Kjetil-Vidar ‘Frost’ Haraldstad ha una voce che non corrisponde né al suo corpo, né alla sua immagine. La metà dei Satyricon che da sempre vediamo infuriare dietro le pelli in un turbine di face painting e nervi tiratissimi parla infatti con tono sottile, da ragazzino trasognato. Non appena scopre di essere al telefono con un portale italiano, ci comunica con aggraziato entusiasmo di trovarsi ‘da qualche parte vicino a Venezia’ e di non vedere l’ora di godersi i canali e l’atmosfera. Quando lo informiamo che a Venezia ci saranno quasi quaranta gradi, rivela di essere entusiasta anche dell’insostenibile canicola che attanaglia il Nord Est: buon per i norvegesi, perché anche solo parlando al telefono si suda come si suderebbe all’inferno. Disquisire sul tempo e sulle bellezze del nostro territorio, però, non è l’obiettivo principale di questa chiacchierata. Abbiamo infatti appena avuto modo di ascoltare in anteprima “Deep Calleth Upon Deep”, nuovo e attesissimo album dei Satyricon, che Mr. ‘Satyr’ Wongraven ha presentato al mondo come un drastico punto di svolta nella storia della band. Quando uscirà questa intervista vi sarete già fatti un’idea su tanto insolito lavoro, che si preannuncia foriero di accapigliamenti tra fan e critici. Per ora, abbiamo voluto capirne di più con uno dei suoi fautori, cogliendo l’occasione per capirne un po’ di più anche su di lui. E Frost, con la sua grazia un po’ Sturm und Drang e con squisita umiltà, ci ha risposto così.
È UN AZZARDO DIRE CHE “DEEP CALLETH UPON DEEP” È IL DISCO PIU’ PERSONALE CHE I SATYRICON ABBIANO MAI SCRITTO?
– Senza dubbio c’è una forte componente personale. Satyr sta affrontando una malattia, credo ne abbia parlato con grande trasparenza. È qualcosa che ti porta a confrontarti con delle domande esistenziali, a riflettere molto e questo pesa quando crei arte. È curioso, perché sono due settimane che mi fanno molte domande sul fatto che il disco sia giunto ad un livello così intimo. È qualcosa che richiede tecnica ed esperienza, in realtà, oltre ad una grande capacità di scavare in profondità nella propria anima. In fondo è questo che abbiamo fatto su questo album: abbiamo rallentato tutto e questo ha avuto delle ripercussioni anche sulla forma dei brani, sulla loro composizione.
SENZ’ALTRO È UN DISCO CHE PRESENTA QUALCHE DIFFERENZA, RISPETTO AI LAVORI PRECEDENTI. E SENZA DUBBIO È UN DISCO MOLTO VARIEGATO, CON BRANI PIUTTOSTO DIVERSI GLI UNI DAGLI ALTRI. AVETE CERCATO QUESTA DIMENSIONE UN PO’ CALEIDOSCOPICA FIN DA SUBITO O È EMERSA IN FASE DI COMPOSIZIONE?
– Fondamentalmente volevamo fare un disco che fosse molto diretto ed espressivo e la nostra creatività si è manifestata in modi molto diversificati. È come se l’arte stessa fosse fluita in direzioni diverse in un momento molto intenso delle nostre vite. Ci sono molte emozioni, in questo disco. Dopo tutto, un album è come un creatura vivente: e ogni organismo vivente, ogni individuo, ha in sé molte sfaccettature. Volevamo che ogni brano fosse il riflesso di un aspetto diverso delle nostre emozioni. Dopo così tanti anni, però, non fissiamo più una lista di cosa vogliamo fare: preferiamo scoprirlo strada facendo.
NONOSTANTE TUTTO, PERÓ, “DEEP CALLETH UPON DEEP” PORTA ANCORA IL MARCHIO DEI SATYRICON. IN ALCUNI PASSAGGI, HO AVUTO L’IMPRESSIONE CHE ABBIATE VOLUTO FARE UN PO’ DI RETROSPETTIVA SUL VOSTRO PASSATO GUARDANDOLO CON OCCHI DIVERSI.
– È un punto di vista interessante. Credo sia un album diverso, ma dopo tutto , in qualche modo, c’è qualcosa che resta sempre uguale. È tipico dei Satyricon: abbiamo sempre ricercato sound molto diversificati, fin dagli anni Novanta, pur volendo mantenere un alto livello di qualità. È sempre stato così, vogliamo che lo sia. A volte non sappiamo esattamente come sarà un album e questo comporta le sue difficoltà. Non sappiamo nemmeno cosa ne penserà la gente, o se funzionerà, ma in fin dei conti è positivo: ci importa solo di sentire quello che facciamo. È intenzionale, ma direi più precisamente che è sempre stato nello spirito dei Satyricon seguire semplicemente le nostre idee, senza dare molto peso alle influenze esterne e ai pareri altrui.
IN REALTÁ, QUESTA TENDENZA NON SEMBRA ESSERE SEMPRE RECEPITA POSITIVAMENTE DAL VOSTRO PUBBLICO – E PENSO SOPRATTUTTO AI VOSTRI ULTIMI LAVORI, “THE AGE OF NERO” E “SATYRICON”. NON AVETE MAI L’IMPRESSIONE CHE I VOSTRI FAN FATICHINO A DIGERIRE IL CAMBIAMENTO?
-Sono d’accordo. Qualcuno vorrebbe che facessimo sempre la stesso album, ancora e ancora e ancora. Vogliono riascoltare sempre la solita vecchia canzone. Ma noi vogliamo che ogni volta sia tutto nuovo: concetti, esperienze, dinamiche, evoluzione. Speriamo sempre che i nostri fan possano cogliere che c’è molta meditazione dietro ai nostri album e quanto ci mettiamo delle nostre esperienze personali, ma quando ciò non accade non resta che prenderla con un po’ di ironia. So benissimo che molti fan vorrebbero risentire “Nemesis Divina” all’infinito (sospira, NdR), ma mettere insieme della spazzatura ritrita non sarebbe interessante. Spero che un giorno anche i fan più accanitamente conservatori si rendano conto che per noi fare musica è sempre stata una questione di sviluppo personale. Cresciamo insieme ai nostri progetti. E questo significa che la musica non potrà mai starsene ferma, ma si muoverà sempre – cambierà sempre. Per questo ci sono differenze enormi tra un album e l’altro.
L’ARTWORK CHE AVETE SCELTO È PARTICOLARMENTE RAFFINATO, ELEGANTE E OSCURO AL TEMPO STESSO. COME SIETE ENTRATI IN POSSESSO DI QUESTO SPLENDIDO DISEGNO DI EDVARD MUNCH?
– È stata più che altro una coincidenza. Un nostro amico che si occupa di arte ha invitato Satyr a vedere una raccolta di opere generalmente non accessibili al pubblico. Quando abbiamo visto questo disegno, intitolato “Il Bacio Della Morte”, abbiamo sentito subito una forte connessione. Satyr mi ha chiamato e mi ha detto: “Guarda qua”. Credo che quest’opera abbia comunicato a Satyr qualcosa di molto personale, che lo abbia toccato profondamente. Così gli ho risposto: “Sai, mi sembra molto in linea con il mood di ‘Deep Calleth Upon Deep’. Sarebbe uno splendido artwork”. Era il nostro artwork. Doveva essere il nostro artwork! Era così rivelatorio, in quel momento, come se l’artista ci stesse parlando.
SATYR HA SPIEGATO CHE AVETE LAVORATO A “DEEP CALLETH UPON DEEP” IN UN FIENILE. LO AVETE COMPOSTO Lì E PENSAVA ADDIRITTURA DI REGISTRARCELO. POI, PERÓ, AVETE RIPIEGATO SU UNO STUDIO TRADIZIONALE…
– L’idea ci è venuta perché volevamo che l’album suonasse spoglio; che avesse un sound ‘nudo’, naturale. Di fatto, suona quasi come un demo. Abbiamo lavorato lì e avremmo davvero voluto registrare in quel fienile, ci avevamo anche portato un sacco di strumentazioni ma poi ci siamo resi conto che sarebbe stato troppo complicato. Così, abbiamo optato per uno studio più professionale.
PARLANDO DI TE E DELLA TUA CARRIERA, CERTAMENTE SEI CONSAPEVOLE DI ESSERE CONSIDERATO UN PUNTO DI RIFERIMENTO DA MOLTI BATTERISTI METAL. MA QUALI SONO, O QUALI SONO STATE, LE TUE PERSONALI FONTI D’ ISPIRAZIONE?
– Ci sono molti batteristi influenti sulla scena del metal estremo e questo aiuta ad evolversi. Personalmente, per quanto riguarda la mia preparazione per questo album, mi sono ispirato a diversi batteristi classici. In realtà ci sono moltissime influenze nel mio modo di suonare, ma da sempre sono affascinato in modo particolare dai pionieri del genere: Cozy Powell, John Bonham, Bill Ward e molti altri grandi batteristi degli ultimi anni Sessanta. Cerco sempre di ispirarmi a loro, alla loro creatività e perfino alla fisicità del loro modo di suonare. Sono cose che ho sempre voluto portare nel mio drumming e credo che fossero particolarmente adatte a quest’album. Ma non smetto mai di esplorare, penso sia la cosa migliore per me e per i Satyricon.
COME DESCRIVERESTI L’EVOLUZIONE DEL TUO DRUMMING NEL CORSO DELLA TUA CARRIERA?
– Quando ho iniziato ero molto motivato. Mi interessava soprattutto migliorarmi sul lato tecnico e, inoltre, sono sempre stato attratto dal lato ‘fisico’ della cosa. Volevo esprimere aggressività e sentimenti oscuri. Non sono sicuro di essere stato consapevole, allora, di quale fosse l’essenza del suonare la batteria (ride, NdR), mi interessava soprattutto imparare. Poi c’è stato un momento di svolta in cui ho voluto tornare alle basi di ciò che facevo, ma credo di aver scoperto solo negli ultimi anni cosa la batteria possa e dovrebbe essere. Ho capito quanto la creatività e quanto il sentirsi parte dello strumento siano importanti. Quindi credo di avere ancora molta strada da fare e di avere ancora un lungo percorso davanti, almeno spiritualmente. Non vedo l’ora di scoprire cosa mi aspetta.
IN QUEST’OTTICA, IMMAGINO CHE PER TE SIA IMPORTANTE AVERE PROGETTI DIVERSI, COME I SATYRICON E I 1349.
– Sì, è senz’altro molto importante per me. Direi che è più importante ora di quanto non lo fosse dieci anni fa, perché sento di avere ancora dentro di me l’esigenza di esprimere un’aggressività estrema. In questo senso, amo molto suonare coi 1349. Ma al tempo stesso ho bisogno di continuare il mio viaggio musicale e i Satyricon mi permettono di farlo. Quello che imparo per avere quel sound, ma anche da quel sound, è fondamentale; scopro cose nuove giorno per giorno e mi rendo conto di quanto sia necessario lavorare. Ed è qualcosa che mi ha reso più forte.