Si può concepire e suonare del grande metal interamente strumentale? I Rise Above Dead ci hanno dato una risposta fortemente affermativa con “Heavy Gravity”, seconda fatica sulla lunga distanza di una formazione che, seguendo il vecchio adagio del “fare di necessità virtù”, trovandosi senza cantante si è completamente reinventata. Ne è uscita più forte, più consapevole delle proprie risorse e delle proprie aspirazioni, si è scrollata di dosso i retaggi delle influenze giovanili e ha varcato la soglia che separa le discrete band di genere da quelle che di un genere tentano di essere protagoniste. “Heavy Gravity” si è rivelato quindi una prova di maturità passata a pieni voti, e noi abbiamo deciso di sentire direttamente dalla bocca di uno dei protagonisti di questo disco, il chitarrista Matteo Sala, come si sia arrivati a questo risultato.
“HEAVY GRAVITY” ARRIVA A CIRCA DUE ANNI E MEZZO DI DISTANZA DAL PRIMO FULL-LENGTH “STELLAR FILTH”. AVETE CERCATO UNA CERTA CONTINUITÀ COL MATERIALE PASSATO, OPPURE AVETE COSCIENTEMENTE PROVATO A DISTACCARVI DA ESSO E PROVARE NUOVE STRADE?
“Questo nostro secondo full-length direi che è una progressione di stile rispetto a ‘Stellar Filth’. Non abbiamo deciso a tavolino nulla, il nostro sound ha subito delle deviazioni in altri territori, ma la matrice della band è quella. Oggi più che mai siamo coscienti che la contaminazione tra i vari generi sia qualcosa di necessario per uscire dal coro, per definire nuovi traguardi e per cercare di esprimersi con personalità. Tutto è già stato suonato, non ci interessa essere affiancati a qualcuno di più famoso, ma proprio con le nostre capacità cerchiamo di suonare qualcosa di ‘nuovo’. ‘Heavy Gravity’ è un tentativo di fondere le nostre esperienze e i nostri gusti musicali”.
IL CAMBIAMENTO PIÙ EVIDENTE FRA IL PRIMO E IL SECONDO DISCO È L’ELIMINAZIONE COMPLETA DELLA VOCE. COME SIETE APPRODATI A QUESTA DECISIONE? PERCHÉ RITENETE CHE LE LINEE VOCALI ORA SIANO DI TROPPO NELLA VOSTRA PROPOSTA?
“L’assenza di voce oggi non la viviamo come una mancanza. Abbiamo impiegato circa un anno a capirlo e di conseguenza abbiamo mutato il nostro songwriting, trovando la nostra giusta dimensione artistica. Andrea, il nostro ex cantante, si era trasferito a Londra dopo l’uscita di ‘Stellar Filth’, e nonostante ciò abbiamo continuato a suonare live, pur con limiti di programmazione per ovvi problemi di distanza/ferie. Nel momento in cui abbiamo iniziato a scrivere il nuovo disco ci siamo resi conto che i pezzi giravano lo stesso anche senza parole, anzi, ne abbiamo approfittato per migliorare la scrittura e perfezionare certi passaggi. La decisione poi non è stata semplice, ma oggi siamo felici di aver scelto questa strada, anche se all’inizio abbiamo provato qualche cantante”.
IL NUOVO ALBUM SI INTITOLA “HEAVY GRAVITY”: EPPURE, ASCOLTANDOLO, PIÙ CHE VENIRE SCHIACCIATI CI SI SENTE SOLLEVATI, SI FLUTTUA, SI ABBANDONA LA CONDIZIONE TERRENA. VOI COSA PROVATE ALL’ASCOLTO? COSA RAPPRESENTA NELLA VOSTRA OTTICA LA “GRAVITÀ PESANTE”?
“In effetti il titolo sembra molto in contrasto con la musica, forse è anche voluto. Rispetto al disco precedente in realtà si sente meno pesantezza e più dinamicità. Sarà la mancanza di voce o una produzione più attenta, sta di fatto che forse siamo più sereni come persone, e quindi il disco è più ascoltabile. La gravità pesante? Puoi vederla come tutte le responsabilità che quando sei adulto sei costretto ad assumerti: talvolta sono pesanti come macigni”.
LA COPERTINA RITRAE UN UOMO STILIZZATO AL CENTRO DI FORESTE, MONTAGNE, CIELO, STELLE. SOTTOLINEA LA PICCOLEZZA DELL’ESSERE UMANO RISPETTO ALLE MERAVIGLIE NATURALI, E ALLO STESSO TEMPO LA SUA CENTRALITÀ RISPETTO AD ESSE? AVETE DATO RICHIESTE SPECIFICHE AL DISEGNATORE, OPPURE HA POTUTO CREARE A SUO COMPLETO PIACIMENTO?
“La parte grafica è da sempre curata dal nostro chitarrista Stefano (Bigoni, ndR), che ha avuto carta bianca su cosa proporre a livello di artwork. Il fatto di essere uno dei principali compositori credo lo abbia facilitato a tramutare in immagini quello che vogliamo trasmettere con la musica. Nell’illustrazione la figura umana fluttua fra due universi paralleli, sebbene non faccia parte nè dell’uno nè dell’altro. Questo a causa dell’assenza di gravità. La gravità può essere vista come uno degli elementi chiave che rendono possibile la nostra vita terrestre, ma anche come un limite alla riscoperta della nostra reale esistenza trascendentale, se consideriamo come punto di partenza la corrente di pensiero idealista”.
MI PARE SIATE RIUSCITI A CREARE UN IBRIDO ABBASTANZA PECULIARE: DA UN LATO, SIETE NETTAMENTE PIÙ DURI DI UN “CLASSICO” ACT POST-ROCK; DALL’ALTRO, NON DISPENSATE LE CONSUETE APERTURE VIOLENTE ED ESPLOSIVE DI BUONA PARTE DEI GRUPPI POST-METAL. COME SE L’ENERGIA RESTASSE QUASI SEMPRE TRATTENUTA, IMPLICITA E MAI COMPLETAMENTE RIVELATA. CI SONO DA PARTE VOSTRA INTENZIONI DI QUESTO TIPO? COSA PENSATE DI AVERE DI DIVERSO DA ALTRE BAND INCASELLABILI NEL FILONE “POST-“?
“In effetti questo aspetto l’abbiamo letto in altre recensioni, e credo sia qualcosa che si percepisce solo dopo un attento ascolto. Devo confessarti che il risultato ottenuto non è stato predefinito, è sicuramente frutto di lunghe jam in sala prove. Io ci ritrovo molti spunti sentimentali nei nostri pezzi, è come vivere ogni situazione della vita affiancandola allo stato emotivo. Credo che questo disco si posizioni perfettamente in un filone definito come ‘post’, ma che abbia anche parecchi dettagli non stilisticamente tali. Credo che la nostra personalità sia più importante di un genere”.
“HEAVY GRAVITY” SI FA PORTATORE DI UNA MUSICALITÀ DECIFRABILE IN UN NUMERO RAGIONEVOLE DI ASCOLTI. E’ UN ALBUM DOVE NON SI CERCA ASSOLUTAMENTE LA STRANEZZA, LA COMPLESSITÀ A TUTTI I COSTI, MA SI LAVORA SULLE SOTTIGLIEZZE, SULL’ORGANICITÀ DEI PEZZI. DURANTE LA COMPOSIZIONE, SIETE STATI TENTATI AD OSARE QUALCOSA DI PIÙ OSTICO E DIFFICILE DA COMPRENDERE, OPPURE LA DIREZIONE INTRAPRESA È STATA CHIARA FIN DAL PRINCIPIO?
“Posso dirti che “Heavy Gravity” è un disco fatto con grande spontaneità. L’abbiamo scritto in un anno e mezzo con vari alti e bassi di entusiasmo, ma quello che si percepisce ascoltandolo è proprio questa organicità. Ogni singolo brano ha una posizione precisa nella tracklist ed ha una sua storia da raccontare. Alla fine non abbiamo osato più di tanto perché non ne abbiamo sentito la necessità, non per forza chi fa musica ‘alternativa’ deve ricercare la stranezza o il colpo di scena. Va da sé che ci vuole pazienza, fantasia e un buon feeling personale per suonare un certo tipo di musica, sopratutto se strumentale”.
COSA DI PERDE E COSA SI GUADAGNA AD ESSERE UN ENSEMBLE SOLO STRUMENTALE?
“Bella domanda! Non per forza si perde o si guadagna qualcosa, abbiamo cambiato pelle, ci siamo evoluti in qualcosa che non eravamo sei anni fa. Una certa maturità ti fa vedere questi cambiamenti come un’opportunità di sperimentare, di evolversi in una nuova direzione. Un aspetto che abbiamo sicuramente perso è quello di avere un frontman da palco come lo era Andrea (Rondanini, il precedente singer, ndR), ma forse abbiamo guadagnato qualche appassionato di musica strumentale”.
COME DEVE SUONARE UN PEZZO DI UN GRUPPO STRUMENTALE AFFINCHÉ NON SI SENTA LA MANCANZA DELLA VOCE, NON SI AVVERTA QUINDI UN SENSO DI VUOTO DURANTE L’ASCOLTO?
“A mio avviso dovrebbe avere dei momenti di relax, e altri di esplosione, il tutto possibilmente condito da trame progressive, quello che non fa la voce è affidato alle note e al ritmo. Non sono particolarmente amante dei pezzi con minutaggio elevato, talvolta è proprio l’essere bravi a sviluppare un brano in pochi minuti che rende una canzone più interessante di un’altra. La gente purtroppo è pigra e si stanca velocemente, se vuoi catturare l’attenzione non puoi eseguire un pezzo, per quanto articolato, in quindici-venti minuti. Questo aspetto può esistere su disco, ma dal vivo è sicuramente penalizzante”.
NEI PERIODO DI TEMPO INTERCORSO FRA “STELLAR FILTH” ED “HEAVY GRAVITY” AVETE ACCUMULATO UNA VASTA ESPERIENZA LIVE. QUALI SONO GLI ASPETTI DELLA VOSTRA MUSICA CHE HANNO MAGGIORMENTE RISENTITO DI TUTTI I CONCERTI VISSUTI ULTIMAMENTE?
“L’aspetto del live è quello che maggiormente ci interessa. Non siamo e non saremo mai una band da studio, forse le nostre radici e le nostre esperienze passate nell’hardcore e nel metal ci mantengono una band che ama suonare ed esprimersi dal vivo. In questi anni, dopo centinaia di concerti e migliaia di chilometri, siamo ancora più convinti che sia necessario suonare su un palco, grande o piccolo che sia: ci piace condividere questa passione con altri musicisti che come noi sono capaci di farsi ore di furgone per quaranta minuti di esibizione. Non ci chiediamo perché lo facciamo, probabilmente solo chi ha questa passione può capire cosa significa fare un live”.
DA ASCOLTATORI ED APPASSIONATI, DOVE STA ANDANDO SECONDO VOI IL MONDO DELLA MUSICA? QUALI SONO LE TENDENZE CHE VI STANNO INTERESSANDO MAGGIORMENTE, E COSA AL CONTRARIO VEDETE COME ELEMENTI DI DISTURBO E DI DANNO?
“Il mondo della musica è sempre in fermento, ha sempre qualcosa da proporti; è quello il bello. La proposta in questi anni è diventata molto ampia, diversamente l’attenzione del fruitore. Personalmente non sono un grande ricercatore di nuove musiche, nè tantomeno seguo i trend. Suonando musica strumentale, mi sono avvicinato a certe realtà meno aggressive, diciamo più post-rock, folk ed anche elettroniche. Nella mia playlist però non mancano le band con le quali sono cresciuto. Posso dirti che un disturbo, a mio avviso, lo portano i talent show, dove la musica è in secondo piano e quello che conta è lo spettacolo ed i numeri in termini monetari”.
CINQUE NOMI DI BAND, CINQUE MODI DIVERSI DI INTENDERE LA MUSICA “EVOLUTA”. DITECI COSA NE PENSATE DI OGNUNA DI ESSE: ISIS, CULT OF LUNA, MASTODON, SWANS, GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR.
“Provo a definirli ognuno con poche parole.
Isis: perfetti e bilanciati, una band che difficilmente avrà un erede.
Cult Of Luna: freddi, potenti e penetranti, un ensemble di grande fascino.
Mastodon: fantasiosi e ironici, dei grandi musicisti che meritano il successo.
Swans: schivi ma iconici, una band innovativa non per tutti.
Godspeed You! Black Emperor: oscuri sperimentatori di magnifici viaggi post-rock”.
SI PARLA TANTO DI POST-ROCK, POST-METAL, POST-BLACK METAL, POST UN PO’ DI TUTTO. CHE SIGNIFICATO HA UN’ETICHETTA DEL GENERE? NON È CHE SE NE STA UN PO’ ABUSANDO, E CHE FORSE TUTTO SOMMATO, IN MOLTI CASI, QUESTO SUFFISSO NON SIGNIFICHI GRANCHÉ?
“In effetti il prefisso ‘post’ non significa nulla, nasce etimologicamente per definire il prolungarsi di forme preesistenti. Ma la domanda è: ‘post’ che cosa? Sono d’accordo con te che si stia un po’ abusando del termine, forse quando qualcuno ha una proposta musicale diversa dalla massa o dall’ascoltatore medio deve essere etichettato come ‘post’. Sinceramente, se mi piace una canzone o una band non mi interessa classificarla con un termine di genere”.
NONOSTANTE LA MUSICA DIGITALE STIA CRESCENDO ESPONENZIALMENTE, SI SENTE ANCORA NEL METAL UN FORTE BISOGNO DELLA COMPONENTE VISUALE E MATERIALE. QUANTA IMPORTANZA RIVESTE UN BUON ARTWORK E UN LAVORO GRAFICO DISTINTIVO?
“Certamente l’aspetto grafico e sopratutto materiale di un disco hanno ancora un valore, per fortuna. Comprare musica digitale va bene, lo facciamo tutti, anche scaricandola gratuitamente, ma possedere un vinile, un cd o una t-shirt del tuo gruppo preferito è qualcosa di diverso che vederlo nel tuo player. Noi dal primo EP nel 2010 abbiamo sempre scelto di stampare solo su vinile accompagnando la musica ad un artwork ricercato”.
NON POTESTE COMPORRE MUSICA, QUALE ALTRA FORMA D’ARTE RIUSCIREBBE A VEICOLARE AL MEGLIO LE VOSTRE IDEE ED EMOZIONI?
“Per come sono io credo che solo la musica sia il mezzo per esprimere emozioni e sentimenti. Ascolto musica da circa venticinque anni e la suono da quindici, non credo questa forma d’arte sia paragonabile ad altro. Stimo ovviamente anche altri mezzi espressivi, ma nulla può dare qualcosa come le sette note, forse solo il cinema”.