“The Work” dei Rivers Of Nihil non è stato di certo una sorpresa: già tre lavori di successo alle spalle, un anno intero dedicato alla scrittura dei brani, la Metal Blade a supportarli come etichetta, Dan Seagrave ancora una volta a collaborare per la realizzazione dell’artwork. Possiamo parlare di un album che sembrava nato sotto una buona stella ed il risultato è stato all’altezza di ciò che tutti si attendevano. La band americana ha sfornato un disco mastodontico, per contenuti, ambizione e maturità, in cui il death metal si combina con jazz, progressive ed elettronica dando vita ad un’ora di musica che riesce a coniugare perfettamente l’aspetto emozionale con quello più meramente tecnico, portando in questo modo a termine un percorso di crescita vertiginoso. Metalitalia.com ha avuto modo di discutere di tutto ciò con il chitarrista e membro fondatore della band Brody Uttley.
BENVENUTI SU METALITALIA.COM. ASCOLTANDO LA VOSTRA MUSICA, ALBUM DOPO ALBUM SEMBRA CHE L’ASPETTO PROG SIA SEMPRE PIU’ PROMINENTE E CHE “THE WORK” SIA L’ALBUM PIU’ PROG CHE ABBIATE MAI COMPOSTO. E’ UN’IMPRESSIONE CORRETTA?
– Sì, anch’io la penso così. Penso che molte volte, quando ci si imbatte in suoni con i quali non si è molto familiari o con uno strumento che non è comunemente utilizzato in un genere musicale, si tenda a pensare che quella band sia andata alla ricerca di un suono più ‘prog’ (ossia, di solito, osannare la musica di altre prog band, che di per sé non è neanche molto progressive). Noi non abbiamo cercato attivamente di acquisire più elementi progressive, è semplicemente accaduto che il disco uscisse così.
Parlando per me stesso, mentre scrivevo la musica per questi pezzi, il mio obiettivo era quello di creare un mood generale all’interno del quale l’ascoltatore potesse scomparire. Molti dei suoni più strani sono solo un effetto del tentativo di creare questa energia. Penso che in fin dei conti volessimo solo comporre un disco heavy metal particolare, che resistesse alla prova del tempo e a qualsiasi cosa stessero facendo le band a noi contemporanee. Siamo sempre stati una band un po’ strana, ma stavolta volevamo veramente fare le cose in grande.
COSA SIGNIFICA IL TITOLO “THE WORK”? A QUALE LAVORO VI RIFERITE?
– Non posso darti una risposta troppo elaborata, in quanto non sono l’autore dei testi (se ne occupa il nostro bassista Adam), e so che è abbastanza riservato in merito al significato con il resto della band. Tuttavia, ti posso dire che “The Work” è la storia di ciascuno di noi. Il lavoro che facciamo ogni giorno per vivere, ciò che temiamo, e le situazioni positive che occasionalmente a tutti capita di affrontare durante il viaggio della vita. Tutto ciò è libero all’interpretazione e penso sia una buona cosa.
LA VOSTRA MUSICA E’ ESTREMAMENTE INTRICATA E COMPLESSA, E PER SUONARLA SONO SICURAMENTE NECESSARIE DOTI STRUMENTALI DI UN CERTO LIVELLO. QUAL E’ PER VOI IL RUOLO DELLA TECNICA? E’ L’ELEMENTO FONDAMENTALE DELLA VOSTRA MUSICA O VI FOCALIZZATE SU ALTRO? COME SCRIVETE I VOSTRI PEZZI? DA COSA PARTITE? SIETE D’ACCORDO SE AFFERMIAMO CHE I RIVERS OF NIHIL HANNO TROVATO LA GIUSTA COMBINAZIONE FRA LA PERFORMANCE E L’ESPRESSIVITA’?
– Cerchiamo davvero solo di scrivere musica che si adatti allo stato d’animo di ciò che stiamo cercando. Non poniamo alcun limite a ciò che è possibile ottenere per questi suoni. Facciamo tutto il necessario per arrivare dritti al punto. A volte una canzone richiede riff intensi e tecnici e altre volte no; un altro brano, invece, può essere basato interamente su una vibrazione e quasi senza riff: dipende davvero dalla personalità di ciò che si sta creando. Cerchiamo di non pensare troppo quando vengono create i pezzi. Vogliamo che siano il più vicino possibile ai suoni che sentiamo nelle nostre teste e siamo disposti a fare qualsiasi cosa per far sì che ciò accada.
Di solito, quando una canzone sta prendendo forma, il punto di partenza è rappresentato da qualcosa di molto semplice, come una melodia o un riff o anche un ritmo. Nel caso di “The Work” abbiamo davvero progettato quasi un intero album attorno a questo tema ritmico centrale ricorrente. Quei tre colpi che senti in tutto l’album. “DO. THE WORK.” sembra nascere da questi suoni percussivi. Può davvero provenire da qualsiasi luogo.
NEI VOSTRI PEZZI INCORPORATE MOLTI GENERI MUSICALI, TRA I QUALI SICURAMENTE IL JAZZ, E SI TRATTA DI UNA FORMULA ORIGINALE. PENSATE CI SIANO BAND CON LA STESSA ATTITUDINE E DI CUI SIETE FAN? SIETE STATI INFLUENZATI DA QUALCHE BAND PROG DEL PASSATO?
– Direi che anche i nostri ‘fratelli’ di Reading, Pennsylvania, i Black Crown Initiate, hanno il nostro stesso ‘bug musicale’ e vedono la musica in un modo simile al nostro. Per quanto riguarda le altre band, siamo cresciuti ascoltando classici come Yes, King Crimson, The Moody Blues, Pink Floyd, ecc.
DOMANDA SCONTATA MA INEVITABILE: DA DOVE VIENE L’IDEA DEL SAX? COSA PENSATE CHE AGGIUNGA ALLA VOSTRA MUSICA?
– A dir la verità tutto è partito dalla nostra amicizia con Zach Strouse (Sax Strouse). Ho registrato il suo album nel 2015 ed allora suonava la chitarra nella sua band. Un giorno mi prese da parte e mi disse: “Oh, io sono un sassofonista. Se volete fare un po’ di casino con il sax fatemi sapere“. Ed è ciò che accadde. Mentre stavamo scrivendo “Where Owls Know My Name” ci accorgemmo di avere molti spazi da riempire e così abbiamo semplicemente pensato: “Hey, chiamiamo Zach“. Il resto è storia.
Nel caso di “The Work” il sax è solamente un altro colore nello spettro sonoro del disco, fluisce e rifluisce e si fonde con le chitarre per la maggior parte del tempo. In questo nuovo album volevamo davvero assicurarci che il sax non fosse necessariamente uno strumento principale ogni volta che appariva. Volevamo che accrescesse l’atmosfera generale in qualunque cosa stessimo cercando. Penso che il mio momento preferito con il sax nel nuovo album sia nell’opener dell’album, “The Tower”: quella canzone ti prepara davvero per quello che verrà e il sax è perfetto in quella triste atmosfera ipnotica.
PARLANDO DEI PEZZI, “TERRESTRIA IV: WORK” E’ LA QUARTA PARTE DI UNA SAGA. DI COSA PARLA? QUAL E’ IL LEGAME CON GLI ALTRI TRE EPISODI?
– Ripeto, non posso andare troppo a fondo con i testi poiché non li ho scritti e non me la sento di mettere delle parole che non ha detto in bocca ad Adam. Il legame principale tra le canzoni è questa ‘Terrestria melody’. Abbiamo un “Terrestria” su ciascuno dei quattro nostri album ed ognuno serve a trasportare l’ascoltatore nell’atmosfera di una stagione, in questo caso l’inverno. Questi pezzi sono fondamentalmente una linea costante che attraversa tutti i dischi, a cui gli ascoltatori possono aggrapparsi se si perdono nella raffica di suoni che ogni album sprigiona.
“MAYBE ONE DAY” E’ UNA SEMI-BALLAD CHE SEMBRA AVERE UN MOOD DIVERSO RISPETTO AL RESTO DELL’ALBUM. CE NE PUOI PARLARE?
– Sicuro. Quella canzone è qualcosa che fondamentalmente è successo per caso. Stavo scherzando con una strana accordatura aperta e la linea di chitarra che apre il pezzo è semplicemente ‘accaduta’. Dopo aver creato quell’intro, ho deciso di continuare a sperimentare e di provare a fare una canzone prevalentemente acustica. Sono un grande fan di quando le band tradizionalmente pesanti si mettono a suonare in questo modo (vedi “Damnation” degli Opeth), e ho sempre voluto provare ad includere una ballata acustica in un disco. A volte, quando scrivi un brano musicale che è così lontano dal tuo normale ambito sonoro, ti viene solo questo desiderio irrefrenabile di completarlo e renderlo il più diverso possibile dal resto del tuo lavoro. Nel caso di “Maybe One Day” penso che abbia funzionato alla grande. In realtà ho sentito molte più persone di quanto mi aspettassi che hanno detto che è il loro pezzo preferito del nuovo album.
Penso che alla fine quando crei qualcosa che è emotivamente denso e riconoscibile, le persone saranno attratte da esso, non importa come suoni il resto del tuo catalogo. “Maybe One Day” è sicuramente uno dei miei brani preferiti del nuovo disco e qualcosa che sono molto orgoglioso di aver pubblicato. Inoltre, è la canzone preferita di mio padre tra quelle che abbiamo mai realizzato e questo mi rende ancora più orgoglioso.
CONTINUA ANCHE LA VOSTRA COLLABORAZIONE CON DAN SEAGRAVE, QUELLO REALIZZATO PER “THE WORK” E’ GIA’ IL QUARTO ARTWORK CHE HA CREATO PER VOI. COME E’ NATA QUESTA PARTNERSHIP? COSA SIGNIFICA LAVORARE CON UN PERSONAGGIO COSI’ IMPORTANTE?
– Nel nostro primo album eravamo a caccia di artisti e così abbiamo inviato l’idea delle stagioni a un gruppo di personaggi noti e meno noti e l’unico che ci ha risposto è stato Seagrave. È fantastico lavorare con lui ed è davvero un artista. Di solito gli inviamo la musica e i testi di ogni album, insieme a un’idea approssimativa di ciò che speriamo di vedere sulla copertina, e lui si mette al lavoro. Non ci piace avere troppa influenza su ciò che fa perché è un vero maestro nel suo mestiere. Praticamente ogni volta che ci ha mandato la copertina di un album, l’ha indovinata al primo colpo. Amiamo Dan Seagrave e il suo lavoro è una parte innegabile dell’identità di questa band.
AVETE DICHIARATO CHE LA PANDEMIA NON HA INFLUENZATO IN MODO PARTICOLARE I VOSTRI PROGRAMMI, POICHE’ ERA VOSTRA INTENZIONE DEDICARE UN ANNO INTERO ALLA SCRITTURA DEL NUOVO ALBUM E COSI’ E’ STATO. COME AVETE LAVORATO SUL NUOVO MATERIALE, CON TUTTO CIO’ CHE ACCADEVA INTORNO A VOI? QUESTA SITUAZIONE HA INFLUENZATO IL PROCESSO CREATIVO? PENSATE CHE “THE WORK” SAREBBE STATO DIFFERENTE SENZA LA PANDEMIA O NON SAREBBE CAMBIATO NIENTE?
– Penso che l’impatto del 2020-21 sia una cosa innegabile con cui tutti noi prima o poi dovremo fare i conti, anche se non ci siamo resi subito conto degli effetti. Personalmente mi ha dato la possibilità di spegnere davvero tutto il mio cervello e destinare il 100% della mia potenza cerebrale a lavorare su questo album. Ho scavato più in profondità e sono sceso nei dettagli più di quanto sarei mai stato in grado di andare se non fossi rimasto praticamente chiuso in casa per un anno intero. Mi ha anche fatto guardare il mondo intorno a me in un modo diverso. Per questo nuovo album molte delle influenze vengono da scenari naturali e paesaggi intorno alla mia città natale di Reading. Di solito sono una persona abbastanza distratta, che non si prende necessariamente del tempo per fermarsi e godere gli aspetti positivi della vita. Ma la natura del 2020 mi ha costretto a fare i conti con il mondo intorno a me, nel bene e nel male, e a dirigerlo in un album. “The Work” (musicalmente) è davvero uno sguardo al mio mondo negli ultimi tre anni. I suoni che senti sono tutti suoni che stavo ascoltando mentre ci lavoravo: il treno vicino a casa mia, i suoni meccanici inquietanti e freddi dei parchi industriali abbandonati, lo scricchiolio degli alberi, l’elettricità statica di un giradischi, il cinguettio degli uccelli primaverili. Tutto ciò faceva parte del mio mondo e ora può far parte di quello di chiunque altro.
CONSIDERATA LA COMPLESSITA’, COME SUONERETE “THE WORK” DAL VIVO?
– Con una certa pianificazione, suppongo. Mi piacerebbe davvero mettere insieme una band completa, un giorno, che includa un pianista, un sassofonista, percussioni, ecc. Abbiamo appena terminato un tour di cinque settimane negli Stati Uniti dove abbiamo suonato tre nuove canzoni e tutto è filato liscio e senza intoppi. Grazie alla tecnologia moderna, penso che, anche se non è possibile ingaggiare uno staff itinerante di dieci membri, possiamo usare il campionamento per raggiungere il nostro risultato, ma mi piacerebbe, quando possibile, avere il maggior numero di musicisti che suonano sul palco. È difficile per i tour di supporto perché ti viene data solo mezz’ora e pochissimo spazio. Però, per i concerti da headliner vedremo! Tutto è possibile.
COME VEDETE IL VOSTRO LAVORO NEL GIRO DI QUALCHE ANNO? SARA’ DIFFERENTE DOPO LA PANDEMIA E CON L’AVVENTO DELLE PIATTAFORME DI STREAMING?
– Spero di continuare a fare concerti. Lo streaming mi è sempre sembrato una sorta di ‘stampella’ per ciò che le persone cercano davvero: andare a un concerto dal vivo e dimenticare la loro giornata. Siamo sempre disposti a provare cose nuove, ma penso che a questo punto non sia azzardato affermare che il mondo si sta riaprendo e che continueranno ad esserci sempre più tour.