“Love, Fear And The Time Machine” è un disco spiazzante: un flusso musicale estremamente soft, lontano dalla normale idea che possiamo avere del prog sia in senso rock che metal. È il frutto della mente di un solo uomo, Mariusz Duda, bassista e cantante dei Riverside, oggi reinventatisi in una forma molto diversa da quella che avevano fatto conoscere di sé. Il bisogno di uscire dalle tenebre ha portato a comporre un album distante da qualsiasi altro capitolo discografico la stessa band polacca abbia presentato in carriera e che riesce difficile accostare a chiunque altro. Un’opera toccante, che fa vibrare l’anima ricorrendo a pochi accorgimenti e che nella sua essenzialità si dimostra di una ricchezza espressiva impressionante. In un afoso pomeriggio di metà luglio, poco prima del loro concerto al Lo-Fi, proprio il leader del quartetto est europeo ci ha raccontato tutto quello che avremmo voluto sapere sulla genesi dell’album e i suoi significati.
QUALI SONO LE EMOZIONI CHE TI HANNO GUIDATO NELLA COMPOSIZIONE DI “LOVE, FEAR AND THE TIME MACHINE”?
“Partirei da una riflessione su quello che siamo noi Riverside: in molti ci definiscono prog metal ma, a mio modo di vedere, non apparteniamo a questo genere. È una riflessione che ho fatto durante un festival prog a cui abbiamo partecipato a Barcellona poco tempo fa: il festival si chiamava ‘Be Prog, My Friend’, e comprendeva ensemble diversissimi. Meshuggah, Camel, Ihsahn, noi, tutti ad alternarsi sullo stesso palco e tutti accomunati dall’etichetta ‘progressive’. Allora mi sono chiesto: noi siamo progressive metal? No, non lo siamo. Probabilmente questo equivoco nasce dal fatto che in siti come progarchives.com siamo etichettati come ‘progressive metal’ e quindi finiamo per essere associati a band tipo Dream Theater o Pain Of Salvation. Okay, è vero, abbiamo rilasciato un disco come ‘Second Life Syndrome’, ci era piaciuto in quel periodo sperimentare con del materiale più duro del solito, però non ci sentiamo musicisti metal. Con il predecessore di ‘Love, Fear And The Time Machine’, ‘Shrine Of New Generation Slaves’, abbiamo volontariamente cercato di allontanarci dalla complessità e focalizzarci sulle melodie. Una sorta di ‘ritorno alla polvere’, all’essenzialità. Non c’è chissà cosa da inventare nel mondo della musica, abbiamo sentito la necessità di fare un passo indietro e provare a scrivere vere e proprie canzoni. Se nel disco precedente ci siamo soffermati su melodie cupe e malinconiche, con questo abbiamo voluto dare spazio a stati d’animo più solari, luminosi. Ho anche un progetto personale, Lunatic Soul, col quale vado ad esplorare sonorità dark/ambient dalle tematiche fortemente negative, inerenti il suicidio e altri argomenti che hanno ben poco di positivo: dopo aver esplorato così a lungo e in profondità un certo tipo di emozioni, ho deciso che era venuto il momento di scrivere qualcosa di più leggero per il disco successivo dei Riverside. Avevo il desiderio di applicarmi a un suono il più possibile organico, lontano dalle complicazioni e dalla durezza del prog moderno. Volevamo mettere in connessione Seventies ed Eighties: gli Anni ’80 sono quelli nei quali siamo cresciuti, d’altronde andiamo tutti per i quaranta nella band ed è normale che quel decennio ci abbia influenzato moltissimo. Arrivando a questa età, inoltre, inizi a dare uno sguardo al passato, a ricordare la tua giovinezza. Chiamala, se vuoi, crisi di mezza età! Desideri riappropriarti di una certa semplicità, in poche parole, e questo si riflette automaticamente sulla musica. Il nostro background ha poi molto a che vedere con gli Anni ’70 ed è naturale che vi sia una stretta connessione con i suoni di quell’epoca. Non che volessimo sembrare vintage, al contrario intendevamo proporre qualcosa di nuovo per noi stessi unendo stili musicali che ci ricollegavano con i nostri anni giovanili. Quando parlo di musica tipica degli Anni ’80, non intendo roba come i Depeche Mode, ma il rock che potevi sentire alla radio in quegli anni. Erano canzoni con una loro profondità, con uno spessore che oggi molto difficilmente si può riscontrare in quello che passano le radio. Propongono tutte musica piatta, senza alcun valore, scialba. Abbiamo cercato di proporre un album ottimista, e credo ci siamo riusciti. La prima traccia si chiama ‘Lost’, l’ultima ‘Found’: possiamo dire che ci sia un lieto fine in ‘Love, Fear And The Time Machine’. È la prima volta che mi accade in carriera”.
SE GUARDI ALLE PASSATE PUBBLICAZIONI, CE N’È QUALCUNA CHE POSSA RICORDARE QUEST’ULTIMA RELEASE?
“In alcune parti, ma solo in alcune parti, può ricordare il nostro debut. Vi è molta nostalgia in ‘Love, Fear And The Time Machine’, sentimento rintracciabile anche in ‘Out Of Myself’, ma sotto una luce diversa, uno sfondo differente da quello attuale. Se a un nostro fan è piaciuto il nostro album d’esordio, probabilmente troverà dei riferimenti a lui noti in quest’ultimo lavoro: nel caso non lo conosca, ascolterà qualcosa di mai udito prima! Qualche analogia col nostro passato c’è, ma il punto di vista è molto diverso da qualsiasi altra cosa abbiamo mai composto”.
PERCHÉ NON VI PIACE ESSERE ASSOCIATI AL PROGRESSIVE METAL? COSA NON VI PIACE DI QUESTO TIPO DI MUSICA?
“Non sono un grande fan dell’heavy prog metal in generale. In particolare, non mi piace affatto il cantato delle band collocabili di solito in questa corrente musicale. Ad esempio, un act come i Symphony X sono agli antipodi della mia concezione di progressive band, ascoltare quel cantato così acuto e insistito sulle note alte (qui Duda si produce in una spassosa parodia di quello che è per lui il cantato dominante nel filone progressive/power metal, ndR) è per me insopportabile. So che abbiamo elementi tipici del contesto prog metal, come le tastiere e molte linee melodiche, ma non mi sembra che aderiamo perfettamente alle caratteristiche del prog moderno. Non ritengo nemmeno ci si possa vedere come una formazione prog rock in senso classico, anche in questo caso intercorrono molteplici differenze con quanto è normalmente considerato progressive rock. Potremmo affermare che ci collochiamo nel mezzo, con melodie soft abbinate a chitarre più irruente e un certo tipo di atmosfera che può rimandare sia a un tipo di musica old style, sia a sonorità moderne”.
COSA CI PUOI DIRE DELL’ARTWORK, COSÌ COLORATO, PASTELLATO, RICOPERTO DI UNA SPECIE DI NEBBIOLINA E CON UNA PERSONA SU UN LATO CHE GUARDA ALL’INFINITÀ DELL’OCEANO? COME SI RICOLLEGA ALLE TEMATICHE AFFRONTATE NELLE LYRICS?
“Questo è il nostro sesto album e difatti il titolo è formato da sei parole. È una regola che ci siamo dati a partire dal terzo disco, quella di avere un numero di parole nel titolo pari all’ordine cronologico dei nostri full-length. L’argomento principale dal quale si dipartono tutti i testi è il processo decisionale, l’amore e la paura come forze contrapposte che ci guidano nelle nostre azioni e ci fanno pensare a cosa sia meglio per noi, prefigurando quelle che potrebbero essere le conseguenze di quanto stiamo andando a compiere. Metti a confronto le esperienze del passato e formi nella tua testa un’idea del futuro che andrai a vivere secondo le diverse opzioni a tua disposizione in quel momento. Amore e paura, passato e futuro si confrontano e combattono per portarti a compiere i passi migliori per te stesso. Eccoci arrivati alla copertina: quando una persona si trova a dover prendere una decisione importante, è come se si trovasse su una spiaggia a scrutare l’orizzonte. È lì che guarda l’oceano davanti a sé, al mare che possiamo pensare come le opportunità offerte dal futuro, e pensa a dove lo porteranno le sue scelte. Confronta quanto gli è accaduto in passato, partendo da quello più remoto e risalendo fino al presente. Sai, devo essere arrivato a scrivere quest’album proprio perché ho appena compiuto quarant’anni e quando tagli certi traguardi anagrafici è fisiologico trarre delle conclusioni, fare un bilancio della propria esistenza. Siamo in una fase storica dove molti si chiedono dove stia veramente la felicità, se valga la pena continuare a correre la nostra ‘rat race’ o non sia il caso di cambiare vita. Quando sei sempre lì a correre, a riempirti di stress in ogni giornata, è venuto il tempo di sedersi e pensare; è fondamentale prendersi una pausa e capire cosa si voglia ottenere da se stessi. La prima canzone del disco si intitola ‘Lost’: a tutti capita a un certo punto della propria esistenza di sentirsi perduti. In questi casi si dà la colpa alle azioni compiute nel passato e ad accusarsi per un’infinità di sbagli. No, non è detto che quanto fatto in precedenza fosse per forza sbagliato. Avrai in ogni caso accumulato un bagaglio di esperienze necessario per capire su cosa devi puntare per diventare una persona migliore. Amore, paura, passato e futuro si mischiano in un turbine di sensazioni che dovrebbe alla fine far scaturire le risposte che stai cercando. L’ultimo brano si intitola ‘Found’: significa che hai capito come stare meglio e che non è la vita a fare schifo, sei tu che fai schifo se non sei capace di utilizzare il tempo che ti è concesso al meglio. Se vogliamo, è un concetto abbastanza ovvio, ma non era un nostro obiettivo quello di trattare concetti particolarmente difficili od originali. ‘Love, Fear And The Time Machine’ è un album che dovrebbe aiutarti a guardare dentro te stesso e tirare fuori quello che hai dentro. Il bambino sulla copertina può essere visto come l’uomo che ricorda quando era piccolo e ripercorre a ritroso tutto il cammino che lo ha portato ad essere ciò che è in questo momento”.
A LIVELLO TECNICO, AVETE PROVATO QUALCHE SOLUZIONE MAI AFFRONTATA IN PASSATO?
“Il tratto saliente nei nuovi pezzi, ciò che hanno in comune, è il ruolo primario del basso. Ho suonato il basso, in tante parti, un po’ alla Cure, insistendo sul suonare una sola corda alla volta: anche le tastiere, invece di stare sullo sfondo, sono state messe più in risalto del solito. Tutto quanto puoi sentire va nella direzione di ottenere un sound positivo ma non eccessivamente allegro, avente comunque un senso di malinconia di fondo che permea tutta l’opera. In questo, le linee di basso sono determinanti”.
I TESTI SONO PIÙ INFLUENZATI DA TUE ESPERIENZE PERSONALI, OPPURE SONO UNA RIFLESSIONE SU QUANTO ACCADE NEL MONDO E SI ISPIRANO A QUALCOSA CHE STA FUORI DALLA TUA SFERA PRIVATA?
“Ho fatto confluire nel disco emozioni molto personali, tanto da aver scritto tutta la musica e i testi, quando di solito contribuiscono un po’ tutti alla creazione delle canzoni. Questa volta mi sentivo di occuparmi di ogni cosa e così è stato”.