo l'utente verrà immediatamente e permanentemente escluso. L'utente concorda che i moderatori di Metalitalia.com hanno il diritto di rimuovere, modificare, o chiudere argomenti qualora si ritenga necessario. La Redazione di Metalitalia.com invita ad un uso costruttivo dei commenti.