SATORI JUNK – Dal mago elettrico al nano dorato

Pubblicato il 16/06/2018 da

Abbiamo definito in sede di recensione i Satori Junk come una realtà giovane ma ormai consolidata del panorama doom italiano. Inizialmente accostabili con facilità ai loro ‘eroi’ Electric Wizard, fonte d’ispirazione assieme a diverse altre band, come vedremo nel seguito, i quattro milanesi hanno accresciuto sempre più la confidenza nei loro mezzi e la sintonia collettiva, arrivando già con il secondo album a definire un sound decisamente più personale e ricco. Di questo, della loro passione e di improbabili poeti contemporanei abbiamo parlato con il gruppo al gran completo: Lory, Luke, Max e Chris, ai quali basta il nome di battesimo per presentarsi, con spontaneità e leggerezza.

VISTO CHE È LA PRIMA INTERVISTA CON NOI, VI CHIEDEREI DI PRESENTARVI E RACCONTARCI COME SONO NATI I SATORI JUNK.
Lory: – Nella primavera del 2012, dopo essermi avvicinato a questa scena musicale, ero alla ricerca di gente per formare una band stoner/doom. Fu così che trovai su un sito l’annuncio di Chris. Dopo circa due mesi, ci siamo incontrati con Giacomo, il nostro primo batterista. È bastata una serata a bere insieme per decidere di lanciarci nell’impresa. Dopo qualche prova trascorsa improvvisando, Luke, con cui ci conosciamo da quando siamo ragazzini, è entrato a far parte della band, prima semplicemente come cantante e poi anche come tastierista. Grazie a questa formazione abbiamo mosso i primi passi nell’underground, fino al momento in cui Giacomo ha deciso di abbandonare il progetto dopo la registrazione del primo album. È così che Max è entrato a far parte della famiglia.

CHIEDO QUINDI A MAX: COM’È STATO PER TE ENTRARE NEI SATORI JUNK E QUALE PENSI SIA STATO IL TUO CONTRIBUTO?
Max: – Sono entrato nel 2014, un po’ dubbioso sul fatto di essere o meno all’altezza della situazione. Insomma, mi sono ritrovato in un progetto già avviato con già un album alle spalle e credimi, all’inizio non è stato facile, anche perché dovevo ancora capire come rallentare i bpm… (ride, ndR). Comunque sia, già dal primo approccio con i ragazzi c’è stata subito empatia: mi hanno accolto benissimo tutti, entusiasti della mia ‘ignoranza’! Col tempo abbiamo imparato a conoscerci e non è stato difficile entrare a far parte di una vera famiglia. Il tutto condito dal fatto che conosco Chris da ventitre anni, dai tempi della scuola. È quasi un sogno che si realizza poter suonare insieme in un progetto vero e continuativo! Il mio contributo nella band? Beh, non so, cerco di fare il mio lavoro con passione e dedizione mettendoci sempre il 200% del cuore e dell’anima. In fase compositiva le menti vere sono Luke e Chris, io mi limito a definire i bpm e portare il groove. All’atto pratico credo che il ritmo da me portato sia un po’ meno ‘stoner’ rispetto al lavoro precedente, ma più ‘metal’, in grado di dare più pesantezza alla ritmica. Come dicevo, è questione di indole: il metal può anche essere suonato a 60bpm, l’importante è non farsi trascinare dagli stereotipi. Metal o no, è sicuramente Satori Junk: a me piace di brutto!

NEL VOSTRO NOME C’È IL RISVEGLIO SPIRITUALE MA ANCHE… IL PATTUME. È GIUSTO INTERPRETARE JUNK IN TAL SENSO? COSA SIGNIFICA PER VOI QUESTO CONNUBIO?
Luke: – Certamente! Il nome riassume perfettamente il nostro modo di amalgamare suoni ruvidi e brutali a frequenze più eteree, alternando momenti di pesantezza a fasi più orientate verso la psichedelia.

AGLI ESORDI ERA EVIDENTE IL VOSTRO AMORE SMISURATO PER GLI ELECTRIC WIZARD, DI CUI QUALCHE REMINESCENZA RESISTE ANCORA NEL VOSTRO SOUND. SONO STATI PROPRIO OBORN &CO. A SPINGERVI A SUONARE? CHI ALTRO VEDETE COME FONTE D’ISPIRAZIONE?
Chris: – Ahahah! È colpa mia! Adoro il suono di “Come My Fanatics” a tal punto che ho voluto farlo mio, con tutti i pro e contro che questa scelta comporta. È un suono potente, estremo, ma allo stesso tempo riconoscibilissimo tra quello di mille chitarristi che fanno questo genere.  Tuttavia, non credo che il sound degli Electric Wizard sia l’unica fonte d’ispirazione. Ricordo ancora che tentammo i primi esperimenti sonori coi sintetizzatori dopo aver visto un live dei Doomraiser, che spesso utilizzano un Moog Prodigy, per non parlare di tutto il lavoro fatto da band come Ufomammut. In fin dei conti, la nostra scelta è stata quella di portare avanti uno strumento che all’interno della scena c’è sempre stato, gli abbiamo solo dato un po’ più di peso. Credo che l’ispirazione debba arrivare da tutte le direzioni, indipendentemente dal genere, poi bisogna essere in grado di muoversi con le proprie gambe, altrimenti si rischia di essere troppo, troppo derivativi.

RESTANDO SU QUESTO TEMA, “THE GOLDEN DWARF” SI CHIUDE CON UNA PERVERSA COVER DI “LIGHT MY FIRE” DEI THE DOORS; QUASI IRRICONOSCIBILE, EPPURE COINVOLGENTE E ACCATTIVANTE. E IN GENERALE CI È PARSO DI COGLIERE MOLTO AMORE PER LA BAND DI RAY MANZAREK, DIREI, PIÙ CHE DI JIM MORRISON.
Luke: – Manzarek è uno dei miei idoli! Ho cominciato a suonare proprio grazie alla sua musica. A partire dal nostro primo album c’è stato chi ha intuito una certa influenza da parte dei The Doors. Con “The Golden Dwarf” abbiamo deciso di sottolineare quest’aspetto proponendo un loro evergreen.  Per non sfociare nel banale e per rispettare il marchio di fabbrica del nostro sound, abbiamo deciso di riarrangiare il brano.

NEL NUOVO ALBUM SONO AUMENTATI I MOMENTI PIÙ LISERGICI, OSEREI DIRE ‘COLORATI’. COS’È CAMBIATO? È SOLO IL FRUTTO DI UNA MAGGIOR SINTONIA E TRANQUILLITÀ COMPOSITIVA?
Luke: – “The Golden Dwarf” è stato realizzato con il contributo dell’intera band. Se nel primo lavoro, gran parte dei riff è frutto dell’ispirazione di una sola persona, nel secondo album abbiamo lavorato tutti insieme, sperimentando nuove idee, migliorando quelle degli altri, mantenendo sempre gli occhi fissi sull’obiettivo. Di sicuro dopo anni a suonare nella stessa band abbiamo raggiunto anche una certa tranquillità nel comporre e nel lavorare, ma c’è stato anche il desiderio di osare qualcosa di più, di non essere più visti come una band derivativa, cercando quello che effettivamente è il nostro sound.

I BRANI DI QUESTO DISCO SONO COLLEGATI DA INTERMEZZI AMBIENTALI E FORTEMENTE SPERIMENTALI. ALCUNI ELEMENTI RICHIAMANO LA STRUTTURA BASE DELLA TITLE TRACK COME UNA SORTA DI LEITMOTIV. COME MAI QUESTA SCELTA?
Luke: – La mia idea, accolta di buon grado dal resto della band, era quella di creare un filo conduttore che non solo unisse, ma avesse al suo interno degli elementi che introducessero il brano successivo e che facessero crescere l’enfasi fino alla titletrack. Per registrare questi intermezzi abbiamo sfruttato, oltre a voce e sintetizzatori, alcuni strumenti etnici: flauto hulusi, campane e cimbali tibetani. Credo che l’utilizzo di questi strumenti analogici abbia contribuito a rendere più netta la percezione di calore e ambiente in tutti gli intermezzi. Da questo punto di vista, posso dire di aver influenzato gli altri: sono un grande amante di colonne sonore cinematografiche, mi piacerebbe in futuro poter lavorare in questo settore, è uno dei miei sogni nel cassetto.

 VI CHIEDEREI ANCHE DI RACCONTARCI COME COMPONETE I VOSTRI BRANI, COMPRESO CHIARAMENTE L’APPORTO DI DROGA.
Chris: – In genere la scintilla parte da Luke. Basta un fraseggio o una sequenza di accordi perché si cominci ad improvvisare. Da quel preciso momento, ognuno inizia a dare il suo contributo finché il brano non raggiunge la forma desiderata. A volte proviamo e riproviamo lo stesso passaggio per più di venti minuti, sperimentando in continuazione. In sala prove cerchiamo di ascoltarci l’un l’altro il più possibile, correggerci, migliorarci. Quando l’idea sull’arrangiamento ci soddisfa, si passa al testo. Luke ha sempre qualche mini-storia horror nel cassetto, pronta a trovare la musica adatta, qualche volta mi ci metto anch’io, anche se il mio stile è decisamente più introspettivo. Naturalmente, durante l’intero processo creativo, essere in uno stato di piacevole alterazione può essere parecchio d’aiuto: rilassa ed apre la mente verso soluzioni non convenzionali.

NEL RECENTE LIBRO “DOOM METAL LEXICANUM” SIETE TRA LE BAND ITALIANE CITATE DALL’AUTORE. A PARTE CHIEDERVI SCONTATAMENTE QUANTO SODDISFAZIONE C’È IN QUESTO, CHE COS’È PER VOI, OGGI, IL DOOM?
Chris: – E’ stata una soddisfazione immensa. La scena italiana gode di un gran rispetto, soprattutto all’estero. Ci siamo addentrati in questo mondo in punta di piedi, conquistandoci il nostro pubblico e riscuotendo parecchi consensi. Il doom adesso è sotto i riflettori, come il power metal negli anni 90, come il black metal dieci anni dopo. Per quanto ci possa essere visibilità nei confronti di questo genere, resta sempre una splendida nicchia, con tutte le sue numerose contaminazioni. Il numero di band che nuota in questo piccolo stagno è aumentato considerevolmente negli ultimi anni, mi auguro solo che molte di queste band sopravvivano alla moda di questo decennio, perché la qualità del prodotto è molto alta, c’è molta offerta, ma il mercato è pur sempre in grossa crisi.

HO VISTO CHE AVETE DIVERSE DATE LIVE FISSATE, ALTRI PROGETTI PER IL FUTURO?
Chris: – Siamo appena tornati da una tre giorni tra il palco del Revolution Festival in Romania, poi una data in Croazia e per finire una data a Milano con i francesi Fatima. Di sicuro non ci piace stare con le mani in mano: quando non siamo impegnati nei live cerchiamo sempre di produrre del nuovo materiale. Al momento stiamo pensando di rimetterci ancora in viaggio tra qualche mese: abbiamo cominciato da poco a uscire dall’Italia, ma ci abbiamo proprio preso gusto: siamo degli esportatori di malessere!

SO CHE ALCUNI DI VOI HANNO ANCHE ALTRI PROGETTI MUSICALI: VOLETE PARLARCENE?
Luke: – Certo! Io faccio parte di un duo drone/ritual di nome Druidorama insieme a Etienne (Chains, Violet Temple, ecc.) e ho anche un mio progetto solista di nome Luke Von Fuzz, più improntato sull’elettronica e la psichedelia.  Lory suona in una band groove metal, i Law 18 ed ha un altro progetto grindcore solista, i Penguin Corpse, diventato in seguito un duo, grazie all’arrivo del nostro Max. In quanto a Chris, la sua vena nerd lo spinge a giocare parecchio coi synth modulari e chissà, forse in futuro potrebbe deliziarci con qualcosa di inedito, staremo a vedere!

A TAL RIGUARDO: L’AMORE PER SONORITÀ PIÙ MARCE, VELOCI E IMMEDIATE NEI MEMBRI DELLA BAND È NOTO; RESTERÀ SEMPRE UNA DIMENSIONE ESTERNA O PENSATE DI POTER INTEGRARE TALI ISPIRAZIONI SENZA ‘STRAVOLGERVI’?
Max: – Sono sempre stato influenzato dal metal estremo, principalmente death metal, sia nell’impostazione, sia nell’approccio ai brani. Ho cercato di unire potenza e pesantezza del doom con qualche stacco veloce, cercando di dare dinamicità e vivacità ad alcuni brani, dove ritenevo fosse necessario. Prediligo i 4/4 lenti e pesanti, con qualche variante in alcuni passaggi recuperati dalla mia indole death, affidandomi ai middle beat e al groove portato su dei riffoni dilatati che alcune band  death utilizzavano (Gorefest!). Mi ci rispecchio alla grande! Chi lo sa quali saranno gli elementi che caratterizzeranno i nostri lavori? Vedremo quale sarà l’ispirazione del momento e cosa riusciremo a pescare dal cilindro. Nonostante questo, continueremo a fare il genere musicale classificato da tutti noi come “Satori Junk”. Sicuramente non arriveremo a stravolgere ciò che abbiamo sempre fatto, anzi, probabilmente è tutto questo che ci rende molto “Satori Junk”.

INFINE, SENZA RIVELARE TROPPO AI NOSTRI LETTORI, COME VI È VENUTA IN MENTE LA TRACCIA FANTASMA?
Lory: – Alla fine della composizione dell’album ci siamo posti una domanda: come chiudere degnamente un album introspettivo, lisergico e molto più ‘nostro’ rispetto al primo? Avendo avuto esperienze di recitazione, mi è venuto in mente d’interpretare uno dei più bei pezzi di un grandissimo e sensibilissimo poeta della storia della letteratura mondiale per chiudere degnamente un lavoro così importante per noi. Lascio ovviamente al pubblico scoprire i versi di questo artista!

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