ROSETTA – Autarchia, utopie & oppiacei

Pubblicato il 13/12/2017 da

I cinque (oramai non proprio più) ragazzi di Philadelphia fanno parte di quella moderna categoria di eroi che, inflessibili, navigano senza affogare nelle acque infide del mondo sulla barca che essi stessi hanno costruito: scelta l’impervia strada del do-it-yourself, infatti, i Rosetta sono riusciti a trovare il giusto equilibrio tra rischi e soddisfazioni senza che questo influisca in negativo sulla qualità della loro musica. “Utopioid” ce lo ha dimostrato una volta in più, restituendoci una band con ancora tanta voglia di sperimentare affrontando le contingenze della vita attraverso un’ottica assolutamente non banale. Il chitarrista Matt Weed ci ha raccontato cosa significa vivere di musica indipendente e di come il viaggio ‘spaziale’ dei Rosetta si sia spostato su orbite diverse nel corso degli anni. Più ibride ed articolate, magari, ma non per questo meno belle.

“UTOPIOID” È UNO SPLENDIDO VIAGGIO SIDERALE IN QUELLE CHE SEMBRANO ESSERE LE DUE ANIME DEI ROSETTA: UNA PIÙ ADDOLCITA E QUASI VICINA AD UN CERTO GUSTO SHOEGAZE E L’ALTRA CHE ANCORA GRAFFIA CON SPASMI HARDCORE, MA ENTRAMBE POSSONO ESSERE RICONDOTTE AD UN CERTO MODO DI SUONARE ‘POST’ METAL. COME SIETE RIUSCITI A CONCILIARE TUTTE QUESTE DECLINAZIONI DELLA VOSTRA MUSICA NEL PROCESSO DI COMPOSIZIONE?
– Abbiamo sempre preso molto sul serio l’evoluzione e lo sviluppo di un disco. In “Utopioid” c’è la differenza che i grandi cambi di dinamica avvengono da canzone a canzone e non all’interno di esse. Questo è il risultato di un processo di composizione che è focalizzato sull’album nella sua interezza invece che scrivere canzoni e decidere poi come si incastrano insieme. In questo modo il concept risulta più omogeneo e il flusso delle tracce è molto più naturale e narrativo. Lavorare in questo modo ci ha permesso di esplorare molti nuovi sound e trame.

AVEVATE INTENZIONE DI PROVARE UN DIVERSO MODO DI SUONARE CHE  INTRECCIASSE TUTTE QUESTE INFLUENZE OPPURE È STATA UNA MESCOLANZA NATURALE E QUASI INVOLONTARIA?
– E’ stato totalmente intenzionale. I nostri primi lavori sono stati scritti molto spontaneamente, poi abbiamo cambiato i nostri metodi di lavoro perché non volevamo continuare a fare lo stesso album ancora ed ancora. Quindi abbiamo ampliato la nostra tavolozza sonora nel corso degli anni.

QUAL È IL CONCEPT ATTORNO CUI AVETE COSTRUITO LE NOVE CANZONI DELL’ALBUM?
– C’è un personaggio principale – senza nome né genere – e l’album segue il suo ciclo vitale. Molti testi sono in prima persona, infatti. L’album può essere diviso in quattro parti, corrispondenti alle quattro stagioni della vita, ma l’idea centrale è quella di delusione, isolamento, di  una narrativa di vita che deraglia in un arco tragico. Nella prima parte c’è una sensazione di positività e speranza, ma le cose diventano più cupe nella seconda. Abbiamo usato il concetto di ‘oppiacei’ non per parlare di droghe in senso letterale, ma come un filtro in grado di far capire il senso di disperazione e perdita di voglia di vivere.

COME VI RAPPORTATE OGGI CON LA DEFINIZIONE DI ‘METAL PER ASTRONAUTI’?
– Credo che ci siamo mossi parecchio da lì. Quello slogan era nella nostra prima biografia del 2003, ma non ci siamo più riferiti a noi stessi in quel modo in più di dieci anni. L’ultima volta che c’era un’esplicita connessione con lo spazio nella nostra musica è stato anni fa. La maggior parte di quello che creiamo oggi è più inerente alle esperienze umane. Sicuramente il nostro sound è ancora ‘spaziale’, ma non affrontiamo più lo spazio come soggetto dei nostri concept da molto tempo.

 PER MOLTO TEMPO SIETE STATI UN QUARTETTO, INVECE CON “QUINTESSENTIAL EPHEMERA” AVETE ACCOLTO ERIC JERNIGAN DEI CITY OF SHIPS NELLA LINE-UP. COME E COSA HA CAMBIATO L’ARRIVO DI UN NUOVO CHITARRISTA/CANTANTE NEGLI EQUILIBRI IN FASE DI SCRITTURA DELL’ALBUM E SUL PALCO?
Eric è stato nostro amico per anni prima di unirsi a noi come membro del gruppo, quindi chiedergli di unirsi a noi è stato un passo molto spontaneo. E’ stato parte di quanto dicevo prima a proposito di creare sonorità nuove e maggiormente diverse. Stavamo cercando di avere un contrappunto più solenne nel lavoro di chitarra, per raggiungere il quale erano necessariamente richiesti due chitarristi, e allo stesso tempo volevamo qualcuno con un background differente dal nostro che però fosse in grado di contribuire al songwriting. Eric ha un buon orecchio per gli agganci melodici e questo ci aiuta a non sprofondare in muri di rumore astratto. Inoltre ha aggiunto una tensione produttiva agli arrangiamenti che non avremmo potuto raggiungere senza di lui, per non parlare del fatto che il suo differente range vocale costituisce un’aggiunta preziosa al mix.

DOPO QUASI QUINDICI ANNI DI MUSICA, COME GUARDATE AL PROGETTO ROSETTA? COS’È CHE VI HA SPINTO A COMINCIARE E QUALI SONO INVECE LE MOTIVAZIONI CHE AVETE ORA?
– Non siamo mai stati un gruppo ambizioso, quindi non penso che abbiamo mai avuto altri obiettivi specifici se non far sì che la band sia autosufficiente. E’ importante per noi non come mezzo per promuovere il nostro ego, ma piuttosto perché far musica è parte di ciò che siamo; siamo quasi ‘costretti’ a continuare a suonare. Questo spiega in parte il perché il nostro sound sia cambiato così tanto negli anni: non stiamo provando ad essere popolari, a riscuotere consensi o ad adattarci ad una specifica scena o sottogenere. Semplicemente creiamo musica dal cuore perché abbiamo bisogno di farlo, il gruppo è solo il contenitore in cui catalizziamo i nostri sforzi.

AVETE SCELTO LA STRADA DEL ‘DO-IT-YOURSELF’ E QUESTO È IL TERZO DISCO CHE VI AUTOPRODUCETE. COME VI SIETE TROVATI A GESTIRE IN TOTO LA PRODUZIONE E LA PROMOZIONE DEL VOSTRO ALBUM?
– Ha funzionato veramente bene nel nostro caso. Siamo stati in grado di avere dei budget maggiori e allo stesso tempo abbiamo sempre coperto i costi in fretta, da quando siamo diventati indipendenti la band non è mai stata in debito o in rosso. Ci permette molta più libertà in termini di scelta delle persone con cui vogliamo lavorare e la schedulazione dei cicli di scrittura/registrazioni/tour. E’ stata dura intraprendere questo percorso, ma abbiamo avuto il vantaggio di avere dalla nostra un’affezionatissima fanbase quando ci siamo resi indipendenti.

IL PAY-AS-YOU-WISH È UN’ARMA A DOPPIO TAGLIO, SPECIE PER CHI COME VOI HA SCELTO L’INDIPENDENZA. QUANTI E QUALI RISCHI AVETE CORSO NEGLI ANNI E QUALI SONO STATI I VANTAGGI?
– E’ rischioso. La maggior parte delle persone che scaricano la nostra musica non pagano nulla. Allo stesso tempo vogliamo garantire che chiunque possa avere accesso alla nostra musica, non importa se avaro o meno. Alcune persone scelgono di pagare invece molto: in un certo senso è una sorta di mecenatismo, perché le poche persone che pagano molto ci permettono di andare avanti in modo che anche quelli che non sborsano un centesimo possano continuare ad usufruire della nostra musica. Ci sono aspetti positivi e negativi in questo procedimento, ma cosa lo rende differente da una campagna di crowfunding è il fatto che noi finanziamo i nostri progetti e riceviamo il denaro dagli ascoltatori solo quando il prodotto è pronto. Preferiamo lavorare così perché non ci sentiamo indebitati con nessuno, c’è un certo grado di libertà psicologica in questo.

NONOSTANTE UNA NUTRITA FANBASE SPARSA PER TUTTO IL MONDO E NONOSTANTE ABBIA POTUTO CONSTATARE DI PERSONA COME E QUANTO LA VOSTRA MUSICA AUMENTI LE PROPRIE POTENZIALITÀ ON-STAGE, NON È SEMPLICE VEDERVI IN TOUR FUORI DALL’AMERICA. E’ UNA SCELTA SEMPLICEMENTE DOVUTA A CONTINGENZE LAVORATIVE/PERSONALI OPPURE CI SONO MOTIVAZIONI PIÙ LEGATE ALLA MUSICA?
– E’ solo che ci sono così tanti posti da vedere e così poco tempo per farlo. In realtà abbiamo suonato molto, molto di più fuori dagli USA negli ultimi anni che all’interno di essi. Abbiamo i nostri impegni personali ed allo stesso tempo non vogliamo rimanere on the road così tanto da esaurirci. E’ importante per noi mantenerci sereni ed in salute in modo da poter continuare a far musica il più a lungo possibile.

COSA ASCOLTATE DI SOLITO? LASCIATE CHE I VOSTRI ULTIMI ASCOLTI INFLUENZINO IL VOSTRO PROCESSO DI COMPOSIZIONE O PREFERITE TENERE SEPARATI I DUE AMBITI?
– Quello che ascoltiamo influenza certamente quanto scriviamo, ma in maniera indiretta. Tutti noi sentiamo cose diverse, ma ciò che le accomuna è il fatto che nessuno di noi ascolta più così tanto heavy metal. Io per esempio ascolto un sacco di drone, gli altri ragazzi hanno le loro proprie passioni musicali. Il punto è che le nostre influenze si sono ampliate e diversificate nel corso degli anni, proprio come il nostro sound.

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