SAMAEL – Trent’anni di egemonia

Pubblicato il 22/10/2017 da

Abbiamo incontrato Vorph e il resto dei Samael nel backstage del Metalitalia.com  Festival, e visto che in quella serata (già per noi speciale) la band svizzera celebrava trent’anni di onorata carriera, abbiamo sì parlato del nuovo e solidissimo “Hegemony”, ma abbiamo colto l’occasione per parlare di questi sei lustri di vita, musica e immutata ricerca. Sediamoci quindi sul divano con Vorph, mentre a breve distanza Makro suona pigramente una chitarra acustica e ci fa sentire, in qualche modo, a una vecchia riunione tra amici.

CIAO VORPH, VISTO CHE SIAMO QUI IN UN’OCCASIONE PER NOI SPECIALE, MA CELEBRIAMO ANCHE UN ANNIVERSARIO IMPORTANTE PER VOI, INIZIEREI CHIEDENDOTI COSA SIGNIFICA ESSERE IN GIRO DA TRENT’ANNI.
– (Ride, ndR) Che ti posso dire? È stato molto veloce! A noi non sembra proprio sia passato così tanto tempo, ma la gente se ne ricorda bene, quindi dev’essere vero. Cerchiamo di non essere troppo nostalgici nei confronti di quanto abbiamo già fatto, preferiamo celebrare con il nuovo album, a riprova che possiamo anche celebrarci, ma guardiamo avanti.

QUANDO AVETE INIZIATO, LA SVIZZERA NON ERA PROPRIAMENTE AL CENTRO DEI RADAR DEL METAL ESTREMO, A PARTE PER VOI E I CELTIC FROST… PERÒ AVETE SAPUTO RIVOLUZIONARE QUEL MONDO, CHE ALLORA ERA PURO UNDERGROUND.
– Ah, me lo ricordo bene. Per esempio, eravamo in contatto e ci scrivevamo coi Mortuary Drape, che sono anche loro qui oggi!

E COME GUARDI A QUEGLI ANNI, IN MERITO ALL’UNDERGROUND STESSO E ALL’EVOLUZIONE DEL BLACK METAL?
– Beh, non avremmo mai immaginato che le cose sarebbero cambiate così tanto, anzi: era qualcosa di cui non avevamo nemmeno un quadro preciso. C’era più… non so se può parlare di passione, o per certi versi di minor professionalità, ma tutti cercavano di tirare fuori il meglio di quello che avevano; ancora adesso ti ricordi alcune copertine, di alcuni brani che sentivi. Forse era qualcosa di più prezioso, perché era più raro, non scoprivi centinaia di nuove band ogni giorno. Ma, appunto, non sono un nostalgico, non penso “Oh, che tempi, erano!”, è ok anche come vanno le cose oggi.

MA TI SENTI ANCORA LEGATO, IN QUALCHE MODO, A QUELLA SCENA?
– Certo! Voglio dire, mi ricordo bene quel periodo. L’anno scorso, tanto per dire, abbiamo suonato a un festival in Belgio coi Blasphemy, e al tempo ci scambiavamo lettere con loro, ma non c’eravamo mai incontrati, ed è stato veramente strano conoscerli di persona dopo venticinque anni.

SEMPRE IN TEMA DI ANNIVERSARI, SONO PASSATI VENTI ANNI DALL’USCITA DI “PASSAGE”, CHE PER MOLTI FAN È STATO IL MOMENTO DELLA VOSTRA COMPIUTA RIVOLUZIONE VERSO UN SOUND PIÙ ELETTRONICO ED INDUSTRIAL.
– Assolutamente. Penso anzi che i due album che hanno determinato dilemmi nei nostri fan siano stati “Ceremony Of Opposites”, perché per la prima volta avevamo le tastiere in tutti i brani, e appunto “Passage”, per l’uso della drum machine e per lo sviluppo di quel sound che avevamo scoperto tra il ’94 e il ’95, a cui cercavamo di dare un senso.

BEH, LA SENSAZIONE È CHE FOSSERO MOLTO PIÙ CHE TENTATIVI ABBOZZATI.
– Non sapevamo molto cosa sarebbe venuto fuori, cercavamo di fare qualcosa di diverso dalle band che ascoltavamo e a cui ci ispiravamo, ma del resto ci avevamo provato già con i primi due album.

QUINDI È STATO PRIMA DI TUTTO PER SODDISFARE UNA VOSTRA CURIOSITÀ E PROVARE QUALCOSA DI DIVERSO?
– Sì, decisamente. Era comunque il periodo in cui iniziavano ad affascinarci band industrial come i Godflesh, i Ministry, i Pitchshifter e pensavamo, “Wow, questo non è metal, ma è decisamente qualcosa nelle nostre corde”, e provavamo a mischiare queste due componenti.

ED È STATO DIFFICILE PASSARE IL TESTIMONE COMPOSITIVO A XY, IN CONCOMITANZA CON QUESTA TRASFORMAZIONE?
– No, è stato naturale; francamente, non penso di aver avuto molto da dire, dal punto di vista musicale, dopo il secondo album. Io dovevo veramente spremermi per avere nuove idee, lui ne aveva di continuo, suonava con altre band, faceva già il produttore, era una fucina di idee! Quindi ho pensato fosse una buona idea cedere il passo, e al tempo stesso io volevo approfondire la mia ricerca sui testi. A partire da “Ceremony Of Opposites” ho potuto lavorare di più sulle parole, e penso che sia decisamente quella la mia dimensione.

E COSÌ CI AIUTI A PASSARE A QUELLA CHE ERA GIÀ LA NOSTRA PROSSIMA DOMANDA; ALL’INIZIO, COME PER LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DELLE BAND BLACK O ESTREME, I VOSTRI TESTI AVEVANO UN APPROCCIO SATANICO O OCCULTISTICO…
– Eh, sì, penso sia una scelta scontata: la maggior parte delle persone che si avvicinano a quel genere, secondo me, provengono da un’educazione religiosa, quindi la prima reazione è prendere quei temi e sbarazzarsene per contrasto. Non è probabilmente la strada migliore, visto che comunque tutto quell’occultismo è di fondo impregnato di religione, ma sai: vuoi dimostrare che non accetti dio come fondamento, che accetti quanto viene ritenuto inaccettabile e così via.

TI CHIEDEREI QUINDI SE CONDIVIDI L’IDEA CHE, PER CERTI VERSI, IL BLACK METAL ERA PIÙ VICINO AL PUNK CHE AL METAL TRADIZIONALE, IN QUESTA ‘LOTTA’ CONTRO I VALORI PRECOSTITUITI?
– Se ci pensi chi ha dato origine al tutto? I Venom. E chiaramente i Venom mischiavano elementi che andavano dai Motörhead ai Black Sabbath, con quella forte componente punk, sporca, ma anche una certa oscurità, e sono stati i primi a mettere insieme queste due cose. In qualche modo hanno segnato la strada, che poi uno volesse seguirla o meno è un altro punto, e hanno coniato il nome del genere, no?

ASSOLUTAMENTE. RITORNANDO AL TEMA DEI TESTI, CI PARE CHE TU TI SIA CONCENTRATO SULLA NATURA UMANA, IL RAPPORTO CON IL MONDO CIRCOSTANTE, FORSE SOLO  IN MANIERA PIÙ CRIPTICA.
– Sì, hai ragione. Penso sia il primo album realmente correlato all’epoca in cui viviamo, una cosa che abbiamo sempre evitato. Non che parlassimo di temi fantasy, ma in qualche modo evadevamo dalla realtà, mentre in questo caso abbiamo voluto interferire con essa, mettere gli ascoltatori in guardia; c’era il desiderio di parlare di quello che ci circonda, che forse non so definire bene cosa sia, ma sicuramente non seguirlo ciecamente.

MUSICALMENTE, “HEGEMONY” CI È SEMBRATO MOLTO VICINO A “REIGN OF LIGHT”. NON CHE SIA UN PASSO INDIETRO RISPETTO ALLA VOSTRA CONTINUA CRESCITA, MA C’È UNA FORTE PREVALENZA DELLA COMPONENTE ELETTRONICA.
– Vero, c’è molta elettronica, anche se è un album più pesante e aggressivo. Ci sono brani come “Black Supremacy”, che peraltro stasera suoneremo per la prima volta, oppure “Angel Of Wrath”, che è fra i pezzi più pesanti che abbiamo mai scritto, che decisamente non avrebbe trovato posto in “Reign Of Light”. Comunque nel frattempo abbiamo pubblicato “Solar Soul” e “Lux Mundi” che erano molto compatti, e penso che ovviamente questo album non sia completamente differente da quanto abbiamo fatto in passato: proviamo a dare un senso globale alla nostra musica, ma guardando avanti e facendo sempre qualche piccolo passo, vedremo in quale direzione.

NON CI VERREBBE PROPRIO DA DIRE CHE I SAMAEL SI SIANO SEDUTI, NEGLI ANNI.
– Beh, con gli ultimi due o tre album – ecco, magari escluderei “Above” che era un esperimento a sè stante – abbiamo cercato di stabilizzare delle basi del nostro sound, di avere delle fondamenta chiare. E penso che ce l’abbiamo fatta, almeno dal nostro punto di vista. Siamo convinti di quello che abbiamo raggiunto, e pronti a muoverci in avanti.

ULTIMA DOMANDA: I WORSHIP AND RITUAL. PERCHÉ AVETE OPTATO PER UN MONICKER COMPLETAMENTE DIFFERENTE?
– Sai, il progetto è nato per ri-suonare solo i pezzi dei primi due album – per cui “Worship Him” più “Blood Ritual” – e non eravamo sicuri che fosse corretto farlo come Samael, per rispetto di tutti quelli che ci conoscono e ci apprezzano per quello che abbiamo fatto da “Passage” in poi, da cui non suoniamo nulla, in quelle occasioni. È una specie di piccola capsula del tempo focalizzata si nostri primi quattro o cinque anni di attività, Xy suona la batteria, non ci sono tastiere; chiamarci Samael non dico che sarebbe un tradimento della nostra evoluzione musicale, ma sicuramente sarebbe poco corretto. È più un omaggio ai fan, abbiamo fatto un paio di show in Svizzera e pensiamo di farne ancora qualcuno, ma per ora siamo concentrati sulla promozione del nuovo album.

E VI DIVERTE QUESTO RITORNO A UNA DIMENSIONE PIÙ UNDERGROUND?
– Alla grande, è stato davvero divertente. Abbiamo suonato in locali piccolissimi ed entrambe le sere la venue era gremita, ed era pieno di gente del posto che conoscevamo e magari non vedevamo da anni. È stata quasi una riunione di famiglia!

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