Musicare la peste, quella a Venezia nell’anno 1630; darle una forma sonora che potesse far interagire l’ascoltatore con immagini, corpi, rumori, odori e sentimenti di quel periodo e far percepire tutta l’orribile sofferenza che il morbo aveva portato con sè.
I Satori Junk si sono imbarcati potenzialmente azzardata, affrontando lo scoglio di una singola traccia dallo sviluppo molto libero, che fosse appunto una colonna sonora di una particolare vicenda storica.
Già autori di due album di stoner/doom non propriamente convenzionale, aperto a correnti stilistiche dal taglio ‘cinematografico’, psichedelico e sperimentale, con questo terzo disco la compagine milanese ha osato andare oltre, cedendo alla tentazione di un singolo brano di lunga durata. Per dare pieno sfogo alla propria immaginazione e la voglia di uscire dagli schemi, sfruttando un arsenale di soluzioni che li ha portati in questo caso sul terreno del progressive e delle soundtrack, amalgamando il tutto con una componente metal atmosferica ancora solida e potente.
Ne è uscito un disco davvero riuscito dalla prima all’ultima nota, senza tentennamenti, fluido nella dinamiche e avvincente, superando quell’idea di difficoltà e poca immediatezza che operazioni simili possono spesso portarsi dietro. Abbiamo raggiunto il gruppo al gran completo per farci dire qualcosa di più su “Venezia” e il processo che vi è dietro la sua creazione.
ARRIVAVATE DA DUE DISCHI RIFERIBILI AL FILONE STONER/DOOM, PER QUANTO GIÀ VELATI, SOPRATTUTTO IL SECONDO, DI UN CERTO ECLETTISMO VERSO SONORITÀ PROGRESSIVE E ALTRE SFUMATURE PIÙ ECCENTRICHE. MENTRE “VENEZIA” CAMBIA PROPRIO LE CARTE IN TAVOLA, RAPPRESENTANDO QUALCOSA DI PIÙ SPERIMENTALE E CHE ESCE DAI CONTORNI DI UNO SCENARIO SONO BEN DEFINITO.
COME VI È VENUTO IN MENTE DI SCRIVERE UNA SINGOLA TRACCIA DI QUESTO TIPO PER IL VOSTRO TERZO ALBUM?
– La traccia singola è qualcosa che ci ha sempre intrigato, giocare con le dinamiche e coi reprise aiuta l’ascolto e consente all’ascoltatore di immergersi meglio nell’ambientazione sonora. “Venezia” è questo, ambiente e contesto. Volevamo separare e sublimare il lato cinematografico di “The Golden Dwarf” e riproporlo all’ennesima potenza.
LA FETIDA INFETTIVITÀ DELLA MORTE, IL SENSO DI SOFFOCAMENTO NELLE CALLI, LA DECADENTE TRISTEZZA DI UNA CITTÀ IN PREDA ALLA PESTE: SONO TUTTI ELEMENTI CHE RIUSCITE A FAR RESPIRARE ALL’INTERNO DI “VENEZIA”. DAL PUNTO DI VISTA DELLA COMPOSIZIONE, DA DOVE SIETE PARTITI PER POTER INDURRE QUESTO TIPO DI SENSAZIONI?
– Prima della composizione abbiamo fatto una ricerca storica sul periodo, sulle condizioni delle persone e sugli usi e costumi dell’epoca, dopodiché abbiamo chiuso gli occhi e immaginato le immagini e i colori, poi gli odori e infine i rumori; i rumori d’ambiente sono automaticamente diventati colonna sonora, partendo da archi orchestrali, per poi arrivare a tradurre questo concentrato di emozioni nella nostra lingua.
LO STRUMENTO PRINCIPALE IN “VENEZIA”, QUELLO CHE HA PIÙ IMPORTANZA A MIO AVVISO NEL DARE CERTE TONALITÀ AL LAVORO, È IL PIANOFORTE. I SUOI DIALOGHI CON LA CHITARRA COMUNICANO UNA FORTE ATMOSFERA GOTICA E MISTERIOSA, RICORDANDO ADDIRITTURA I GOBLIN E LE LORO COLONNE SONORE. COME MAI QUESTA CENTRALITÀ DEL PIANO NEL DISCO?
– Il paragone coi Goblin mi lusinga molto (qui crediamo che a parlare sia Luca, cantante e tastierista, ndr), sono un grande fan del loro lavoro e delle loro esibizioni live, li ho visti dal vivo sette volte. Fare colonne sonore è un’attività che mi appassiona molto e che ho sperimentato negli ultimi anni in parallelo a Satori Junk, ci tengo a precisare che sono sound designer e che tutti i suoni di tastiere ed elettronica presenti nei nostri album (ad eccezione di un sequencer su un filtro di synth modulare S&H nella parte centrale di “Venezia”, opera del nostro chitarrista Chris) non sono preset, ma opera mia.
Anche il suono di questo pianoforte è stato sintetizzato con il mio amato Korg Kross, arrivarci è stato un processo lungo, ma ci voleva un suono che fosse oscuro, polveroso, malinconico ed espressivo per poter dare un taglio su misura con l’atmosfera da noi ricercata.
LA VOCE È PRESENTE SOLO PER UNA BREVE PARENTESI RECITATA, PERALTRO DI GRANDE EFFETTO. PERCHÉ LA DECISIONE DI UN DISCO QUASI INTERAMENTE STRUMENTALE?
– La voce recitata presente sul disco è stata gentilmente prestata dal grandissimo Alessandro Mura, vocalist dei Law 18 (l’altra band di Lory, il nostro bassista), mentre i versi narrati sono stati scritti da noi. La nostra idea inizialmente era quella di fare un lavoro interamente strumentale, solo in seguito abbiamo deciso di aggiungere un narratore per umanizzare il sound e dare un diretto contatto con l’ascoltatore, esportando un po’ della nostra lingua in tutto il mondo.
SPESSO OPERAZIONI DI QUETO TIPO, CON UNA SINGOLA TRACCIA MOLTO LUNGA A RAPPRESENTARE INTERAMENTE UN ALBUM– O UN EP – PREVEDONO PARENTESI MOLTO ETEREE E DILATATE CHE FINISCONO PER ALLUNGARE IL MINUTAGGIO, DIVENTANDO UN PO’ SPOSSANTI ALL’ASCOLTO. QUESTO NON AVVIENE CON “VENEZIA”, CHE SCORRE SUBITO MOLTO BENE E RIMANE SEMPRE AVVINCENTE. COME SIETE RIUSCITI A LEGARE LE DIFFERENTI FASI SONORE DELLA TRACCIA, PER RENDERLE UN QUALCOSA DI UNICO E CON OGNI COMPONENTE PERFETTAMENTE LEGATA ALL’ALTRA?
– “Venezia” è cresciuta in modo molto organico. Sin dall’inizio abbiamo cercato di giocare il più possibile con le atmosfere, enfatizzando le dinamiche e cercando di seguire un filo conduttore. Questo ci ha permesso di strutturare il brano in modo tale da capire immediatamente come lasciarlo scorrere.
È stata una bella sfida: tutto in “Venezia” è un costante richiamo e contemporaneamente un’anticipazione. È dramma, è intimità ma anche sfogo, e non è forse quello che tutti noi ricerchiamo quando stiamo in silenzio e ci confrontiamo con noi stessi?
MI HA COLPITO POSITIVAMENTE ANCHE L’ARTWORK, MINIMALE, DISTINTIVO, A SUA VOLTA CON UN QUALCOSA DI NOBILE, CORROTTO ED ANCESTRALE ADDOSSO. PERCHÉ QUESTA SCELTA?
– L’ artwork doveva trasmettere una singola informazione nel modo più semplice possibile: “questo disco è maledetto”. Abbiamo voluto creare un contrasto rispetto alle grafiche pantagrueliche e piene di colori degli album precedenti, e il monocromatismo rimanda alle nostre origini, il nostro primissimo EP “Doomsday”.
DAL PUNTO DI VISTA MUSICALE, PENSATE CI SIA QUALCHE DISCO CHE POSSA EFFETTIVAMENTE ASSOMIGLIARE AL VOSTRO “VENEZIA”?
– Mi vengono in mente alcune fantastiche pubblicazioni della Pelagic Records, come ad esempio alcuni album dei Briqueville, alcuni riff dei Pink Floyd, ma non saprei farti un esempio estremamente specifico.
FINORA CHE RICEZIONE HA AVUTO IL VOSTRO TERZO DISCO? PENSATE CHE CHI L’HA ASCOLTATO ABBIA COLTO APPIENO LE SUE QUALITÀ?
– “Venezia” per sua natura abbraccia uno spettro di ascoltatori più ampio, rispetto ai dischi precedenti. È curioso notare come un pubblico non appartenente alla nostra scena canonica abbia colto dettagli e atmosfere sin dal primo ascolto. Dal nostro punto di vista, nonostante non sia un prodotto di facile approccio, si è comunque dimostrato un brano coinvolgente e più aperto nei confronti di chi predilige anche altre forme di espressione artistica.
COSA RAPPRESENTANO PER VOI LA PSICHEDELIA E IL PROGRESSIVE ROCK, COME INFLUENZA E ATTITUDINE? QUALI PENSATE SIANO LE CARATTERISTICHE PIÙ IMPORTANTI DI QUESTE SONORITÀ E I GRUPPI PIÙ IMPORTANTI DI QUESTI FILONI NEL PLASMARE IL SUONO DI SATORI JUNK?
– Le influenze musicali della band sono molteplici e le più disparate, molto diverse tra loro, come del resto lo siamo noi come persone e musicisti. La psichedelia e il progressive rock sono una mia grande fonte di ispirazione, il potere fondere sonorità anni 70 con lo stoner doom e delle ritmiche che spaziano tra il jazz più raffinato e il metal estremo ha dato la base per il sound-Satori Junk, che non ha paura di spaziare in un vastissimo range di frequenze e sonorità, ma con il suo marchio distintivo.
PENSATE DI PORTARE DAL VIVO INTEGRALMENTE UN ALBUM COME “VENEZIA”? AVETE IN MENTE QUALCOSA DI PARTICOLARE, DA QUESTO PUNTO DI VISTA, PER I PROSSIMI LIVE?
– Nel 2018, prima ancora di entrare in studio di registrazione, decidemmo di portarlo dal vivo in occasione di uno special show di supporto ai Bongripper. Di sicuro portarla dal vivo per intero è un’impresa che richiede i giusti spazi, strumentazione e preparazione adeguata. Non escludo che nei prossimi live qualche intermezzo potrebbe insinuarsi fra le trame della scaletta.