Sono in poche ormai le band in grado di trasmettere emozioni forti nel campo del post-rock strumentale. Tra esse svettano senza ombra di dubbio i Russian Circles. Il trio di Chicago aveva chiuso il 2011 in bellezza con “Empros” un disco riuscitissimo ed affascinante, che ci ha regalato un altro superbo esempio di come questa band riesca sempre ad unire mondi musicali diversi, convogliandoli nel proprio sound a creazione di una estetica heavy nuova, unica e ormai riconoscibilissima. Con “Empros” la band ha saziato ancora una volta tutti coloro che amano i sound oscuri e atmosferici dei Neurosis, chi ama certi tecnicismi ”math” tipici per esempio dei Don Caballero o dei Tool, ed ha anche teso – con successo – una mano agli amanti più incalliti del prog degli Opeth. Insomma, i Russian Circles sono una band completa e di ampissime vedute, che ora si mostra anche incredibilmente adattabile, malleabile e completamente al passo con i tempi che cambiano. Per saperne di più abbiamo dato la parola al bassista (ed ex-Botch) Brian Cook, che, come si vedrà, ci ha svelato che alla base del successo della band vi è solo tanto duro lavoro e amore per quello che fanno.
CIAO BRIAN, COSA HANNO IN CANTIERE I RUSSIAN CIRCLES PER IL 2012?
“Mah, per ora il 2012 è stato abbastanza tranquillo. Ora che l’inverno è finito faremo molta più attività live. Partiamo per l’Europa in una settimana, e poi più la ci attendono dei tour in Canada, negli USA, in Australia, e speriamo anche di farcela ad arrivare in Asia”.
ORMAI SONO DIECI ANNI CHE I RUSSIAN CIRCLES ESISTONO. COME TI SENTI A PROPOSITO DELLA ATTUALE POSIZIONE DELLA BAND, E DI DOVE SIETE ARRIVATI DOPO UN DECENNIO?
“Fin ora la nostra carriera è stata molto soddisfacente. Stiamo sempre molto attenti a non fare passi più lunghi della gamba e a non strafare, per cui la band rimane sempre in una posizione defilata, ma sempre vantaggiosa e produttiva. In passato c’erano tante pressioni dall’esterno perchè questa band andasse sempre in tour. Ora invece ci siamo guadagnati col tempo e col sacrificio una nostra independenza che tutti ci riconoscono e ci rispettano. Ora siamo in grado di agire secondo le nostre tempistiche, e dunque, per esempio, andiamo in tour solo quando ce la sentiamo, o se all’uscita di un nostro nuovo lavoro non abbiamo ancora toccato città importanti, o se ci viene data la possibilità di aprire per qualche grande band che amiamo o rispettiamo. In pratica, prendiamo decisioni pratiche e piacevoli per noi piuttosto che prendere decisioni stressanti e impegnative volte a fare ‘carriera’. In questo senso, credo che siamo un band molto fortunata. Facciamo ciò che amiamo, ma lo facciamo quando ci pare, e in libertà totale, e questo è un lusso che poche band possono permettersi”.
DIECI ANNI COME BAND, E DIECI ANNI COME BAND STRUMENTALE, CI VIENE DA AGGIUNGERE. NON VI VIENE MAI LA VOGLIA DI PROVARE COSE DIVERSE E MAGARI AD INSERIRE PARTI CANTATE NELLA VOSTRA MUSICA?
“Beh, sarebbe come aprire il vaso di Pandora e iniziare un discorso tutto nuovo e molto complicato. E, inoltre, alla fine di ‘Empros’ ci sono parti cantate, per cui, direi che in realtà già abbiamo sperimentato con questo aspetto musicale, e abbiamo dimostrato di non essere chiusi a nessuna possibilità. In definitiva, comunque, io direi che aggiungere le voci alla nostra musica significherebbe alterare tutto il nostro processo creativo e alterare l’equilibrio della band. Dovremmo spostare l’attenzione della musica sulle voci, anzichè enfatizzare gli arrangiamenti come facciamo ora. Praticamente limiterebbe la nostra capacità di creare ciò che facciamo con grande successo, in virtualmente ogni ambiente in cui ci ritroviamo, come succede ora. Per esempio, aggiungendo le voci diventi molto più dipendente dai sound-check, dalle casse spia, dal mixer, e dall’impianto audio del luogo in cui suoni, e tutto ciò diventa solo un gran rottura di palle. Invece così come siamo messi, abbiamo il vantaggio di avere un set-up semplicissimo e molto versatile che ci permette sempre di avere un gran sound ovunque e in qualunque situazione”.
PRIMA DEI RUSSIAN CIRCLES ERAVATE TUTTI IN BAND NON STRUMENTALI. COME VEDI LE DIFFERENZE NELLA CREAZIONE E PERFORMACE TRA BAND STRUMENTALI E NON STRUMENTALI?
“Mah, devo dire che il processo di scrittura e creazione, non è poi così diverso, perchè anche nelle band non strumentali le canzoni si cominciano sempre a scrivere a partire dalla strumentazione e dalla base strumentale. Nè i Botch, nè i These Arms Are Snakes erano band che ruotavano attorno alle voci. Erano sempre una aggiunta che veniva fatta alla fine a musica ultimata. In sede live, invece, come ti dicevo prima, la faccenda è del tutto diversa. Un vocalist dà un altro aspetto e assetto ad una band sul palco, ed entrambi i vocalist dei Botch e dei TAAS erano molto fisici e attivi sul palco, per cui la dinamica della band sul palco era dettata per lo più da loro. Poi ci sono anche fattori in apparenza banali e idioti, ma da considerare, come la presenza di un vocalist scalmanato che ti urta l’attrezzatura e di pesta i pedali per sbaglio mentre suoni. Insomma, un assetto strumentale, secondo me, dà molta più libertà, ed è un modo di suonare meno problematico e più spensierato”.
CREDI CHE IL FATTO DI FARE MUSICA STRUMENTALE RAPPRESENTI UN OSTACOLO NELL’EVOLVERSI E PROGREDIRE MUSICALMENTE?
“Decisamente no. Ho sempre militato in band il cui sound si sviluppava attorno alla strumentazione e mai a una melodia vocale. Per cui la mia evoluzione musicale personale, a partire dai Botch, passando per i TAAS, e arrivando infine ai Russian Circles, non ha mai avuto ostacoli, a prescindere dal fatto che fossero band strumentali o meno. E questo vale anche per Mike e Dave, ragion per cui tutti noi ci evolviamo constantemente e dunque inevitabilmente la band tutta insieme a noi.”
TU SEI ENTRATO NELLA BAND A PARTIRE DAGLI ULTIMI TRE ALBUM. COME PENSI DI AVER CONTRIBUITO MAGGIORMENTE ALLA MUSICA E ALLA VITALITA’ DELLA BAND?
“Bella domanda. Credo che dovresti chiederlo ai mei compagni, innanzitutto perchè a differenza mia vedono la questione da fuori e dunque in maniera più obiettiva, credo; e inoltre perchè io non c’ero per ‘Enter’ (il primo album ndR), e non so come funzionava la band allora”.
DOVSE SENTITE DI ESSERE DIRETTI MUSICALMENTE E A LIVELLO CREATIVO?
“Boh, non ne ho prorpio idea. Non c’è alcuna premeditazione in quello che facciamo, quello è sicuro. In generale, noi guardiamo sempre al nostro materiale già scritto per capire come e dove siamo messi, perchè quello in creazione nel presente è nuovo anche e soprattutto per noi, e non sempre lo capiamo nel momento in cui nasce. Essere parte integrante del processo creativo, credo che crei una sorta di ‘conflitto di interesse’ che ti impedisce di esprimere un giudizio sincero su quello che stai facendo”.
RIMANENDO SU QUESTO TEMA, COSA NE PENSI INVECE DELLE CAPACITA’ CHE HANNO LE BAND STRUMENTALI DI TRASMETTERE MESSAGGI E TEMATICHE CON LA LORO MUSICA? IN QUESTO PENSI CI SIANO DEI LIMITI?
“DIirei di no. La timbrica, le melodie, il ritmo e il tempo, sono tutti fattori molto comunicativi intrinsechi alla musica stessa. Non credo che la comunicatività della musica sia appannaggio esclusivo dei testi e delle liriche. Anzi, io credo proprio che la musica serva a comunicare idee e concetti proprio dove e quando la parola fallisce o non riesce. Credo sia anche per questo motivo che c’è un numero così esiguo di cantanti che scrivono dei testi realmente di valore lì fuori. La maggior parte delle liriche che si sentono in giro sono veramente roba di poco conto che raramente comunica granchè. Un mio amico che scrive molti testi una volta mi disse che il testo buono si riconosce da quello brutto quando, per esempio, il brutto dice ‘la ragazza è triste’, mentre il bravo paroliere descriverebbe la ragazza in modo tale da far risultare subito chiaro che è triste, ma senza dire l’ovvio direttamente. Credo che in pochi abbiano questa dote di essere sincretici ed evocativi allo stesso tempo nello scrivere i testi. Tutti fanno troppo affidamento sugli strumenti, le parti strumentali e le melodie e finiscono solo e sempre per usare le parole più convenienti per il caso, che quelle più sincere per il concetto che si vuole esprimere”.
“EMPROS” SEMBRA ESSERE L’ALBUM PIU’ PESANTE E BASATO SUI SINGOLI RIFF CHE ABBIATE MAI SCRITTO, E ANCHE IL LAVORO CHE APPARE ESSERE PIU’ “METAL” DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA. SEI DACCORDO?
“In un certo senso sì. ‘309’ è senza dubbio la canzone più ‘metal’ che abbiamo mai scritto, e visto che è la traccia apri-pista dell’album, direi che inevitabilmente impone lo standard del sound generale del disco. Ma in realtà credo che anche se non proprio il più ‘metal’, ‘Empros’ è di sicuro il più rumoroso che abbiamo fatto. In realtà, però, ‘Empros’ è molto più fine e atmosferico di quanto potrebbe sembrare. Ci sono molti passaggi del disco costruiti col feedback e con rumori prodotti da difetti nei pedali stessi che abbiamo usato. Il disco è quasi esclusivamente costruito su queste variabili impercettibili, coatiche e imprevedibili, piuttosto che su modi convenzionali di suonare gli strumenti. Per questo ‘Empros’ per noi è stato un risultato straordinario, perchè quel modo di suonare lo adottiamo sempre dal vivo, e con questo album siamo riusciti a catturare quell’attitudine su nastro e in certo senso lo abbiamo reso un nostro standard, cosa che ci fa molto piacere e di cui andiamo fieri”.
COME MAI IL TITOLO “EMPROS”?
“‘Empros’ è greco antico per ‘avanti’. E’ stato come una sorta di dichiarazione di intenti per noi utilizzare quella parola come titolo dell’album. E’ stato come un esortativo rivolto a noi stessi; il nostro personale modo di dire a noi stessi di continuare, senza mai guardarci indietro. Tra ‘Empros’ e il precedente ‘Geneva’ sono successi un sacco di casini, ed è stato un momento molto difficile per la band, per cui dare questo titolo al nuovo album è stato come dire a noi stessi ‘okay, il peggio è passato, ora andiamo avanti’. Si, direi che questo titolo è una dichiarazione per noi, il riconoscimento del superamento di un brutto periodo per noi”.
SIETE SODDISFATTI DI COME “EMPROS” E’ VENUTO? COME LO VEDETE IN RELAZIONE AL RESTO DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA?
“Credo che sia un ottimo album e soprattutto che sia il miglior esempio del nostro live sound, che alla fine è ciò di cui andiamo più fieri e che consideriamo più importante di questa band. E’ però anche stato un album molto difficile e complicato da registrare, per cui credo che per ora apprezzo ancora di più l’ascolto di ‘Geneva’. Quello è un album molto più facile da ascoltare secondo me. ‘Enter’ invece lo vedo ancora più da fan che altro, visto che su quel disco non ho suonato. Anche ‘Station’ secondo me è un ottimo album, ma anche in quel caso il mio contributo a quel disco è stato minimo visto che ancora non ero ufficialmente entrato a far parte della band, ma stavo ancora solo dando una mano ai ragazzi a quel punto, e non volevo fare il discorso troppo complicato nel caso gli altri avessero deciso di dare lo slot ad un altro bassista, che avrebbe dovuto poi suonare quelle parti di basso. Credo comunque che Dave e Mike abbiano fatto un lavoro superbo su quel disco, ma che sarebbe potuto essere anche meglio se avessi avuto a disposizione carta bianca e se le circostanze fossero state differenti. Credo che non ti sto rispondendo affatto, poichè alla fine tutti i nostri album sono egualmente molto validi e tutti per motivi differenti”.
COME VEDETE LA MUSICA E LA CREAZIONE DI ESSA? CREDI CHE SIA PIU’ BASATA SULLA COMPOSIZIONE E SUI SUONI, O CREDI CHE SI BASI PIU’ SUI TEMI E LE EMOZIONI CHE VUOLE VEICOLARE?
“Io personalmente credo che sia più basata sui suoni e sulla composizione. Ovviamente tutta la musica è spinta dalle emozioni, certamente, ma la nostra in particolare è più spinta da emozioni del sub-conscio, non così ovvie e apparenti. Noi non prendiamo mai la decisione di metterci giù a scrivere in un determinato momento, ma proviamo cose costantemente, che o funzionano o non funzionano, non fa niente, ma è un processo ininterrotto. Tutto poi dipende da come ci sentiamo in un particolare momento, per cui non scriviamo, per esempio, una canzone triste in un momento in cui uno di noi è triste, ma lo facciamo per esempio con più probabilità in una giornata d’inverno in cui il tempo fa schifo e siamo tutti e tre un po’ giù o scoglionati. Una canzone come ‘Mladek’, per esempio, non sarebbe mai potuta nasciere in un giorno simile.”
AVETE QUESTA REPUTAZIONE DI ESSERE UNA BAND CON UN SOUND MOLTO MIGLIORE DAL VIVO CHE SU DISCO. QUESTA COSA E’ DEL TUTTO CASUALE O INTENZIONALE?
“Davvero abbiamo questa reputazione li da voi? Pensa che ogni volta che abbiamo suonato lì da voi abbiamo sempre avuto casini tecnici e col sound. Non so cosa sia, ma secondo me lì in Italia ci sono problemi con i limiti di decibel che sono permessi ai live show…”
DUNQUE COME GIUDICHERESTI IN GENERALE LA REAZIONE DEL PUBBLICO CHE AVETE AVUTO QUA IN ITALIA?
“Il pubblico è stato davvero fantastico, nulla da dire. Soprattuto gli show a Roma e Bolzano sono stati grandiosi per noi.”
CHICAGO, VOSTRA CITTA’ DI ORIGINE, HA UNA SCENA METAL DAVVERO INTERESSANTE, CON TANTE BAND MOLTO PARTICOLARI E DAL PROFILO MOLTO ALTO. VOI VI SENTITE FIGLI DI QUESTA SCENA, O COME UNA BAND A SESTANTE?
“Mah, entrambe le cose. In realtà non suoniamo molto con quelle band di metal sperimentale di Chicago che sono più in vista, perchè io vivo a Seattle, per cui anche se la band è di Chicago, noi siamo sempre di passaggio lì, durante i tour. Non abbiamo mai suonato con gli Indian, con i Nachtmystium, con i Minsk, i Bloodiest o gli Atlas Moth, per esempio. Comunque sia andiamo a tanti show di quelle band da spettatori e siamo amici con molta gente in quella scena. In realtà, però, abbiamo un rapporto un po’ strano con la scena attuale di Chicago e ci sentiamo un tantino disconnessi da essa, visto che ci sentiamo molto più legati a quella passata della città, che ci ha praticamente allevati tamite la musica degli Shellac, 90 Day Men eccetera. Quella è la musica di Chicago che ci ha veramente spinti a suonare quando abbiamo iniziato e che ancora ci ispira”.
SE NON SBAGLIO AVETE FATTO UN TOUR DI ALTO PROFILO DI SUPPORTO AI TOOL QUALCHE ANNO FA. COME VEDETE QUELLA BAND E LA LORO MUSICA?
“Sì, è corretto, ma quel tour accadde quando pubblicammo il primo album ‘Enter’ ed io allora non ero ancora nei Russian Circles, per cui non saprei dirti. So però che Mike e Dave parlano sempre molto bene di quegli show. La folla ad un concerto dei Tool è paurosa e sembrano tutti molto entusiasti e felici di essere lì e so che i membri dei Tool sono persone meravigliose e sempre incredibilmente ospitali. Devo essere onesto, non ho mai posseduto un album dei Tool in via mia, ma non negherò mai che sono alcuni dei musicisti più abili e dotati che ci sono in circolazione, e soprattutto che, nonostante la fama e la popolarità, hanno sempre fatto quello che gli pare sempre con un profilo basso, e sbattendosene completamente di trend e popolarità. Sono veramente poche le band che possono vantare una attitudine simile”.
BENE BRIAN, PRIMA DI CHIUDERE, UNA DOMANDA CHE PROBABILMENTE IN MOLTI TI CHIEDONO, E CHE IN MOLTI SI CHIEDONO COSTANTEMENETE: A QUANDO UNA REUNION DEI BOTCH?
“Io sono incredibilmente contento e fiero della fama di cui godono oggigiorno i Botch. Ma fare una reunion con quella band sarebbe come cercare di aggiungere un ulteriore capitolo all’ultimo minuto ad un libro già finito e pubblicato. E’ un evento che rischierebbe di compromettere la visione stessa che ho di quella band. Per correre un rischio tale, dovrei essere economicamente compensato per tutto il tempo che sono stato disoccupato per sostenere le attività live e in studio di quella band, che era per tutti noi una attività a tempo pieno a tutti gli effetti. Una reunion dunque significherebbe vendersi, perchè io dovrei assicurarmi di guadagnare abbastanza soldi suonando nei Botch per assicurarmi una sussistenza al di sopra della soglia di povertà, e che compensi anche per tutti gli anni che ho passato al di sotto della soglia di povertà per quella band. Per cui per suonare nei Botch vorrei un salario minimo per tutti gli anni che ho passato in quella band nella miseria più totale, ovvero dal 1996 al 2002. Quella somma ammonterebbe più o meno a $125.000, ma visto che andrebbe poi divisa per i quattro membri della band, significa che per una reunion la band dovrebbe essere pagata mezzo milione di dollari netti, dunque senza contare tutte le spese, gli agenti, i promoter e tutti costi logistici e di organizzazione. Conoscete qualcuno così pazzo da sborsare una somma simile per una reunion dei Botch? Ecco qua la risposta alla tua domanda, dunque: mai”.