All’indomani dell’esplosivo show messo in atto dalla Trans-Siberian Orchestra e dai Savatage durante la seconda notte di show all’edizione 2015 del Wacken Open Air, si è tenuta una conferenza stampa da parte di buona parte degli artisti coinvolti per spiegare motivazioni e, speravamo, futuro dell’evento appena trascorso. Purtroppo in quella sede nessuno degli artisti si è sbottonato su questi temi, ma abbiamo intravisto una discreta apertura al parlare della serata in sé, e nel voler rinvangare il passato, parlando un po’ di quella grande band che erano stati (o sono tutt’ora?) i Savatage. Circa mezz’ora dopo raggiungiamo con lo staff del management il tour bus dei Savatage, decisi ad approfondire meglio questi argomenti… ad aspettarci sopra non c’è purtroppo Jon Oliva come avevamo sperato, ma troviamo comunque un disponibilissimo Paul O’Neill, affiancato dai due giovani artisti T.S.O. Robin Bornemann e Kayla Reeves. Nella mezz’ora che passiamo in loro compagnia, riusciamo a tracciare interessanti punti di unione tra le due band di cui il simpatico produttore è il guru, e il risultato di questa chiacchierata lo trovate pubblicato qui sotto…
COMINCIAMO L’INTERVISTA PARLANDO DI EMOZIONI VISSUTE: COME DESCRIVERESTI LA NOTTE CHE È APPENA TRASCORSA?
Paul O’Neill: “Devo confessarti che per me c’è stata molta paura. Il mio più grande problema era che il sistema audio lavorasse come l’avevo pensato. Era difficile realizzare un’impresa come questa. Due band che suonano contemporaneamente su due palchi separati tra loro da diverse decine di metri poteva dare problemi di tutti i tipi. Anche perché niente di quanto si doveva fare ieri sera era stato veramente testato. Abbiamo disegnato il sistema sulla carta, l’abbiamo simulato al computer, ma nessuno di noi l’aveva effettivamente provato nelle condizioni finali. Si può dire che il test sia stato lo show! Per questo io personalmente mi ricordo di tanta confusione; c’era molta gente che lavorava simultaneamente e io non potevo seguire tutti, come avrei invece voluto. C’era due di tutto: due team di tecnici, due team di addetti luce, due team di fonici, senza tener conto dei musicisti e dello staff di palco. Solo intorno alle ultime due o tre canzoni ho avuto finalmente percezione che tutto stava funzionando come doveva. È stato pesante”.
QUINDI LE TUE PREOCCUPAZIONI ERANO TUTTE LEGATE ALL’ASPETTO PURAMENTE TECNICO DELLO SHOW?
O’Neill: “No, le mie preoccupazioni erano tutte volte al benessere delle band stesse. L’aspetto tecnico è la causa della preoccupazione, l’effetto negativo vero e proprio è tutto a carico delle band. Nella seconda parte dello show, quando Savatage e Trans-Siberian Orchestra hanno suonato assieme, i musicisti non potevano vedersi. Su ‘Someday’, ad esempio, io non potevo vedere Kayla, perché si trovava su un altro palco. Se qualcosa non avesse funzionato, pensa che non avrei potuto nemmeno sentirla! Senza la vicinanza, senza il contatto visivo, suonare è un po’ come leggere in braille, ti devi basare solo su alcune sensazioni, e assolutamente non devono arrivare sbagliate. Il vedersi, lo scambiarsi sguardi o cenni aiuta molto su un palco, e qui non si poteva. Sai, a tratti ho pensato davvero di avere esagerato. Sapevo che i Savatage avrebbero fatto un grande show, sapevo anche che la Trans-Siberian Orchestra avrebbe fatto un grande show, ma fare funzionare le due entità assieme senza che le entità stesse potessero vedersi era stato qualcosa di mai provato prima”.
TRA L’ALTRO IL PESSIMO TEMPO METEOROLOGICO DI QUESTI GIORNI NON VI È STATO CERTO DI AIUTO.
O’Neill: “Non dirmelo! Il momento più brutto è stato mercoledì, durante la tempesta. Il management del festival aveva ventilato l’ipotesi di usare meno elettricità e diminuire i generatori per via del rischio di sovraccarico elettrico a causa della pioggia eccessiva, ma a noi serviva ogni singolo watt che era stato dichiarato. Una band da sola può magari togliere qualcosa, rinunciare a qualche effetto… noi non potevamo. Per rendere veramente comunicanti i due palchi, ci occorreva ogni singolo punto disegnato sul progetto. Mi sono veramente tremati i polsi in quel momento”.
BE’, DAI, TUTTO È ANDATO BENE, NO? ORA SARAI SODDISFATTO…
O’Neill: “Sì, certo, ma è una soddisfazione ancora carica di adrenalina. Come quella del pugile dopo l’incontro importante. L’energia e il nervosismo provati prima e durante l’evento sono tali che alla fine ti senti quasi più stanco che altro!”.
VORREI CHIEDERE A VOI ARTISTI SE PREPARARSI PER QUESTO SHOW È STATO COSÌ DURO ANCHE PER VOI. LO È STATO?
Kayla Reeves: “E’ stato durissimo. Si è provato per giorni e notti, e non è che non conoscessimo le canzoni o non sapessimo cosa stavamo facendo! Negli States la Trans-Siberian Orchestra riempie grandi arene; noi suoniamo davanti a folle del tutto paragonabili, ma sapevamo che qui sarebbe stato diverso, più difficile. Sapevamo di poterlo fare, ma non sapevamo se quello era il modo era giusto. Il lavoro più difficile è stato essere meno ‘solisti’ e dipendere di più dagli altri”.
O’Neill: “E anche dipendere dal caso. Nelle arene è più facile. La pioggia è ininfluente, non hai paura che vada via la luce o che un generatore si spenga annullandoti parte della strumentazione. Durante le date normali, hai il lusso di dare per scontate cose che qui non lo erano affatto”.
Robin Bornemann: “Io ho avuto meno problemi. Lo staff della Trans-Siberian Orchestra e i ragazzi dei Savatage sono il gruppo di gente più professionale che abbia mai visto. Affidarmi a loro mi è venuto naturale. Sono stato tranquillo, da quel punto di vista”.
PAUL, CHE TU SIA UN PERFEZIONISTA LO SI SOSTIENE DA “HALL OF THE MOUNTAIN KING”. JON OLIVA È IL PRIMO A DIRLO, IN NUMEROSE INTERVISTE. MA DAI TEMPI DEI PRIMI ALBUM CON I SAVATAGE, PENSI DI AVERE CAMBIATO QUESTO TUO MODO DI APPROCCIARTI AL LAVORO?
O’Neill: “Alcune cose sono cambiate, altre no. E’ sempre un paragone scivoloso quello tra Savatage e Trans-Siberian Orchestra, perché le condizioni al contorno sulle due band sono diverse. Con i Savatage, negli anni ’80, avevo in mano oro. Oro grezzo, ma oro già in partenza. Criss Oliva era il talento, Jon l’ecletticità e il genio, in pratica c’era già tutto. Dovevo solo far brillare questi aspetti. Le possibilità erano immense, ma era come muoversi al buio, per tentare di raggiungere un risultato che non vedevo e che non sapevo quale sarebbe stato. Sapevo di voler fare di loro una sorta di progressive metal band, prima ancora che questo termine esistesse, ma non sapevo quale sarebbe stato il risultato. Per la Trans-Siberian Orchestra il risultato che voglio ottenere lo conosco, e quindi so già cosa mi serve, posso cercarlo. E’ per questo che talenti come Robin, o Kayla, sono così speciali per questo progetto. Quando ho visto Kayla cantare la prima volta sapevo che sarebbe stata perfetta per qualcosa che avevo già in mente. Non potevo fare altre scelte, lei era quella giusta per la parte che stavo pensando. Ho scoperto dopo che aveva diciassette anni. Pazienza! Anche se l’idea iniziale era di non lavorare con minorenni, non potevo lasciarmela sfuggire. Era il tassello che cercavo. Questa visione sull’obiettivo è la vera differenza sul mio modo di lavorare ai tempi con i Savatage e ora con la Trans-Siberian Orchestra. Poi che io sia un perfezionista e un rompiscatole… be’, quello lo sono sempre stato!”.
QUINDI IMMAGINO CHE LAVORARE CON TALENTI COME CRISS E JON SIA MOLTO DIVERSO CHE LAVORARE CON TALENTI COME ROBIN E KAYLA. È VERO?
O’Neill: “Sì. Ma te ne accorgi facilmente. Jon come interprete può essere qualsiasi cosa perché lui è effettivamente stato tutte quelle cose. Prendi ‘Streets’, ad esempio. Jon poteva interpretare la rock star, perché era una rock star. Poteva interpretare un pazzo, perché a modo suo lo era. Si immedesimava con un tossicodipendente, perché a sua volta era stato tossicodipendente. Fa tutto parte della sua personalità esplosiva, la sua esperienza in ogni campo gli permette di veicolare perfettamente agli altri ciò che canta. Per Kayla, o Robin, il discorso è diverso. Posso farti un esempio con la canzone ‘Believe’: Jon l’ha composta, e può cantarla per via della sua esperienza. Ha visto amici morire, ha visto rockstar bruciarsi, e lui stesso ha rischiato queste cose. Quando Robin interpreta la stessa canzone, non interviene l’esperienza, ma una sorta di empatia verso l’umanità. Mi piace chiamarla così. E quindi i modi di lavorare con loro sono diversi. Profondamente diversi”.
LA CAPACITÀ DI CREARE EMOZIONI È IN EFFETTI DA SEMPRE ALLA BASE DELLA MUSICA DEI SAVATAGE. QUESTA CARATTERISTICA NON SEMBRA ESSERE SCOMPARSA NELLA TRANS-SIBERIAN ORCHESTRA. PROPONENDO TRA L’ALTRO SPESSO LE STESSE CANZONI, TU VEDI DELLE SIMILITUDINI IN CIÒ CHE FANNO QUESTE DUE TUE REALTÀ MUSICALI?
O’Neill: “Sì, vedo una grande similitudine. Sia i ragazzi dei Savatage che quelli della Trans-Siberian Orchestra hanno la capacità di toccare corde dolenti nell’animo umano, e di guarirle. E’ facile vedere a un concerto una ragazza che piange durante la propria canzone preferita, ma quando a piangere è un rude camionista di quarant’anni, sai che in gioco c’è quel tipo di potere che ti permette di parlare al cuore della gente. Questo potere ce l’hanno entrambi”.
BE’, KAYLA E ROBIN… VI FACCIO I MIEI COMPLIMENTI. QUEST’UOMO HA SICURAMENTE NASO PER ARTISTI DI VALORE!
Entrambi: “Grazie!”.
ORA CHE LUI HA DETTO MOLTO SU DI VOI, COSA POTETE DIRMI VOI DI LUI?
Robin: “Con Paul ho imparato moltissimo in questi anni. E’ capace di spingerti in direzioni in cui tu non andresti mai. Parlavamo di ‘Believe’: io posso anche leggere il testo del brano e capire come cantarlo dal punto di vista tecnico, ma Paul è stato in grado di dirmi così tante cose su quella canzone da farmi immaginare il modo in cui dovevo interpretarla. E’ come se mi costruisse lui il brano nella mente. E’ un’abilità rara, unica. Certo, è un gran rompiballe, ma è anche una delle migliori persone che conosca”.
O’Neill: “Ehi! Ti devo venti dollari! (ride, ndR)”.
Kayla: “Per me Paul è una guida quando non ci vedo. Le mie difficoltà dovute all’età in un progetto così grosso sono state tante, ma lui sa sempre come farti da guida, e come mantenerti concentrata. E’ stato così anche ieri, infatti”.
VORREI SOFFERMARMI SUL TEMA DELLE EMOZIONI E DEL MESSAGGIO CHE TRASMETTETE. TU PENSI SIA IMPORTANTE PER UNA PERSONA LA CAPACITÀ DI VEDERE IL BELLO, O IL BENE, NEL MONDO CHE CI CIRCONDA? TI RITIENI UNA PERSONA POSITIVA?
O’Neill: “Al 100%. Sono convintissimo di quanto hai appena detto. Anzi, io vivo per questo, e sostengo che lo spazio per qualcosa di bello ci sarà sempre anche nei brutti momenti. Senza entrare in discorsi troppo politici, ti dirò che solo ieri pomeriggio ho visto un ragazzo iracheno, a passeggio qui nell’area vip. Nemmeno mezzora dopo, ne ho visto un’altro che sembrava siriano. Sono entrambi paesi in guerra, lì da loro la gente muore e combatte, ma lo stesso io ho pensato che magari, tra due anni, questi stessi due ragazzi potrebbero incontrarsi in fazioni opposte nell’ambito di una guerra, e potrebbero riconoscersi, deponendo le armi e cominciando a parlare. Ora sono entrambi qui al Wacken, stanno condividendo musica, esperienze, cibo… questo secondo me crea un legame. Darei fino al mio ultimo soldo per vedere una cosa così”.
CREDI DAVVERO IN UNA SCENA DEL GENERE?
O’Neill: “Perché no? Non è diverso da fatti noti successi veramente. Ti parlerò della Prima Guerra Mondiale. Al fronte occidentale, sotto Natale, nel 1914 fu dichiarata una tregua. I soldati francesi uscirono dalle trincee, e così fecero gli inglesi, e i tedeschi sull’altro fronte. Scavalcarono gli sbarramenti e si incontrarono nella Terra di Nessuno, condividendo cibo, esperienze, lutti. Giocarono a calcio e intonarono canzoni. Finita la tregua, i rispettivi generali si arrabbiarono… anche se era stato indetto un ‘cessate il fuoco’ ufficiale, non si era mai detto che si dovesse fraternizzare col nemico. L’anno successivo infatti non fu dichiarata alcuna tregua, ma la scena, in alcuni punti del fronte, si ripeté lo stesso per volontà dei soldati. Si tratta di un solo momento, di una singola battaglia su un singolo fronte di una guerra globale che durava invece da anni. Però c’è stato. Era un momento in cui non c’era politica, non c’era odio. Un momento solo nella storia, ma è esistito. E secondo me cose del genere sono un segno, un messaggio”.
CONTINUANDO SUL TEMA DEL MESSAGGIO, LA TRANS-SIBERIAN ORCHESTRA NE PORTA UNO IMPORTANTE, COSÌ COME FACEVANO MOLTE CANZONI DEI SAVATAGE SOPRATTUTTO DEGLI ULTIMI CONCEPT. VISTA LA TUA ESPERIENZA, TI SENTI PIÙ UN CANTASTORIE O UN PREDICATORE CON, APPUNTO, UN MESSAGGIO DA TRASMETTERE?
O’Neill: “Sono due le cose che da sempre mandano avanti l’umanità: la prima è la fiducia; è con la fiducia che si formano le comunità, perché ci si fida del prossimo al punto di desiderare la sua vicinanza e affidarsi a lui; la seconda cosa è il parlare. E’ da qui che nasce il fatto di tramandarsi storie. I racconti dell’umanità sono importanti. Trasmettendoli non si perde ciò che si è appreso. L’antico popolo greco sarà anche scomparso, ma la loro grande cultura sopravvive nelle loro leggende. Lo stesso vale per l’impero romano: non ci sono in giro molti individui in toga attualmente, ma ideali di onore e gloria tipici di quel popolo li vediamo invece tutti i giorni. Le storie uniscono e danno un volto all’umanità. Anche ‘Le mille e una notte’ parla di storie, storie che vengono raccontate. Per risponderti, penso che il ‘narrare’ sia una cosa che faccio da sempre, sia con Savatage che con la Trans-Siberian Orchestra. Però questo non esula assolutamente dal fatto di avere un messaggio, anzi. La scelta di usare come mezzo di trasmissione di un messaggio una forma d’arte come la musica dona una universalità ancora maggiore al contenuto rispetto al testo scritto. L’arte non deve essere tradotta, è comprensibile da tutti. Se pensi a questo concetto, l’arte supera anche le barriere del tempo. Un esempio è ‘Carmina Burana’, di cui noi suoniamo un estratto. Si tratta di storie scritte più di mille anni fa, eppure anche ieri sera sono state ascoltate da decine di migliaia di persone. Dopo mille anni, quei pezzi in latino parlano ancora alla gente, e nonostante lo facciano in una lingua morta, qualcosa viene recepito”.
IL TEMPO A NOSTRA DISPOSIZIONE FINISCE, MA VISTO CHE JON NON HA POTUTO PARTECIPARE ALL’INTERVISTA, VOGLIO FARTI UNA DOMANDA SPECIFICA PROPRIO SU DI LUI… PER TE CHE LO CONOSCI BENE, JON È PIÙ UN FRONTMAN, UN COMPOSITORE, UN MUSICISTA O UN CANTANTE?
O’Neill: “Jon è una persona incredibile. E’ la sua personalità multisfaccettata a renderlo bravo in tutto. La prima volta che lo vidi rimasi folgorato, ma perché c’era talmente tanto ‘dietro’ quanto stava facendo sul palco da lasciarmi senza fiato. Jon è tutte le cose che hai detto, perché può essere qualsiasi cosa voglia. Una dimostrazione di ciò la abbiamo nel 1994, l’anno dopo la morte di Criss. Lui era fuori da Savatage già da un album, ma comunque si chiuse nello studio con me e scrisse un intero album dei Savatage, il bellissimo ‘Handful of Rain’. E compose tutto lui. Suonò la batteria su quel disco, e suonò il basso. Suonò anche gli assoli! Non è ultraveloce, non è un solista alla Schenker, ma ha certamente feeling. Anche Alex (Skolnick, ndR) quando sentì cosa avrebbe dovuto incidere disse solamente ‘wow!’. Jon non è un artista, è come se fosse una band intera. Forse è per questo che è così grosso! Anche come persona è incredibile, davvero generosissimo. Quando non era nei Savatage, lui riceveva comunque una quota dai diritti d’autore sui dischi precedenti. I Savatage sono sempre stati costosi per quanto riguarda l’aspetto live o di produzione, ma Jon investiva ancora ciascuno di quei soldi in una band che non era più sua, per produzioni migliori e show sempre più ricchi. Ce ne sono poche di persone come lui… anzi, nessuna!”.