Dopo un lungo silenzio, gli Shape Of Despair, una tra le miglior band funeral doom, sono tornati e l’hanno fatto con un disco memorabile che, a dispetto dei cambi di line-up che avevano fatto temere per il peggio, si è rivelato come una delle migliori uscite dell’anno, almeno per quanto riguarda il genere. Abbiamo parlato con Jarno Salomaa, chitarrista e tra i tre fondatori della band, di questo e della loro lunga storia.
FINALMENTE GLI SHAPE OF DESPAIR SONO TORNATI E “MONOTONY FIELDS” STA RICEVENDO OTTIMI RISCONTRI. COME VI SENTITE, VE LO ASPETTAVATE ?
“Si, è davvero un sollievo aver finalmente pubblicato questo disco. Era passato molto tempo da quando ci eravamo concentrati su un disco full-length degli Shape Of Despair e penso che “Monotony Fields” sia decisamente il nostro risultato migliore. Avevamo un’idea molto precisa di come questo disco sarebbe venuto fin da quando abbiamo registrato ed a fare tutto quello che ci eravamo proposti di fare (e anche di più); questo disco era speciale per noi, non importa che riscontri avrebbe ricevuto. Che fossero state pessime o ottime (come è accaduto), questo disco è semplicemente il mondo degli Shape Of Despair”.
SONO PASSATI PIÙ DI DIECI ANI TRA “ILLUSION’S PLAY” E “MONOTONY FIELDS”. UNA LUNGA ATTESA… COSA AVETE FATTO DURANTE QUESTI ANNI ?
“Gli altri ragazzi hanno per lo più anche altri gruppi con cui vanno in tour, registrano, etc. In questo periodo, a parte le questioni personali, abbiamo fatto solo due EP in un lasso di tempo piuttosto lungo. Non avevamo nessuna fretta e penso, col senno di poi, che probabilmente non fosse ancora giunto il momento di fare un nuovo disco. Il tempo è passato dannatamente in fretta, ma penso che abbiamo ricevuto un bel calcio nel culo quando Henri è entrato nella band, perchè proprio in quel periodo abbiamo iniziato a fare i primi show ed a lavorare sul nuovo disco”.
TUTTI I TESTI SONO MOLTO PROFONDI E (CON L’ECCEZIONE DELLA TITLETRACK) PIUTTOSTO BREVI, SEMBRANO PIÙ POESIE CHE TESTI DI CANZONI…
“Si, beh la cosa che importa davvero è come si adattano alla musica. Non ricordo di aver interferito con i testi; ho solo dato la mia opinione su come avrei visto in quel determinato contesto il rapporto tra musica e testi, quello che senti suonando e che la musica rappresenta in un determinato momento. Ma sapevo già che Henri scriveva degli ottimi testi e che avremmo sicuramente trovato le parole per descrivere ciò che la musica trasmetteva”.
“THE DISTANT DREAM OF LIFE” MI HA FATTO PENSARE AL PESO SOVVERCHIANTE DELLA VITA ED ALLA DIFFICOLTÀ DI DARGLI UN SENSO.
“Si, è un modo per descriverla, insieme al quanto possa essere priva di senso. Avevavmo un “working title” per questo pezzo che era semplicemente “The Dream Of Life”. Nello stesso periodo è stato presentato un documentario in Finalndia, con il medesimo titolo, in finlandese, che parlava di vari aspetti del suicidio. La canzone sarebbe stata un’ottima colonna sonora al documentario”.
TUTTO IL DISCO SEMBRA PARLADE ALL’ASCOLTATORE DI SE’ STESSO, DANDO UN SENSO DI PORTARE AD AFFRONTARE LE PROPRIE DIFFICOLTÀ…
“Sai, penso che le persone ricevano diverse sensazioni dalla musica quando questa ‘arriva’. Alcuni pensano che sia purificante ascoltare doom e altri pensano l’esatto opposto. Già di per sé, questo disco ha un certo carico di senso di scoraggiamento, così – forse – ha un effetto opposto su qualcuno. Chi lo sa ? Noi qua la chiamiamo “ranteet auki music” (più o meno musica per aprirsi i polsi, inteso come tagliarsi le vene, ndr)”.
COME GENERE IL FUNERAL DOOM E’ PIUTTOSTO DEFINITO E STATICO. COSA VI RENDE DIFFERENTI DALLE ALTRE BAND, SECONDO TE, ED IN CHE MODO IL VOSTRO STILE EMERGE ?
“Quello che ho sempre voluto fare, come prima cosa, con gli Shape Of Despair è qualcosa che viene da te stesso. Ora funziona più come un canale per alcune emozioni ma, ovviamente, una cosa personale è già di per sé unica. Al giorno d’oggi è difficile fare della musica che sia particolarmente diversa da quella delle altre band, ma – onestamente – non mi sono mai sentito sotto pressione per questo motivo. Questa è la musica che facciamo ed è questo è quanto. All’inizio c’era anche l’idea di fare iniziare a fare musica con elementi che mi mancavano nella musica che ascoltavo; quando abbiamo formato i Raven nel 1994, facevamo dei pezzi solo con chitarra, basso e batteria e non avevamo neanche intenzione di lasciare del posto per la voce a quel tempo. Era solo la musica ed il suo scorrere… Mi piace il modo in cui abbiamo mantenuto tutto ‘diretto’ ”.
LE CANZONI SONO STARE REGISTRATE TRA IL 2013 ED IL 2014 MA IL DISCO E’ STATO PUBBLICATO SOLO A META’ 2015. C’È QUALCHE MOTIVO ?
“A dir la verità la canzone più vecchia, “In Longing” è stata iniziata, più o meno, nel 2002 ma siamo riusciti a finirla solo in tempo per questo disco. In effetti, però, le altre canzoni (eccetto “Written In My Scars”) sono state scritte nel periodo che menzionavi. Il fatto è che abbiamo iniziato a registrare questo album fase per fase, senza nessuna pianificazione precisa. Per esempio, abbiamo inciso prima le chitarre e le tastiere e poi la voce. Poi abbiamo dovuto attendere qualche mese, perchè due di noi erano in tour coi Finntroll. Dopo, però, le cose sono andate avanti in modo abbastanza spedito. Purtroppo, però, quando hai a che fare con un’etichetta discografica questa ha i suoi programmi di pubblicazioni e non è così facile inserirsi. La Season Of Mist ha le sue cadenze di pubblicazione e, sfortunatamente, l’ uscita del nostro disco è stata ritardata per alcuni mesi. Ma alcuni mesi non sono così terribili, quando hai aspettato così tanti anni, giusto?”.
AVETE INIZIATO NEL 1998 (NEL 1995 COME RAVEN) E SE, FORSE, NON SIETE DEI PRIME MOVER, DI CERTO SIETE TRA LE PRIME BAND AD AVER FATTO FUNERAL DOOM. COME È INIZIATO IL TUTTO ?
“In effetti è un bel po’ di tempo fa. Tutti noi tre che abbiamo formato i Raven, prima suonavamo death metal. Credo che abbiamo pensato di andare oltre, di suonare qualcosa che fosse davvero diverso da ciò che avevamo ascoltato fino ad allora. In quel periodo ascoltavamo più black metal che death e io penso che ci sia qualcosa in più che viene da quei suoni diretti e dall’ispirazione che deriva dall’andare in giro per i boschi. Eravamo abbastanza isolati da tutto ciò che ci circondava ed abbiamo solo continuato a fare la nostra musica. Avevamo questo piccolo registratore a cassette con cui registravamo le nostre rehearsal (che ho ancora); poi abbiamo avuto una ‘piccola’ pausa di qualche anno prima di registrare davvero queste canzoni come demo tape… Era il 1998 ed in quell’anno decidemmo sul serio di fare qualcosa di più che dei demo; quello fu il momento del nostro promo e della Spikefarm”.
PERCHÈ AVETE SCELTO IL GENERE DALL’APPROCCIO PIÙ DIFFICILE? ERA SOLO QUELLO CHE SI ADATTA MEGLIO A VOI O C’È ALTRO?
“Forse si… Credo di sentirmi più a mio agio con questa musica che con qualunque altra cosa. E’ come avere un proprio mondo in cui vivere. Però non direi che è il genere più difficile a cui avvicinarsi: alcune persone possono avere dei pregiudizi al riguardo o c’è solo la mancanza di interesse per prendersi un po’ di tempo, ‘entrare’ e dare un’occhiata”.
TORNANDO A “MONOTONY FIELDS”: E’ DESTABILIZZANTE PER L’ASCOLTATORE E LASCIA MOLTO DELLA SUA ATMOSFERA ALL’INTERNO DI CHI LO ASCOLTA. NIETZCHE DICEVA “QUANDO GUARDI TROPPO A LUNGO NELL’ABISSO, L’ABISSO GUARDA DENTRO DI TE”. VOLEVATE OTTENERE QUAL COSA DEL GENERE?
“Domanda interessante. La mente è piuttosto complessa ed è interessante vedere il modo in cui certa musica abbia un effetto su di essa. Dato che questo disco tratta di disperazione e di molte altre belle cose generalmente funziona all’opposto di quello che ha davvero al suo interno. D’altra parte, però, sono convinto che possiamo raggiungere qualcosa di più con questo album, dipende dal tempo e dall’ascoltatore. Ma, alla fine, le nostre intenzioni erano solo fare buone canzoni con una durata molto lunga”.
LE CANZONI SONO ABBASTANZA DIVERSE DA “ILLUSION’S PLAY” E MI HANNO RICORDATO UN PO’ IL VOSTRO PRIMO DISCO. SEI D’ACCORDO? C’È STATO UN APPPROCCIO DIVERSO ALLA COMPOSIZIONE ?
“No, devo dissentire sul fatto che ricordi il nostro primo disco. E’ diverso in quasi ogni aspetto. Ma sono sicuro che ogni nostro album sia completamente diverso dagli altri. In ogni disco disco abbiamo avuto un modo diverso di comporre i pezzi. Quando ho composto il resto del nostro materiale (con qualche rara eccezione) c’erano sempre molte situazioni differenti intorno me e tutto questo influisce, sopratutto l’umore e l’ambiente circostante, direi”.
C’È UN FORTE CONTRASTO TRA LA MUSICA E LA VOCE DI HENRI E LA VOCE DI NATALIE. QUESTA SEMBRA PORTARE UN PO’ DI LUCE MA – ALLO STESSO TEMPO – E’ CUPA E TETRA.
“Si, sono totalmente d’accordo. Per me la voce di Natalie è il taglio finale nelle ferite. Se ci fossero state più parti dedicate alla voce di Natalie, penso che non avrebbero avuto lo stesso effetto, non avrebbero avuto la stessa potenza che, invece, hanno su questo disco”.
ALLO STESSO MODO LE TASTIERE SONO UNA SORTA DI COLLEGAMENTO TRA I PEZZI E RENDONO IL DISCO COMPLETO.
“Penso che il loro sound sia la parte più profondamente Shape Of Despair. Ho sempre usato vecchi synth su tutti i nostri dischi e mi sembra che si adattino perfettamente alle emozioni della nostra musica. Certo, ci sono anche altre tastiere, ma, per lo più, è solo Ensoniq”.
IL DISCO È STATO PUBBLICATO SU CD E DOPPIO VINILE. IO AMO I VINILI MA IN QUESTO CASO NON PENSI CHE CAMBIARE LATO E DISCO POSSA INDEBOLIRE LA CONTINUITA’ DELLA MUSICA ?
“Uhm… non ne sono sicuro. Penso che, alla fine, sia quello che la gente vuole quando compra un vinile oltre ad avere l’artwork in un formato più grande da tenere tra le mani mentre ascolti la musica. Ma, in effetti, capisco il tuo punto… Prova a spegnere le luci ed a girare in fretta i lati”.
NEGLI ULTIMI ANNI L’INTERESSE INTORNO AL DOOM STA CRESCENDO MOLTO ED ANCHE IL FUNERAL HA LA SUA PARTE DI “SUCCESSO”. COSA NE PENSI ?
“A dire la verità non mi importa più di tanto. Sono felice che quella funeral doom sia un scena piuttosto piccolo. Certo c’è una crescita costante ma non sono sicuro che ci sia così tanta gente interessata o in grado di fare questo tipo di musica e questo, in un certo senso, è un bene. Anche noi non siamo totalmente parte della scena funeral doom, ma è un vero piacere vedere che esiste ancora una scena underground in qualche ambito. Il doom, in generale, sta crescendo tanto da uscirne, se non ne è già uscito, ma questo ha anche a che fare con questi tempi ‘digitali’ in cui viviamo; tutto è accessibile e facile da trovare, quindi è anche molto più difficile risaltare”.