Un power trio che – nel guazzabuglio della New Wave Of Traditional Heavy Metal – è riuscito a distinguersi ampiamente da svariati colleghi, complici una produzione ottima e delle buone idee sul songwriting, è sicuramente quello dei Sanhedrin.
Merito, molto probabilmente, della loro collocazione geografica sita a Brooklyn, che reca con sé un substrato di blues ed hard rock incasellati negli Stati Uniti di oggi. Merito anche delle loro esperienze passate ‘dietro le quinte’ di altre band come tecnici audio e complice anche l’aiuto essenziale di Metal Blade, che ha reso “Heat Lightning” un disco davvero molto più avanzato (in termini di scrittura e produzione) rispetto al precedente “Lights Out”. L’occasione, visto anche l’imminente tour europeo con i Savage Master, era ottima per fare due chiacchiere con la band e farci raccontare un po’ più da vicino le storie di tre persone vissute città crocevia del mondo, un po’ per la nostra amata musica, ma in genere per tutto il substrato culturale che circonda New York e i suoi sobborghi. Buona lettura!
CIAO E BENVENUTI SU METALITALIA.COM. CI POTETE RACCONTARE COME SONO NATI I SANHEDRIN?
Jeremy Sosville: – Abbiamo iniziato tra il 2014 e il 2015. Prima di allora, io e Nathan eravamo in un’altra band. Quel progetto non è durato molto, ma tra noi si era creata una sintonia come musicisti e autori, così abbiamo continuato a lavorare su nuove idee. Un giorno, su suggerimento di Nathan, Erica (Stoltz, la cantante della band ndr) è venuta a una nostra prova, e da lì è nata rapidamente una nuova identità. Siamo passati dall’essere un progetto all’essere una vera band.
Nathan Honor: – Io ed Erica ci siamo conosciuti mentre lavoravamo al BAM, uno storico centro culturale di Brooklyn. Lavoravamo come tecnici del suono in spettacoli di musica, danza, teatro, opera e altro ancora. Nonostante l’ambiente rigido, siamo diventati subito amici e abbiamo capito di avere molto in comune.
Io e Jeremy stavamo cercando da tempo la formazione giusta, ma dopo un anno di tentativi falliti, era chiaro che serviva un approccio diverso. Non appena abbiamo suonato con Erica, i sogni di una band da cinque-sei membri con organi Hammond, doppi chitarristi e orpelli vari sono spariti, ed è nato un power trio.
PARLIAMO DEL VOSTRO NUOVO ALBUM, “HEAT LIGHTNING”: AVETE CAMBIATO MOLTO A LIVELLO DI PRODUZIONE. COSA VI HA PORTATO A LAVORARE CON MATT BROWN E JERRY FARLEY?
Nathan H.: – Io, Matt e Jerry lavoriamo spesso insieme come tecnici. Parliamo spesso di cosa rende grande un album e di quali suoni ci ispirano.
Ricordavamo i tempi in cui tutto veniva registrato attraverso il mixer dello studio, usando l’attrezzatura onboard per preamp, EQ e compressori, dove tutto era analogico e il tecnico audio doveva muoversi fra le varie strumentazioni. Questo dava ai dischi una coerenza sonora che oggi spesso manca.
Quando Matt e Jerry hanno saputo che stavamo preparando un nuovo disco, erano entusiasti e abbiamo iniziato a pianificare come renderlo eccezionale.
ABBIAMO NOTATO UN CAMBIAMENTO NELLA PRODUZIONE, MA SEMBRA ANCHE CHE IL VOSTRO STILE SIA DIVENTATO PIÙ PESANTE E BLUES. COSA NE PENSATE?
Jeremy S.: – Penso che ci sia effettivamente un approccio più rock and roll rispetto ai nostri dischi precedenti. Non è stato voluto, ma a posteriori è evidente. Abbiamo sempre mischiato heavy metal e rock, e questa raccolta di canzoni è il nostro modo di fondere queste influenze, insieme ad altre.
Nathan H.: – Durante “Lights On” avevamo iniziato a lavorare a distanza, ma “Heat Lightning” è il primo disco concepito completamente da lontano. Prima provavamo e perfezionavamo i brani insieme, ora invece abbiamo passato pochissimo tempo faccia a faccia. Il risultato è che i pezzi sono più concisi, senza fronzoli, diretti al punto.
DALLE NOTE DI STAMPA SEMBRA CHE MOLTI BRANI ABBIANO STORIE PERSONALI. CI RACCONTATE DI “FRANKLIN COUNTY LINE”?
Jeremy S.: – È un omaggio alla mia città natale e ai dintorni, nel nord dello Stato di New York. È una storia di ribellione: delle ragazze Amish che vedono un fuoco nei boschi e finiscono per fare una specie di sabba tentando i ragazzi del posto!
CI RACCONTATE QUALCOSA DELLA COPERTINA REALIZZATA DA JOHAN PRENGER?
Jeremy S.: – Johan è un amico e grande sostenitore della band, quindi è stato fantastico collaborare con lui. Preferisco che chi ascolta il disco e legge i testi interpreti la copertina con la propria immaginazione. Erica e Johan avevano una visione precisa, ma credo sia più interessante lasciare che sia il pubblico a dare la propria interpretazione.
Nathan H.: – Abbiamo lavorato molto bene con Jack di Seventh Bell per i nostri dischi precedenti, ma stavolta volevamo qualcosa di diverso. Johan ha colto lo spirito del disco con pochissimi input da parte nostra.
COM’È STATA L’ESPERIENZA DI GIRARE IL VIDEO DI “BLIND WOLF” CON SHANNA MAURIZI E LE SUE TECNICHE DI RIPRESA ANALOGICHE?
Erica Stoltz: – Conosco Shanna dai tempi del college. È una regista sperimentale che lavora con cineprese 16 mm Bolex Paillard. È stato divertente finalmente collaborare con un’artista che ho visto crescere negli anni.
Jeremy S.: – Shanna è molto creativa e la sua idea per il video ci ha entusiasmati subito. Lavorare su pellicola ha imposto dei limiti, ma lei aveva un piano ben preciso ed è riuscita a realizzarlo alla perfezione.
IL METAL È NATO ‘PER STRADA’, LEGATO ALLE CONDIZIONI DELLA CLASSE OPERAIA. QUANTO C’È DI BROOKLYN NEL VOSTRO NUOVO ALBUM?
Erica Stoltz: – Crescere a New York negli anni ’70 e ’80 ha sicuramente influenzato la mia visione del mondo. Quel mondo non esiste più, ma continua a ‘colorare’ il mio modo di vedere le cose.
Nathan H.: – Il conflitto genera arte potente. Le strade di Brooklyn oggi sono molto più ‘morbide’ rispetto a un tempo.
Vivere e creare arte a New York costa sempre di più e, come lavoratori blue collar (termine traducibile con ‘della classe operaia’, ndr) in un mondo sempre più white collar (traducibile con ‘inerente al lavoro da ufficio, corporativo o amministrativo, ndr), è sempre più difficile tirare avanti. Forse un po’ di questa disperazione traspare nella nostra musica.
NEL 2023 AVETE SUONATO IN GERMANIA CON ROSS THE BOSS E AL KEEP IT TRUE. AVETE QUALCHE RICORDO PARTICOLARE DI QUESTA AVVENTURA?
Jeremy S.: – Ross è stato fantastico. Molti headliner sono distaccati con le band di apertura, ma lui è stato il contrario: disponibile e pieno di storie sulla sua carriera. Ci siamo trovati così bene che abbiamo scritto il secondo verso di “The Fight Of Your Life” ispirandoci a lui.
Nathan H.: – Dovevamo suonare al Keep it True nel 2020. Dopo aver rimandato la nostra apparizione al festival per quattro anni, eravamo ovviamente molto eccitati all’idea di suonare finalmente al festival. I voli dagli Stati Uniti all’Europa sono spesso notturni, e spesso cerchiamo di prenotarli in anticipo per darci il tempo necessario nel caso in cui qualcosa vada perso. Quello che non sapevamo è che il KIT era in realtà piuttosto lontano da Francoforte, quindi, pur avendo preso le nostre normali precauzioni, non sapevamo che saremmo stati trasportati in una splendida campagna a un paio d’ore dall’aeroporto!
Quando la nostra compagnia aerea ha perso i vestiti di Erica e ci ha fatto aspettare in aeroporto per sei ore mentre scoprivano che i suoi effetti personali erano stati inoltrati a Singapore, ha davvero smorzato la nostra eccitazione… Dopo aver appreso che non c’era nulla da fare quel giorno, abbiamo proseguito per Lauda-Köningshofen e ci siamo ritrovati in una pittoresca cittadina nel bel mezzo del nulla. Jeremy e io ci siamo messi alla ricerca di un po’ di cibo e abbiamo trovato l’unico ristorante della città; nonostante ci avessero detto che accettavano le carte di credito, si è scoperto che accettavano solo le carte EC delle banche tedesche.
Essendo americani, senza euro e senza le necessarie carte di credito (e in assenza di una banca o di un bancomat), improvvisamente non avevamo modo di pagare il nostro delizioso pasto. Dopo circa un’ora di discussioni in diverse lingue, i proprietari accettarono di prendere il mio orologio come garanzia, in modo da poter tornare dopo aver guadagnato qualche euro di merchandise al KIT!
COM’È STATO PASSARE DAL PRODURRE DA SOLI A LAVORARE CON METAL BLADE? COME VI HA AIUTATO L’ETICHETTA?
Jeremy S.: – L’etichetta non ha influenzato il nostro sound. Avevamo già una nostra identità. Quello che Metal Blade ci ha dato è supporto e risorse che da soli non avremmo avuto.
LE VOSTRE CANZONI TRATTANO MOLTI TEMI, TRA STORIE E AVVENTURE. OLTRE ALLE ESPERIENZE PERSONALI, DA COSA TRAETE ISPIRAZIONE?
Erica S.: – Mi ispiro al mondo intorno a me, agli eventi attuali, alla natura, alla natura umana. A volte scrivo di esperienze autobiografiche, altre volte invento storie. “The Fight Of Your Life” è ispirata a un’esperienza lavorativa con Cedelle Davis, un chitarrista blues che suonava con un coltello da burro. Gli chiesi a cosa servisse e lui rispose: “Per tagliarti la gola”. Credo che il rock e il metal abbiano un linguaggio tutto loro, capace di evocare immagini e incantesimi.
SIETE PRONTI A TORNARE IN EUROPA A SUPPORTO DEI SAVAGE MASTER. COME VI SENTITE PER QUESTO TOUR?
Erica S.: – Siamo molto entusiasti di suonare in territori nuovi insieme ai nostri amici.
Jeremy S.: – Siamo felici di tornare in Europa, dove abbiamo un pubblico appassionato. Con i Savage Master ci conosciamo bene, quindi ci aspettiamo di divertirci molto.
ORA CHE AVETE UN NOME CONSOLIDATO E UN’ETICHETTA POTENTE AL VOSTRO FIANCO, PER CHI VI PIACEREBBE APRIRE IN FUTURO?
Jeremy S.: – Ci sono tante band con cui sogniamo di suonare. Credo che i fan di KK’s Priest, Accept o Queensrÿche apprezzerebbero quello che facciamo.
Nathan H.: – Abbiamo conosciuto persone fantastiche lungo la strada, e viaggiare con gli amici è una delle cose più belle.
Mi piacerebbe andare in tour con i nostri amici di Blood Star, Night Demon, Visigoth o Crypt Sermon. Ma anche dividere il palco con Green Lung, Lucifer, Midnight, Tribulation e altri gruppi simili sarebbe fantastico.