Partendo da un concept fosco e doloroso legato alle opere di William Blake, pervenendo infine a un disco smussato nei toni, molto meditativo ed esprimente una visione personale della musica e dell’esistenza, i Rise Above Dead hanno ribadito la loro unicità nel panorama post-metal strumentale. Uno stile, nel caso del quartetto milanese sempre più mediato dal post-rock e da una forte tensione a panorami da sountrack, difficile da maneggiare senza cadere in rimandi espliciti e topos consolidati. Mentre, nel caso di “Ulro”, si assiste alla messa in scena di registri sonori variegati, ambigui, contraddittori, tramite un linguaggio colmo di allusioni e non detti che fanno riferimento, se non esclusivo, in modo predominante alla sola sensibilità dei loro autori. I quali si raccontano con lucidità e profondità, delineando nei particolari tutto quanto ha portato alla creazione del loro ultimo album.
PERCHÉ “ULRO”? PERCHÉ LA MITOLOGIA DI WILLIAM BLAKE, PER SPIEGARE QUELLA CHE DI FATTO È LA NOSTRA REALTÀ ODIERNA, QUELLA DI UN MONDO CHE SOTTO TANTI ASPETTI SEMBRA SULL’ORLO DEL DEFINITIVO COLLASSO?
– Quello che volevamo era trovare un modo per mandare un messaggio forte e chiaro e al tempo stesso duplice e immaginifico. Tenendo bene a mente fin dall’inizio che non avremmo avuto a disposizione alcun testo per comunicare le nostre idee serviva focalizzarsi su qualcosa che creasse un supporto adeguato. Quando abbiamo iniziato ad approfondire e discutere quali erano i sentimenti e le emozioni che volevamo suscitare nell’ascoltatore, la costante era un forte dualismo e contrasto di emozioni che ognuno di noi porta dentro di sé. Blake criticava il razionalismo puro e ne raccontava gli aspetti più contrastanti e pericolosi ed era particolarmente avverso a dogmi, istituzioni, idoli ed ipocrisie a favore del potere dell’immaginazione e del libero pensiero. Il distacco dell’uomo dalla natura, la convinzione di onnipotenza, il desiderio di realizzazione egoistica sono concetti che riteniamo estremamente attuali al giorno d’oggi. “Ulro” è questo mondo pieno di contrasti dominato da Urizen, uno dei quattro Zoas, rappresentazione della ragione incatenata ai propri stessi limiti.
CINQUE ANNI SONO TRASCORSI DA “HEAVY GRAVITY” A “ULRO”: QUANTO SIETE CAMBIATI? QUANTA DISTANZA PENSATE SI COLGA TRA LA MUSICA DELL’UNO E DELL’ALTRO ALBUM?
– Il tempo letteralmente vola, siamo consapevoli che tra un disco e l’altro sia trascorso un lungo periodo ma dal 2015 ad oggi sono cambiate alcune situazioni sia personali che professionali; dopo l’uscita di “Heavy Gravity” abbiamo suonato meno di quanto volessimo, inoltre la decisione da parte di Stefano di lasciare la band ha sicuramente destabilizzato alcuni nostri equilibri, siamo arrivati al punto di voler abbandonare, ma l’amicizia che ci lega e l’aver trovato un degno sostituto in Andrea (già nei Lappeso) ci hanno fatto rialzare e tornare in sala prove con il giusto approccio. Musicalmente le influenze sono le stesse, con un nuovo chitarrista il songwriting è sicuramente diverso, inoltre il nostro percorso di ricerca musicale ha avuto un’apertura verso territori più ‘soft’ ed emozionali, abbiamo cercato di trasferire i nostri stati d’animo vissuti negli ultimi anni.
SUL PIANO MERAMENTE TECNICO, INTENDO NEL MODO DI SUONARE I VOSTRI STRUMENTI, DI REGISTRARE, QUALI SONO LE NOVITÀ PIÙ IMPORTANTI PER “ULRO”?
– Il quartetto strumentale oramai fa parte di noi da molto tempo, abbiamo un feeling che probabilmente con altri elementi non avremmo. Dopo tanti anni abbiamo maturato un gusto ed una curiosità che ovviamente otto-dieci anni fa non avevamo. Abbiamo più volte stravolto le pedalboard, sempre alla ricerca del pedale definitivo, che ovviamente sarà il prossimo (risate, ndR). Scherzi a parte, per questo disco abbiamo suonato i pezzi tantissime volte, nell’estate del 2019 con i ragazzi di Femore, che ci hanno seguito nella fase di produzione, abbiamo fatto delle pre-produzioni e da lì abbiamo rivisto praticamente quasi tutti i pezzi. Le registrazioni sono iniziate solo quando eravamo tutti soddisfatti delle modifiche. Abbiamo fatto della ‘presa diretta’ per mantenere un attacco più ‘live’, soprattutto per la sezione ritmica, abbiamo poi risuonato il basso e sovrainciso le chitarre, re-ampando le linee che ci piacevano. A valle abbiamo poi aggiunto i synth e gli ultimi dettagli. Sicuramente abbiamo provato a semplificare, a decostruire e a lasciare più ‘aria’ tra uno strumento e l’altro.
COME PUÒ LA MUSICA STRUMENTALE DESCRIVERE I CONCETTI FOSCHI, LE DINAMICHE UMANE DISTORTE, L’ARIDITÀ VALORIALE DI UN MONDO COME QUELLO DI ULRO? PENSATE DI ESSERCI RIUSCITI FINO IN FONDO?
– Mancando di parole, la musica strumentale, deve necessariamente trasmettere una certa emozione, un messaggio; La difficoltà di raccontare solo con note e ritmo senza parole è una sfida che ci piace affrontare. In questo disco, essendo arrivato dopo dieci anni di carriera, abbiamo voluto che fosse speciale: dalla ricerca del concept, alla grafica fino alla cura dei suoni e del master. Da parte nostra il messaggio trasmesso da “Ulro” è chiaro, i valori mancanti del nostro mondo sono una costante che viviamo attraverso la distorsione dei social network, un mondo oscuro, una lotta quotidiana per rimanere ancorati ai nostri valori, proprio attraverso la musica per noi di vitale importanza: è il nostro tentativo per trasmettere un messaggio e sperare che la gente comprenda che ogni gesto ha una conseguenza, che è necessario un approccio olistico ed una visione meno egoistica e materiale dell’esistenza.
NONOSTANTE LE TEMATICHE TRATTATE, IL CONCEPT MOLTO CUPO, NELLA MUSICA PERCEPISCO UNA PESANTEZZA MODERATA. SENZA CHE SIATE NEMMENO ANDATI COSÌ NETTAMENTE VERSO IL POST-ROCK, APPRODO SPESSO NATURALE PER GRUPPI COME IL VOSTRO. “ULRO” È UN ALBUM MOLTO MEDITATIVO, SE MI PASSATE IL TERMINE, CON UNA COMPLESSITÀ DI FONDO CHE NON SI RIESCE SUBITO A PERCEPIRE. CHE TIPO DI ISPIRAZIONE VI HA GUIDATO A UN DISCO SIMILE?
– È un’ottima osservazione! Diciamo che Ulro è il giusto mix di soft-heaviness, un contrasto diametralmente opposto, non ricercato ossessivamente, dove la nostra anima metal incontra le riflessioni e le aperture più post-rock. Sicuramente i quasi quattro anni di scrittura hanno influito nello smussare certi passaggi, la cura dei suoni e un po’ di coraggio nell’uscire dalla nostra comfort-zone hanno portato a questo risultato. Tieni conto che siamo tutti vicino ai 40, c’è chi li ha anche già superati, siamo quindi in un periodo ‘zen’ della nostra vita o forse ci facciamo troppe canne (risate, ndR).
NELLA SUCCESSIONE DELLE SEI TRACCE, QUALE FILONE NARRATIVO AVEVATE IN MENTE? COSA ACCADE, SECONDO I VOSTRI INTENDIMENTI, DALLE PRIME NOTE DI “A VISION OF THE EARTH” ALLE ULTIME DI “THE ENDLESS STRIFE”?
“Ulro” è un viaggio onirico nella cruda realtà materiale. Ogni traccia può essere intesa come il rimando ad un tema specifico che i titoli aiutano a definire o come un episodio delle nostre vite ed un’avventura immaginaria a metà tra la realtà e i sogni, in quella zona di mezzo dove il subconscio guida i pensieri e la mente è libera di vagare. Col primo pezzo partiamo con un duro ed improvviso risveglio alla realtà, una presa di coscienza di sé che passa poi a riflettere sul dualismo onnipresente nella vita reale (“Hardship And Joy”). Poi passiamo al terzo e quarto pezzo che sono quelli che più rappresentano il divagare del subconscio (“Beulah”) e la corrispondente ricerca delle sensazioni reali (“Divert Of Perceptions”). La penultima traccia tocca il tema dell’amore e della sua complessità, per poi chiudere con l’ultima traccia che parte ancora una volta dal regno del subconscio e non appena ci si risveglia riprende la lotta, ancora una volta, forse una lotta che non finirà mai, ma di certo non ci si può arrendere e fermare nel costante sforzo di miglioramento e realizzazione che ognuno di noi dovrebbe perseguire. Concludiamo volutamente il disco con una nota distensiva che vuole essere un messaggio positivo e di speranza.
IL METAL STRUMENTALE OGGI È SICURAMENTE PIÙ FACILE DA ‘ACCETTARE’ E APPREZZARE DA PARTE DI MOLTI ASCOLTATORI. DAL VOSTRO PUNTO DI VISTA, COME SONO PERCEPITE OGGI FORMAZIONI COME LA VOSTRA E COSA PENSI ABBIA PORTATO UN ASCOLTATORE MEDIO AD AVERE MAGGIORE DIMESTICHEZZA CON PROPOSTE SONORE SENZA L’UTILIZZO DELLA VOCE?
– Dal nostro punto di vista le proposte strumentali sono sempre di grande interesse, poiché spesso nascondono interessantissime parti che spesso nascono liberamente da jam, quindi dall’espressione più pura della musica, che ci piace definire ‘più di cuore e meno di cervello’.
Oggi il panorama metal, post e prog/math ha ottime band, dove spesso anche la tecnica dei singoli viene messa in mostra; nel nostro caso, forse siamo più affini ad alcune band del panorama post-rock, nel quale prevalgono invece i passaggi più cinematici rispetto al mero esercizio di tecnica.
IL LAVORO GRAFICO AFFIDATO A SOLO MACELLO SU COSA SI CONCENTRA? QUALI DIRETTIVE AVEVATE DATO ALL’ARTISTA PER LA COPERTINA?
– Con Solo Macello volevamo collaborare da tempo, siamo fan delle loro opere e abbiamo più volte suonato al loro superfestival estivo al Magnolia. All’artista abbiamo inviato una versione grezza della pre-produzione e abbiamo lasciato carta bianca, dando il concept basato sulle visioni di William Blake e una minima spiegazione dei titoli e della narrazione. Non avevamo particolare fretta, il Covid-19 inoltre ha dilatato la data di uscita, per cui abbiamo lasciato il tempo necessario per elaborare l’artwork. Il risultato finale è frutto di alcune modifiche ma già dalla prima bozza la copertina ci ha convinto. Noi siamo super soddisfatti e crediamo sia perfettamente ‘in bolla’ con il disco.
DI TUTTO IL PERCORSO FATTO FINORA COME RISE ABOVE DEAD, CHE COSA VI SODDISFA MAGGIORMENTE, GUARDANDOVI INDIETRO E RIFLETTENDO SU QUANTO COMPIUTO FINORA CON IL GRUPPO?
– Suonare in una band underground in Italia dal 2010 in poi non è semplice, soprattutto con una nicchia di pubblico che si è assottigliata sempre di più. Abbiamo iniziato con l’hardcore-crust in un momento dove la scena italiana era ancora piuttosto attiva, abbiamo suonato tanto nel nostro paese e qualche bella data all’estero l’abbiamo fatta. Forse la cosa che maggiormente ci soddisfa è aver ricercato e sviluppato un nostro stile musicale, scrivendo quattro dischi diversi ma evolvendoci sempre, anche solo scegliendo di far uscire sempre la nostra musica su vinile.
Se ci guardiamo indietro abbiamo vissuto tantissime belle situazioni in tour, in sala prove, in studio, che rendono ogni progetto musicale unico ed irripetibile.
QUALI SONO GLI ASPETTI DEL VOSTRO SOUND CHE PENSATE DI AVER MEGLIO APPROFONDITO CON L’ULTIMO DISCO? AVETE ANCHE RIPRESO IN MANO QUALCHE IDEA LASCIATA IN DISPARTE IN PASSATO, RISPOLVERATO VECCHIO MATERIALE INUTILIZZATO?
– Con questo disco abbiamo sicuramente lavorato meglio sulle differenze di suono dei singoli strumenti, sugli ambienti, cercando una personalità che in passato forse rimaneva in secondo piano. Con l’ingresso di Andrea, nonostante avessimo già dei pezzi nuovi abbozzati, abbiamo riscritto tutto da zero, iniziando daccapo con nuove idee che sono state modellate e riviste varie volte. Un aspetto che ci soddisfa particolarmente è aver ottenuto un sound ricco di armonie e di profondità, grazie anche al supporto di Femore in fase di recording e al mastering di Magnus dei Cult Of Luna.
COSA SIGNIFICA PER VOI ESSERE CREATIVI OGGIGIORNO? COME SMARCARSI DAL PROBLEMA DI SUONARE QUALCOSA DI GIÀ SENTITO ALTROVE, SENZA DOVER PER FORZA RICORRERE A UNA SPERIMENTAZIONE INCONTROLLATA?
– Innanzitutto crediamo che sia fondamentale essere coerenti con noi stessi e verso chi ascolta, bisogna essere credibili e la creatività non può e non deve essere un esercizio di stile altrimenti si rischia di essere cloni o ombre di qualcun altro. Serve sentimento e il nostro modo di essere creativi è proprio lo sforzo di tradurre in musica quelle che sono le nostre esperienze di vita e le emozioni che proviamo in diverse situazioni. Detto questo, i dettagli sono spesso quelli che fanno la differenza, le sfumature colorano la musica come danno tridimensionalità su un foglio di carta, il gioco di luci ed ombre può completamente cambiare la percezione di un’immagine e pensiamo che nella musica sia più o meno la stessa cosa.
IN EPOCA DI ASCOLTI COMPULSIVI E FRETTOLOSI, DOMINATI DALLE PIATTAFORME DI STREAMING, FAR USCIRE UN ALBUM IN VINILE, PER GIUNTA IN EDIZIONI LIMITATE COME NEL VOSTRO CASO, CON DIVERSE VARIANTI DI COLORE, COSA RAPPRESENTA? QUANTO TENETE A QUESTO ASPETTO DEL VOSTRO LAVORO?
– Come descritto sopra, l’aspetto del formato vinilico per noi è sempre stato un valore, una questione di : “O è così oppure niente”. La musica è oggi soprattutto in streaming e siamo ben consapevoli che bisogna essere su quelle piattaforme, anzi per fortuna esistono anche quelle, ma crediamo, forse in modo anacronistico, che ci sia un legame tra oggetto e passione, tra forma e contenuto. Abbiamo voluto fare le cose in grande, non un solo colore, non un vinile nero, ma ben tre colori diversi: ognuno rappresenta un’edizione, quindi ci sarà il colore Rise Above Dead, il colore Moment of Collapse e il colore Shove Records; non contenti abbiamo investito in una versione gatefold, una grafica come quella di Solo Macello non poteva essere goduta in una singola sleeve.