SCHELETRO – Quando rimani solo…

Pubblicato il 24/04/2018 da

I romani Scheletro, autori di un debutto entusiasmante con il full length “Farfalle Dentro Al Vomito”, non sono un gruppo di ragazzini: all’interno della band militano infatti due elementi dei death thrasher Airlines Of Terror. Il quartetto, per cercare di spargere il verbo, si è imbarcato in qualche data in giro per l’Italia in compagnia dei Tear Me Down e, in occasione della data modenese presso lo Stella Nera, non abbiamo voluto perdere l’occasione di incontrare il frontman Demian per una lunga e interessante conversazione, svoltasi in un contesto per la verità un po’ insolito; ci siamo infatti intrattenuti con lui nell’unico posto dove si poteva parlare un po’ tranquillamente: dietro a un capannone della zona industriale modenese, con qualche birra in lattina, qualche sigaretta tra le dita e due sedie in mezzo alla neve.

CIAO DEMIAN, L’ULTIMA VOLTA CHE CI SIAMO SENTITI ERA APPENA USCITO L’ULTIMO ALBUM DEGLI AIRLINES OF TERROR. NONOSTANTE LA DIVERSITÀ DI GENERE MUSICALE PROPOSTO, TROVO CHE CI SIA COMUNQUE UN CERTO FILO CONDUTTORE TRA QUESTI E GLI SCHELETRO. ANCHE SECONDO TE? QUALI SONO LE ANALOGIE CHE CITERESTI?
– Ciao a tutte e a tutti dagli Scheletro e prima di tutto ancora grazie a Metalitalia per il supporto. Veniamo a noi: il filo conduttore tra gli Scheletro e gli Airlines Of Terror deriva in primo luogo dal fatto che Senzafaccia, il batterista degli Scheletro, è stato il primo batterista degli Airlines Of Terror ai tempi del primo demo e del primo sette pollici. Gli Airlines Of Terror inizialmente erano molto più lo-fi e meno metal (perciò più vicini al mondo degli Scheletro),poi sono divenuti via via più estremi con gli album e l’entrata di Giuseppe (Orlando, ndR). Sei anni fa ci è venuta questa idea di formare un gruppo per cazzeggiare con Senzafaccia e gli altri,  per continuare a suonare e fare qualcosa insieme. L’intenzione era di fare qualcosa di poco impegnativo e chiaramente il metal, se fatto bene, in una certa maniera, richiede molto tempo, impegno e anche soldi. Ecco, noi invece avevamo voglia di fare una cosa meno ambiziosa e che in qualche modo ci rispecchiasse. Essendo frequentatori e sostenitori di realtà antagoniste ed autogestite, pur essendo noi di origine metallara, negli anni l’incontro e l’amore per la scena punk hardcore sono stati inevitabili. Ecco che è venuta fuori questa idea di mischiare le nostre varie identità.

MI SORGE SPONTANEA UNA DOMANDA: MA QUINDI GLI AIRLINES OF TERROR ESISTONO ANCORA O SI SONO SCIOLTI?
– No, gli Airlines Of Terror sono semplicemente molto lenti. Non facciamo un concerto da oltre un anno, a Modena peraltro, proprio in un festival metal antifascista che organizzai insieme ad Ulderico dei Verano’s Dogs e Riki dei Grumo al Libera Officina e che si chiama Metal Against Shit. Con gli Airlines Of Terror continuiamo a vederci e suonare con regolarità e penso che fra qualche tempo potremmo far capolino di nuovo; ma, ti ripeto, abbiamo dei tempi molto lunghi.

COME NASCE UN BRANO DEGLI SCHELETRO? SEI TU LA PRINCIPALE MENTE COMPOSITIVA?
– Ogni brano ha un po’ la sua storia, io forse sono quello che ne ha portati di più, ma siamo tutti molto attivi nell’arrangiamento e nel songwriting, è un lavoro molto di squadra. Mentre i testi, tranne uno che è del batterista, li scrivo io.

HAI SEMPRE DATO MOLTA IMPORTANZA INFATTI AI TESTI DELLE TUE CANZONI, E’ ANCHE PER QUESTO MOTIVO CHE HAI DECISO DI SCRIVERE I TESTI IN ITALIANO, PER RENDERLI ANCOR PIU’ INEQUIVOCABILI?
– Sì. Vedi, il fatto è che quando ti metti a fare metal, soprattutto se sei della mia generazione, ovvero un po’ più maturo, sei cresciuto in un contesto dove si poteva avere quantomeno l’ambizione o la velleità di essere internazionali. Essendo invece gli Scheletro un gruppo che nasce recentemente ed assolutamente per hobby e che, per questo, probabilmente non uscirà mai dall’Italia, e considerando anche che il genere si presta moltissimo al cantato in italiano, abbiamo sposato la teoria del “riff semplici e testi comprensibili” per ottenere più riscontro possibile dalle poche ore di sala prove che possiamo dedicare al gruppo. E ti dirò di più: quando fai testi in inglese, anche se hai le tematiche più fighe del mondo e le proprietà di linguaggio di un madrelingua, con la musica estrema, nella maggior parte dei casi sono tutte ore di lavoro buttate.

PARLIAMO ANCORA UN ATTIMO DEI TESTI: IN PRIMA BATTUTA LE LIRICHE DEL DISCO SEMBRANO IRONICHE, MA IN REALTÀ TROVO CHE SIANO UN BELLO SPACCATO DI UN CERTO TIPO DI DISAGIO E RABBIA. COSA MI PUOI DIRE IN PIÙ A RIGUARDO?
– I testi si rifanno a un certo tipo di tradizione, che è quella di gruppi come Negazione e Nerorgasmo in primis. Perciò iconoclasti e nichilisti. Abbiamo voluto tributare il filone lirico dei gruppi summenzionati perché non abbiamo null’altro da aggiungere ai messaggi socialmente impegnati della maggior parte dell’attule scena hardcore. Sebbene politicamente sposiamo un certo tipo di idee, è pur vero che ci sono già molti gruppi validi che le divulgano, quindi abbiamo deciso di muoverci su un terreno che non viene più molto battuto. Per quanto riguarda l’ironia, è dovuta al fatto che abbiamo voluto recuperare e caricaturizzare quell’aspetto strafottente e crudo del punk, nemico di tutto e di tutti a tutti i costi, specialmente sul palco, che deve dare un po’ fastidio e allo stesso tempo mai prendersi troppo sul serio. Che il troppo stroppi!

“FARFALLE DENTRO AL VOMITO” È UN ALBUM PIUTTOSTO BREVE, MA NONOSTANTE QUESTO È ASSOLUTAMENTE MOLTO INTENSO E, A MIO AVVISO, SENZA IL MINIMO CEDIMENTO. CI SONO DEI BRANI CHE SONO RIMASTI FUORI DAL DISCO?
– No, non c’è nessun brano che è rimasto fuori, come tutti i miei gruppi siamo molto lenti e fino a quando le cose non escono perfette non abbiamo nessuna fretta di arrivare e nessun traguardo da raggiungere. Non abbiamo necessità o possibilità di sfondare, quindi bisogna fare la cosa che più piace e comunicare quello che si ha dentro. A noi interessa comunicare chi siamo e se per farlo ci abbiamo messo degli anni non importa.

STILISTICAMENTE ABBIAMO PARLATO DELLE VOSTRE INFLUENZE, TUTTAVIA NEL VOSTRO SOUND SI SENTONO DEI RICHIAMI ALLA SCENA ATTUALE, IL PIÙ EVIDENTE A MIO AVVISO È PROPRIO LA PRODUZIONE CON QUESTI SUONI ATTUALI E CONTEMPORANEI. COSA MI PUOI DIRE A RIGUARDO DEL SUONO?
– Non ci ho mai pensato, se devo essere onesto, al fatto della modernità, però ti posso dire che il disco è stato prodotto dal nostro attuale bassista, che è Valerio dell’Hombrelobo stuido di Roma, che, peraltro, segue anche la maggior parte delle produzioni hardcore romane. Noi siamo andati da Valerio e gli abbiamo detto: “Valerio, questo disco deve suonare male!”, chiaro che per male non intendevamo avere una bassa qualità, ma avere suoni che sembrano esteticamente trasandati. Quindi non ha importanza se non si dovesse sentire ogni singolo colpo di cassa uguale all’altro, volevamo togliere un po’ di definizione in favore di un’aggressività. Le cose più simili al metal a cui si voleva avvicinare questo suono sono forse quelle band di Tompa (Lindberg, At The Gates ndR) come gli Skitsystem, i Disfear e in generale il d-beat svedese, insomma.

ESISTE ANCORA A TUO AVVISO NELLA SCENA METAL, O IN QUELLA HARDCORE PUNK, IL CONCETTO TALE PER CUI QUESTA MUSICA È UN’ESPRESSIONE DI PROTESTA E RIBELLIONE? OPPURE CREDI CHE ORMAI TUTTO QUESTO ABBIA ASSUNTO DEI CONNOTATI COMPLETAMENTE DIFFERENTI?
– Diciamo che il metal e il punk da questo punto di vista credo che siano quasi sempre stati piuttosto diversi. Forse nascono entrambi come prodotti commerciali che poi in seguito sono stati recepiti e riutilizzati come mezzi di protesta. O forse nascono come forme di protesta ma che i boss delle case discografiche, con gran senso dell’ironia, sono riusciti a far diventare prodotti commerciali impacchettati, svuotandoli del loro significato primario. Non dimentichiamoci, infatti, che i primissimi gruppi metal erano gruppi giganti così come il “primo” gruppo punk (i Sex Pistols furono primi nelle classifiche inglesi per mesi e mesi), quindi non si può proprio dire che siano nati per pura protesta, se non per quella generazionale comune a tutto il rock. Dunque proteste dei teenager: nulla che possa spaventare o minacciare l’ordine costituito. Mi vengono in mente i primi video dei Twisted Sisters o dei Megadeth… Prendi “Peace Sells…” dove c’è il ragazzino adolescente con i capelli lunghi che si ribella contro la famiglia, la scuola e tutto ciò che lo circonda. La seconda generazione di punk, per lo più molto underground, invece è riuscita a spostare la protesta generazionale verso una protesta sociale e politica, ma è una formula così vecchia che non so quanto sia più efficace. Io personalmente spero comunque che nel suo piccolo continui ad esistere. Almeno per nostalgia ed egoismo personale. Invece per la calvizie non abbiamo rimedi.

NELLA CANZONE “LA TUA OPINIONE” DICI: “DELLA TUA OPINIONE A ME NON ME NE FREGA UN CAZZO”, MA È DAVVERO COSÌ? OVVERO VE NE IMPORTA QUALCOSA DELLA OPINIONE DEGLI ALTRI?
– A livello musicale ti confermo che non ce ne frega un cazzo. Personalmente, però, ti confesso che ci piacerebbe essere impermeabili alle critiche più pungenti, ma tutti sappiamo che quando ti arriva la bastonata alla sera ci pensi.

E’ ORMAI COSA NOTA CHE IN ITALIA SIA DIFFICILE TROVARE LOCALI CHE METTANO IN GRADO LE BAND DI SUONARE IN CONDIZIONI ACCETTABILI. L’ANNO SCORSO CI FU MOLTA POLEMICA PER UN CONCERTO ANNULLATO PROPRIO PER QUESTO MOTIVO. COM’È LA SITUAZIONE ATTUALMENTE? PENSI CHE PRIMA O POI QUALCOSA POTRÀ CAMBIARE?
– Io penso che sia una questione di punti di vista. Se un ragazzo di vent’anni oggi mi dicesse che ci sono poche possibilità, posso dirgli che è vero, ma uno di quaranta, se si ricorda com’era vent’anni fa, dovrà ammettere che oggi è un po’ meglio. La verità è che siamo in un ambito musicale dove girano pochi soldi, siamo in un mercato commerciale dove ci sono più prodotti che clienti. In pratica, ormai sono più gli album che escono che le persone che li ascoltano, il resto è una diretta conseguenza. Io non me la sento di biasimare anche chi organizza, che ha mille gruppi da far suonare e dieci persone che pagano. Non voglio giudicare un lavoro che per fortuna non è mio e ti dirò che sono contento che qualcuno faccia questo mestiere. Il punk in questo è leggermente diverso perché vive di spazi autogestiti che si propongono, tra le altre cose, come obiettivo quello di tenere viva questa scena, costi quel che costi… tenendo bassi i costi (risate ndR). Consiglio a tutte le persone che pensano di avere poco spazio di non aspettare che il grande festival organizzato dall’alto li chiami. Riunitevi, fate un fondo cassa, autogestitevi la vostra scena e organizzate i vostri eventi fuori dalla logica commerciale che, peraltro, è in crisi.

PICCOLA PARENTESI SUL PAY TO PLAY, COSA NE PENSI? VI È CAPITATO DI PAGARE PER SUONARE?
– Premetto che no, a me non è mai capitato di farlo… Ma poi è ovvio (e, ridendo, si guarda intorno indicando il luogo dove si svolge l’intervista, ovvero il retro di un capannone in mezzo alla neve ndR)! La mia opinione sul pay to play è che se tu pensi di essere bravo e hai un riscontro oggettivo del fatto che lo sei – e per riscontro intendo qualcosa che vada oltre ai tuoi quattro amici – sei giovane, hai qualche soldo e decidi di investire veramente (lasciando quindi perdere università, lavoro ecc.) e, invece di comprarti un pub, vuoi “comprarti” la tua band facendola diventare la tua piccola azienda, dove vai a lavorare otto ore al giorno… Allora ok, devi farlo! Ti dico buona fortuna. Peccato che questa cosa sia accessibile a chiunque, anche a chi vuole solo pagare per farsi vedere senza metterci il minimo impegno e talento. Per come la vedo io, certe scelte di molti gruppi che si imbarcano nel pay to play sono paragonabili a un gruppo di amici che prende un pub in gestione senza nemmeno saper spillare una birra, lo tiene aperto per tre serate e poi lo chiude. Ecco, molti gruppi fanno questo, comprano un tour, fanno un’esperienza in giro per l’Europa e poi basta. Credo davvero che se sei bravo e vuoi investire nel tuo gruppo – e purtroppo oggi funziona così, perché vuoi fare questo mestiere per almeno i prossimi quindici o vent’anni – allora fai bene. Però, se vuoi fare il turista e farti fregare per suonare in uno slot del cazzo per poi non farlo mai più, per come la vedo io, stai buttando i tuoi soldi e intasando la scena e a quel punto era meglio spenderli per farsi una bella vacanza. E fanno bene a fotterteli quei soldi!

ORMAI NELLA TUA CARRIERA HAI SUONATO DIVERSI GENERI MUSICALI: HAI SUONATO NEI NOVEMBRE, POI NEGLI AIRLINES OF TERROR, DOVE FACEVATE TECHNO DEATH, IN UNA PRECEDENTE INTERVISTA MI AVEVI DETTO DI AVER SUONATO ANCHE IN ALTRI PROGETTI NON METAL, E ADESSO ECCOTI NEGLI SCHELETRO. COME CAMBIA L’APPROCCIO DI SCRITTURA DI UNA CANZONE NEI VARI GENERI MUSICALI CHE HAI SUONATO?
– A volte è un parto anale quando ci si mette tanto, a volte è una sbrattata di bile quando ci si mette poco. L’approccio degli Scheletro è più viscerale e concettuale, quello degli Airlines più estetico e astratto. In entrambi i casi bisogna evere un’idea iniziale e una conoscenza buona dello stile in cui ci si cimenta per arrivare al risultato finale.

MA SEI TU CHE “CI HAI MESSO QUARANT’ANNI PER DIVENTARE PUNK” (CITANDO UN PEZZO DELLA CANZONE “LA CAPRA PUNK” ndR)?
– Beh, diciamo che quella canzone ha in effetti qualche spunto ironico ed autobiografico, ed è un po’ la storia dei membri degli Scheletro, che, tra gli enta e gli anta, dopo aver passato tanti anni a suonare musiche complesse, si sono messi messi a fare un genere più rozzo, quando invece normalmente il percorso è contrario: al liceo inizi con qualcosa di facile e rozzo per poi affinare la tua tecnica e progredire. Ma il testo ironizza anche sulle definizioni delle identità sottoculturali: punk, metallaro, goth, skinhead… oggi lasciano tutte il tempo che trovano!

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